Se ne è andata un’altra voce nobile legata alla memoria di Pasolini. Venerdì 7 febbraio, a 94 anni, da poco compiuti il 30 gennaio 2014, si è spento nella natia Reggio Emilia Luciano Serra, studioso della storia e del costume della sua città, poeta in lingua e in dialetto, formatore di generazioni di studenti, e tra i massimi conoscitori del Boiardo, dell’Ariosto e dell’opera di Silvio D’Arzo, al secolo Ezio Comparoni, di cui fu compagno di studi.
Altro brillante condiscepolo, e in gioventù amico carissimo, fu Pasolini, che Serra conobbe a Bologna e con cui frequentò il Liceo Galvani e l’Università, condividendone anche le prime febbrili esperienze poetiche e culturali insieme ai giovanissimi Francesco Leonetti e Roberto Roversi.
Ai quattro sodali risale in particolare l’esperienza poetica di “Eredi”, culminata nella pubblicazione nel 1942 per l’editore Mario Landi di Bologna di quattro distinte raccolte poetiche, esordio lirico per Pasolini con le sue folgoranti Poesie a Casarsa e per Serra con il suo Canto di memorie. Ma fu soprattutto con Serra, e con la sua famiglia residente a Bologna in via Arienti 33, considerata quasi una seconda casa, che Pasolini intrecciò uno speciale legame affettivo e confidenziale, tanto che, una volta trasferito a Casarsa durante la guerra, indirizzava a lui solo le lettere collettive da far recapitare agli altri amici. Serra, poi, collaborò anche a due delle rivistine friulane dell’infaticabile amico friulano – lo “Stroligut” dell’aprile 1946 e il “Quaderno romanzo” del 1947- con due saggi sul “Minor Friuli” di Ippolito Nievo e sui racconti della Percoto. Le diverse esperienze esistenziali avrebbe poi portato su strade diverse i due confidenti e poeti, ma l’eco di quella amicizia giovanile è consegnata a tante testimonianze, soprattutto epistolari, rimaste ininterrotte tra i due dal 1941 al 1953. Così scriveva Pier Paolo a Luciano, dal Friuli, il 26 gennaio 1944:
Siamo perduti ognuno nella nostra vita, uno qua uno là, due corpi che vivono nel fiore di una trista giovinezza. Che gesti fai tu mentre io qui cammino per i campi, o sto presso la stufa, o vado a Rosario, o rido tra i visi che tu non conosci? Albe, vespri, sere, meriggi, i miei gesti qua, i tuoi gesti là, lasciati apparire inutilmente giorno per giorno dentro la conca della luce o il silenzio delle notti. Ma adesso quello che più mi addolora è la tua lontananza; in questo momento penso solo alla nostra dolce amicizia interrotta, alla tua compagnia che mi manca, alle confidenze così lunghe e gioiose che ci facevano consumare insieme lunghe ore.[…]
Quanto a Serra, i ricordi erano vivi e commossi ancora nel 2010, quando rievocò l’amico Pier Paolo e la fervida Bologna studentesca degli anni Quaranta nello scritto Le pa
trie di Pasolini, pubblicato da SilvanaEditoriale nel catalogo della mostra fotografica di Andrea Paolella I luoghi di Pasolini, sostenuta e allestita a Casarsa dal Centro Studi Pasolini tra il 15 luglio 2010 e il 30 gennaio 2011. Ne riportiamo qui, con alcuni tagli, uno stralcio significativo.
«Ed ecco finalmente Bologna, in una casa in via Nosadella 48, dove conobbi la madre Susanna, graziosa e minuta, e il fratello Guido. (…) Nell’autunno del 1936 Pasolini da Scandiano venne a Bologna, e io contemporaneamente venni a Bologna da Reggio (per trasferimento di mio padre vincitore di un concorso postale), e non ci conoscevamo ancora. (…). A Bologna al Liceo Galvani in via Castiglione 36 trovammo un preside intransigente: Ezio Chiorboli, allampanato con due baffi bianchi enormi il quale faceva chiudere il portone e poi stolidamente riuniva i ritardatari davanti alla presidenza per tutta la mattina, esaltava Tunisi italiana con alate scempiaggini e, ironizzando su un allievo che era stato bocciato, si sentì rispondere che anche lui lo era stato e quindi erano colleghi (…).
