PPP poeta del recupero della lingua-paese, di Pierfranco Bruni

Una riflessione personalissima sul lascito più significativo dell’operosità letteraria di Pasolini, che per lo scrittore Pierfranco Bruni consiste soprattutto nel valore dell’espressione poetica e, in particolare, nella valorizzazione e nel recupero della lingua legata, come quella friulana, alla tradizione identitaria della comunità dei suoi parlanti, nella continuità tra passato e presente.

Cosa resta di Pier Paolo Pasolini a quarant’anni dalla morte?
di Pierfranco Bruni 
www.orizzontescuola.it – 15 giugno 2015

Cosa resta di Pier Paolo Pasolini a quarant’anni dalla morte?
Domanda impertinente ma forte. Resta il poeta del recupero della lingua. Pasolini ha scavato nella complessità della parola portando alla luce le radici comunicative di un popolo all’interno di una temperie regionale e nazionale. Il valore del linguaggio poetico ha certamente una sua misura stilistica fondamentale e si spiega su metodologie che hanno una loro insistenza nel rapporto tra prosa e verso. L’oralità ha sempre dimostrato una particolare incidenza nei processi di definizione e di trasmissione di una comunicazione che sottolineava una questione di identità.
Nel 1942 pubblicava Poesie a Casarsa. In fondo è il Pasolini che resta soprattutto sul piano poetico. Con questo testo aveva ben tracciato il ruolo che doveva avere la lingua, in questo caso specifico il dialetto, assorbita come partecipazione ad un vero e proprio etnos, in quanto l’alchimia della parola si incontrava con i contenuti di un territorio. A quarant’anni dalla sua morte Poesie a Casarsa è il testo che continua a scavare tra la lingua e la visione onirico – antropologica.

Copertina del libro "Poesie a Casarsa"
“Poesie a Casarsa”(1942). Copertina

I veri contenuti del territorio restano i luoghi reali e allegorici del paese. Per Pasolini il Friuli veniva vissuto attraverso due componenti che restano emblematiche: la lingua e la sua tradizione e il paese nella sua capacità di comunicare un modello di condivisione tra il passato e il presente. La lunga memoria è un cammino che porta agli orizzonti delle radici – paese.
E dentro il paese, ovvero dentro l’essere il paese, ci sono tutti gli addentellati che danno una ragione al rapporto tra lingua ed esistenza. Si pensi alla poesia di tre versi che apre Poesie a Casarsa (poi confluite, queste poesie, in La meglio gioventù del 1954) nella quale si legge “Fontana di aga dal me paìs./A no è aga pì fres-cia che tal me paìs./Fontana di rustic amòur” [e ancora nel 1975 in La nuova gioventù (Poesie friulane 1941 – 1974)].
Pasolini attraverso il suo affermare i codici della realtà etnica friulana come identità è riuscito a contestualizzare una dimensione geografica e quindi anche storica. Scavando nella lingua e riportando sullo scenario quotidiano una realtà demo – antropologica i cui risultati rappresentano un dialogo costante tra tradizione e letteratura.
Il recupero della lingua nella tradizione delle etnie è un elemento che chiama in causa modelli linguistici e fattori antropologici. Il valore del linguaggio poetico ha certamente una sua misura stilistica fondamentale e si spiega su metodologie che hanno una loro insistenza nel rapporto tra prosa e verso.
L’oralità ha sempre dimostrato una particolare incidenza nei processi di definizione e di trasmissione di una comunicazione che sottolineava una questione di identità. Recuperando una lingua Pasolini non ha fatto altro che ripristinare un dialogo tra popolo e territorio. Un dialogo che ha significato, e significa tuttora, uno scavo in quell’etnos che si porta dentro i segni di un radicamento che è sentimento della memoria. Memoria – paese. È qui che si stabilisce uno iato fondamentale.
Ci troviamo di fronte ad un verseggiare che ha delle matrici chiaramente etniche perché non si tratta di un vero e proprio dialetto in sé, ma di una lingua composita che è segno tangibile di un processo non solo letterario ma profondamente antropologico. Appartenenza ad un paese perché è qui che Pasolini ha trascorso le estati della sua infanzia. Il tempo non è un valore aggiunto bensì è la memoria dilatata nel cerchio magico dell’ascoltare i ricordi che sono nel vissuto ma vivono nel presente.
C’è un altro fattore. E’ quello di sentire il paese come territorio vasto e immerso in parole che restano nella consapevolezza di un rapporto con l’altro, stabilendo sempre dei dialoghi.
Pasolini sosteneva che “la lingua parlata è dominata dalla pratica, la lingua letteraria dalle tradizioni”. Quindi il valore della lingua resiste perché dentro il quotidiano, ma chiaramente non può fare a meno del sostegno di un incontro, che risulta sempre necessario, tra messaggio letterario e percorso sviluppato dalla tradizione. Ma la tradizione è anche memoria. Tradizione – tempo – memoria.
Il Pasolini che resta? È il poeta di Casarsa. Il resto è dialettica.

[info_box title=”Pierfranco Bruni” image=”” animate=””]nato a San Lorenzo del Vallo  in Calabria, pubblica nel 1975 il suo primo libro di poesie, Ritagli di tempo. Nel 1978 si laurea in Lettere Moderne a Roma con una tesi su “Sandro Penna e la poesia ermetica” e nel 1981 consegue una seconda laurea in Pedagogia con la tesi “Il linguaggio e la poetica nelle ultime opere di Sandro Penna”.  Nel 2011 viene nominato Consulente culturale della Presidenza della Camera dei Deputati per le Celebrazioni del 150° anniversario dell’Unità d’Italia. Nel 2014 partecipa a diversi anniversari dedicati a scrittori e intellettuali o personaggi italiani (Francesco Grisi, Giuseppe Selvaggi, Giuseppe Berto, Alberto Bevilacqua), anche in programmi Rai. Componente della Commissione Unesco per la diffusione della cultura italiana all’Estero, coordinatore del progetto del Mibact di valorizzazione dei beni culturali nelle comunità di minoranze etnico – linguistiche, è presidente del Centro Studi Francesco Grisi, vicepresidente del Sindacato Libero Scrittori Italiani e direttore archeologo coordinatore del Mibact.
Si è occupato di letteratura del Novecento con saggi su Cesare Pavese, Luigi Pirandello, Corrado Alvaro, Francesco Grisi, Gabriele D’Annunzio, Carlo Levi, Salvatore Quasimodo, Giuseppe Ungaretti, Vincenzo Cardarelli, Sandro Penna, Elio Vittorini, Ignazio Silone, Edmondo De Amicis. Ha scritto e scrive saggi sulle problematiche relative alla letteratura italiana, alla cultura poetica della Magna Grecia e al Futurismo, su diverse riviste specializzate e giornali italiani. Curatore nel 2008 del volume La poetica e il linguaggio di Sandro Penna tra sogno, grecità ed eros, nel 2014 ha pubblicato con Neria De Giovanni un saggio sulle opere di Gabriele D’Annunzio, Io ho quel che ho donato.[/info_box]