Orte è una città che fu cara a Pasolini. E anche nel suo nome a Orte, sabato 10 gennaio 2015, si è tenuto un convegno sul tema dell’incrocio necessario tra cultura e turismo, considerati “come due facce della stessa medaglia”. Promotore e organizzatore dell’iniziativa è stato il Carbacc (Consorzio aree basse colline cimine), istituito all’interno della Pit RL165 (Progettazione integrata territoriale) che coinvolge dieci comuni: Vignanello (comune capofila), Bassano in Teverina, Bomarzo, Canepina, Corchiano, Orte, Soriano nel Cimino, Vallerano, Vasanello e Vitorchiano.
Nel dibattito sono emerse due prospettive di lavoro, anche futuro, utili alla valorizzazione dei luoghi e delle tradizioni: da un lato, lo sviluppo di “un racconto” del territorio, con il coinvolgimento della popolazione; dall’altro, l’organizzazione di “un’accoglienza diffusa” che coinvolga tutti i cittadini e trasformi i turisti che visitano la Tuscia in “cittadini temporanei”.
Tra gli intervenuti al convegno, accanto ai rappresentanti delle istituzioni, di particolare interesse le parole dello scrittore Antonello Ricci, che ha lanciato l’idea del “racconto” collettivo volto alla valorizzazione delle risorse e delle ricchezze locali. E sarà lui stesso con la sua “Banda del Racconto” a condurre un laboratorio itinerante nei dieci comuni coinvolti: alunni saranno alcuni cittadini del territorio del Carbaac, che impareranno come narrare i luoghi della loro residenza a partire dallo spunto offerto da illustri viaggiatori, come è il caso non molto noto di Pirandello per Soriano nel Cimino.
Per la preparazione degli Accompagnatori della “Banda del Racconto”, nume tutelare è anche Pier Paolo Pasolini, con cui il percorso inizierà proprio a Orte mercoledì 14 gennaio alle ore 14 presso la sede dell’Università della Tuscia ((e poi ogni due settimane per i successivi dieci mercoledì). Per l’occasione sarà proiettato il filmato Rai del 1974 Io e … La forma della città, in cui Pasolini fece delle considerazioni memorabili sul valore dei luoghi antichi e sulla necessità della loro tutela, anche per i dettagli meno preziosi.
A Orte, la città che aveva scelto a esempio, egli si soffermò infatti sul “selciato sconnesso e antico” di Porta San Cesareo: “un’umile cosa -disse- che non si può nemmeno confrontare con certe opere d’arte, d’autore, stupende, della tradizione italiana”.

Ma vale pena, a questo punto, seguire il resto delle sue considerazioni. “Eppure io penso – continuava – che questa stradina da niente, così umile, sia da difendere con lo stesso accanimento, con la stessa buona volontà, con lo stesso rigore, con cui si difende l’opera d’arte di un grande autore. […] Nessuno si batterebbe con rigore, con rabbia, per difendere questa cosa e io ho scelto invece proprio di difendere questo. […] Voglio difendere qualcosa che non è sanzionato, che non è codificato, che nessuno difende, che è opera, diciamo così, del popolo, di un’intera storia, dell’intera storia del popolo di una città, di un’infinità di uomini senza nome che però hanno lavorato all’interno di un’epoca che poi ha prodotto i frutti più estremi e più assoluti nelle opere d’arte e d’autore. […] Con chiunque tu parli, è immediatamente d’accordo con te nel dover difendere […] un monumento, una chiesa, la facciata della chiesa, un campanile, un ponte, un rudere il cui valore storico è ormai assodato ma nessuno si rende conto che quello che va difeso è proprio […] questo passato anonimo, questo passato senza nome, questo passato popolare”.