Per fortuna Pasolini ebbe insegnanti di alto valore: come Alberto Mocchino autore di una storia dell’estetica e mirabile studioso di Orazio oltre che intenditore di cinema, Carlo Gallavotti (di Cesena, patria di mio padre) che entusiasmò gli allievi coi lirici greci e diverrà un filologo di fama mondiale, e il laicissimo insegnante di filosofia Valli mutilato della prima guerra mondiale e irriducibilmente antifascista. Ed ebbe come supplente di storia dell’arte Antonio Rinaldi, che aveva sette anni più di Pier Paolo e lesse agli allievi Rimbaud come lezione civile e voce di libertà. L’esile e occhialuto Rinaldi, che verrà il 14 luglio 1944 arrestato con me dalle SS toscane e portato in carcere a Parma (eravamo entrambi aderenti al Partito d’Azione), era un poeta (…).
Pasolini vedeva nello sport “la più pura, continua, spontanea consolazione”, e Bologna era fra le città sportive più importanti. Anzitutto perché possedeva “lo squadrone che tremare il mondo fa” e aveva vinto nel 1934 la Coppa dell’Europa Centrale e nel 1937 si aggiudicherà il Torneo dell’Esposizione Coloniale di Parigi battendo in finale l’inglese Chelsea (…).
Bologna era grande anche per l’atletica: si pensi a Ondina Valla (campionessa olimpica), a Claudia Testoni (campionessa europea), a Tullio Gonnelli (medaglia d’argento olimpica) e a Giorgio Oberweger (medaglia di bronzo olimpica) (…). Ricordo due episodi (…). Il primo è che il Galvani trionfò nel campionato studentesco del 1938. (…) Il secondo è una gara universitaria di 1500 metri a cui partecipava Pasolini: dopo il primo giro partì come se volesse battere il record mondiale e andò a infilare la scaletta del sottopassaggio per impellenti bisogni corporali. (…). Nel 1941 la squadra di calcio di Lettere in cui giocavamo Pasolini ed io vinse il campionato interfacoltà. Pier Paolo ne era il capitano. Gli anni pasoliniani dal 1941 al 1943 restano memorabili per le esperienze di “Eredi” e del “Setaccio” e per gli incontri e l’amicizia che legarono Pier Paolo a Francesco Arcangeli, che era amico di Rinaldi, del pittore Giorgio Morandi, dello scrittore Giuseppe Raimondi, e con Morandi e Raimondi fu anche imprigionato per antifascismo (…).
Negli anni dal 1940 al ’43 sotto l’egida del partito fascista si pubblicavano a Bologna tre riviste: “L’Assalto” che culturalmente si può definire quella dei giornalisti e dei cineasti con Enzo Biagi, Lamberto Sechi, Renzo Renzi, Dario Zanelli, Adriano Magli; “Architrave” degli universitari del GUF con Agostino Bignardi e Giorgio Gardini redattori politici e tanti collaboratori per gli articoli culturali, diretta prima dal professor Mazzetti e poi da Eugenio Facchini che contemperarono fascismo e giovanile fame di cultura (..); e “Il Setaccio”, notiziario della GIL, che fu, per sapiente regia del pittore futurista e antifascista Italo Cinti, trasformato da bollettino di regime a nuova vita intelligente e affidato a Pasolini che raccolse intorno a sé e coordinò per settori i giovanissimi Mario Ricci, Carlo Alberto Manzoni, Fabio Mauri, Luigi Vecchi, Fabio Luca Cavazza (che sarà dopo la guerra il promotore del “Mulino”), Giovanna Bemporad che, ebrea, Pier Paolo mutò in Bembo, Achille Ardigò futuro sociologo, Augusto Pancaldi, Alberto Vighi, i friulani Bortotto e Castellani (..).E ci fu fuori dell’ufficialità anche “Eredi”, dal 1941 al 1942, esperienza vissuta da Pasolini con Roberto Roversi, Francesco Leonetti e me attraverso incontri, mescolati con castagnaccio e vino sardo, ai Giardini Margherita, o ai piedi della statua di Garibaldi che si erge imponente di fronte al teatro che ancora conserva il suo vecchio nome di Arena del Sole (…).
