Tra i pittori più apprezzati a livello internazionale, Yan Pei-Ming omaggia Roma con un progetto pensato per Villa Medici, un luogo che aveva conosciuto, molti anni fa, nei panni di studente. Nella mostra, che chiuderà il 19 giugno 2016, sono esposte grandi tele, dedicate al tema delle rovine, a Caravaggio, ai Papi, a Pasolini, ai monumenti capitolini, al senso della storia. L’artista svela spunti e suggestioni in una un’intervista realizzata da Helga Marsala per “artribune.com” del 13 maggio 2016, di cui riprendiamo alcuni stralci.
Yan Pei-Ming racconta Roma. La storia come tragedia, la pittura come verità
intervista a cura di Helga Marsala
www.artribune.com/2016/05/yan-pei-ming-racconta-roma-la-storia-come-tragedia-la-pittura-come-verita – 13 maggio 2016
Che cos’è per lei un’icona? E come può tornare a nuova vita, superando la propria “banalità”, attraverso l’arte?
Si tratta di una rappresentazione simbolica; dal momento in cui il pittore dà vita al ritratto di una persona è in grado di renderlo un’icona. È questa la magia della pittura! Tuttavia, in occasione della mia mostra a Villa Medici, mi sono concentrato soprattutto sulla rappresentazione del Papa in quanto icona. Quando dipingo cerco di far emergere la personalità di un individuo, poi vado oltre, inserendo un po’ della mia personalità. È qualcosa che ha a che fare con la ricerca della verità.
Mi racconti Roma – col suo sguardo di straniero – in una frase, in pochi aggettivi, in una sequenza di timbri. Come se si trattasse di schizzare un acquerello …
Roma è la Città Eterna. Ogni angolo possiede delle meraviglie da ammirare; penso in particolare alle chiese, con opere di maestri custodite per secoli. La descriverei come bella, tragica per via delle sue rovine, potente per la sua storia antica. Quando penso a un breve istante trascorso a Roma, immagino una passeggiata a piedi attraverso la città. È il modo migliore per spostarsi e godersi l’atmosfera.
Quanto deve alla lezione del cinema neorealista? Cosa la conquista di Pasolini e Rossellini?
Non direi di aver subito l’influenza del movimento neorealista; sono stato semmai toccato da questi due grandi registi. Era da tempo che desideravo occuparmi di un soggetto legato al cinema italiano. A Villa Medici presento un dipinto ispirato al film Mamma Roma di Pasolini: il suo lavoro a volte si riferisce alla pittura classica, sia nella scelta dei costumi che attraverso scene ispirate a rappresentazioni pittoriche. Penso alla scena finale, quando il giovane eroe muore in una posizione simile a quella del Cristo di Mantegna.
Quanto a Rossellini, sono stato colpito dal coté storico di Roma, città aperta. Il regista mostra la realtà tragica del popolo romano durante l’occupazione e la violenza della guerra. Ancora una volta è la scena conclusiva che mi ha più segnato, quando il bambino si aggrappa al corpo della madre morta. La storia è una tragedia, crudelissima, che travolge l’umanità.
Il senso del sacro e la complessità della storia, la vita e la morte, la seduzione della superficie e i miti pop. È questo mix che rende la sua arte davvero “popolare”, ovvero fatta della materia di cui si nutrono le persone?
Sì, per me il senso del sacro è importante. Mi piace fare riferimento ai grandi maestri, ho realizzato dei dipinti a tema religioso, dal Cristo sulla croce a diversi rifacimenti del Caravaggio. La storia ha un ruolo fondamentale nel mio lavoro, anche perché è governata dal conflitto tra la vita e la morte, vale a dire l’idea della fine della condizione umana. Penso sia proprio questa lotta perpetua a commuoverci.
Com’è stato lavorare per gli spazi pieni di memoria di Villa Medici? Quanto hanno influito nel suo progetto, quali vibrazioni ha colto?
Ho avuto la possibilità di trascorrere del tempo a Villa Medici, come artista in residenza, nel 1993; dunque conosco molto bene questo luogo. Tornarvi quest’anno per il suo 350° anniversario è stata una sorpresa. Si tratta di un luogo mitico che ha influenzato generazioni di pittori, scultori, architetti e storici dell’arte. Per questa mostra ho lavorato nel mio studio con l’idea di mettere in scena delle tele collegate al posto. Ho voluto portare Roma nel cuore di Villa Medici: esiste una complicità tra questi due luoghi ed per questo che la mostra si apre con Caravaggio.
Coma ha scelto i soggetti delle tele in mostra?
Il progetto è nato da una riflessione comune, con il curatore Henri Loyrette. Abbiamo rivisitato Roma insieme. Il suo punto di vista sulla città permette di addentrarsi subito tra le pieghe delle storia dell’arte, ed è stato dunque naturale interessarsi alle opere di Caravaggio a San Luigi dei Francesi e a Santa Maria del Popolo. Per quanto riguarda i ritratti dei papi, è da più di un decennio che ne realizzo. Ho scelto dei soggetti legati alla storia dell’arte, e penso, ad esempio, alla mia rappresentazione di Papa Innocenzo X di Velàsquez. Ma ho voluto ancorarli anche alla realtà contemporanea.
Si definirebbe un romantico?
No, non sono un pittore romantico. Sono un pittore del nostro tempo.
Il tema delle rovine è ancora attuale? Cosa ci suggerisce, rispetto alla condizione del presente?
Nel trittico dal titolo Ruines du temps réel (Rovine del tempo reale) vediamo le rovine di Palmira, quindi il foro romano, e infine una città moderna in guerra, distrutta dai bombardamenti. Il tema delle rovine esprime l’idea di temporalità. Ad accomunare questi tre luoghi è la tragedia della guerra: quando c’è l’uomo, la guerra è sempre presente. È la nostra storia, quella di una carneficina che ricomincia all’infinito.
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Un commento sulla realtà drammatica dei migranti, a cui ha dedicato due splendide tele. Il viaggio, la guerra, il naufragio, la morte, le nuove muraglie, la crisi e la ricerca del riscatto. Una grande metafora della contemporaneità?
La tragedia dei migranti… ovvero un stuolo di uomini che prendono una barca per raggiungere un luogo ideale: il naufragio, poi, è la realtà brutale e tragica. Ogni epoca ha le sue tragedie. Quella di fuggire dalla guerra è ricorrente. L’uomo sogna la pace, ma il mondo resta di una violenza inaudita, sempre.
Il dittico che presento alla Villa Medici si chiama Aube noir (Alba nera) ed è una metafora del nostro presente, perché il confine tra la guerra e la pace è sottile. Quest’immagine dei migranti per mare restituisce significato al presente: esiste una costante nella storia dell’umanità. Io lavoro nutrendo un profondo sentimento del dolore umano, che condivido con chi contempla le mie opere.
[idea]Info[/idea] Mostra
“Yan Pei-Ming. Roma”
a cura di Henri Loyrette
Roma, Villa Medici
viale della Trinità dei Monti 1
fino al 19 giugno 2016
villamedici.it