Esperienza vissuta anche attraverso la fitta corrispondenza tra Bologna e Casarsa sulle nostre poesie vagliate e discusse. Volevamo essere i continuatori della poesia classica filtrata nella lirica moderna di Montale, Ungaretti, Sereni, Gatto (non di Quasimodo che Pier Paolo detestava) e gli altri ermetici. Pasolini ci insegnò a essere poeti. Diceva: “Il nucleo della poesia è costituito da un gioco di parole la cui validità posa su misteriosi legami e armonie” e “lasciatevi guidare dalle parole che leggete” e che “canto non significa cantabilità”.
(…) decidemmo di pubblicare nel 1942 i nostri quattro libretti di liriche: le Poesie a Casarsa di Pasolini, le Poesie di Roversi, Sopra una perduta estate di Leonetti e Canto di memorie di Serra, come prima pietra culturale di “Eredi” (…) . Ed esterrefatti e felici lo fummo quando Gianfranco Contini scrisse a Pier Paolo che avrebbe recensito le poesie friulane e Pasolini ballò e saltò sotto i portici.
Cessata l’esperienza di “Eredi” e accantonata l’uscita della rivista a dopo la guerra, nell’orizzonte pasoliniano sorse la nuovissima esperienza del “Setaccio”(…). Era la rivista propagandistica della GIL, la dirigeva, responsabile del fascio, Giovanni Falzone. Come ho già detto, il “Setaccio” fu occupato con un abilissimo colpo di mano da Italo Cinti, pittore futurista e di sentimenti antifascisti, che ne fece un elemento di rottura culturale, assegnando a Pasolini la guida di giovanissime intelligenze da proiettare nel futuro ciascuna in settori diversi (cinema e teatro, arte e narrativa, estetica e filosofia, poesia a traduzioni). L’apporto di Pasolini, poeta e pittore, critico letterario e artistico, e la cui presenza ha detto Ricci fu “di alta risonanza intellettuale”, divenne estremamente prezioso e fondamentale negli articoli che ne maturarono l’anelito verso l’intelligenza come libertà. Scrisse che i giovani dovevano porsi l’educazione come più alto compito per le future generazioni, che la posizione dell’intellettuale doveva scindersi da quella del politico propagandista, e addirittura affermò rischiosamente, perché scalfiva il ducismo di Mussolini, “manca l’eroe che come faro ci guidi costruendo gli eventi: questi saranno piuttosto frutto o premio della fratellanza o amore civile”. La rivista (alla quale collaborai con poesie e traduzioni perché ero sotto le armi) durò dal novembre 1942 al maggio 1943. Roversi e Leonetti non entrarono, e sarebbero poi stati con Pasolini, Scalia, Fortini e Romanò, gli artefici a Bologna di “Officina”.
(…) Gli amici bolognesi di “Eredi” conobbero Casarsa dalle lettere scambiate con Pasolini e dalle poesie inserite. Conobbero creature incredibili di una dimensione sconosciuta come “il mare delle oche” guidate da Guido e per le quali il cugino Nico tagliava l’erba; conobbero l’esistenza degli amici casarsesi: Pieruti, Zùan, Bepi “alto sui bastoni delle ossa, magro al timone del carro” e “mano che stringe i bovi”, e il calciatore Maulito; conobbero il fuoco di voci e grida della gente di una cittadina che acquistava forme leggendarie e magiche della realtà quotidiana. L’immagine di Casarsa si era trasformata dalla rozzezza rustica e contadina e da una vita stecchita come Pier Paolo la definiva a Farolfi nel 1940 in un accogliente nido pascoliano che si colorava poeticamente e diveniva luogo d’incontri culturali e di infatuazioni adolescenziali. Le liriche italiane, che Pasolini inviava a Bologna nelle lettere collettive indirizzate a me come destinatario e a Roversi e Leonetti come comuni riceventi dei messaggi di “Eredi” nell’estate del 1941, avrebbero dovuto far parte di una pubblicazione intitolata I confini; e i confini erano le proiezioni dei miti del giorno e della notte, dell’infanzia e della fanciullezza, della solitudine e del destino, e sono fondamentali per la formazione di Pasolini e per fissare le prime voci di un’alta sua poetica.
(…) Lo rimpiange oggi, a novant’anni, il poeta e sceneggiatore Tonino Guerra che dice con voce accorata: “Mi manca Pasolini che piangeva sulle lucciole scomparse”»
(Luciano Serra, Le patrie di Pasolini, in Andrea Paolella-Luciano Serra, I luoghi di Pasolini, SilvanaEditoriale, Milano 2010, pp. 8-27).