Pasolini, Sciascia e il  “paese meridionale”, di Giuseppe Condello

Volentieri pubblichiamo un saggio dello studioso calabrese Giuseppe Condello, residente a  Cutro, che, con appassionato impegno civile, intreccia la sua storia personale con l’analisi sofferta delle contraddizioni, dei ritardi e delle responsabilità che riguardano il meridione d’Italia  sul piano del legalità e del rispetto del consorzio sociale. Una disamina il cui spunto proviene dagli stimoli critici offerti dalle splendide pagine narrative di Sciascia e Pasolini,  scrittori accomunati  dall’amore per il sud e dalla sofferta ricerca delle cause del suo degrado civile.
Grazie all’autore per la concessione del suo lavoro (angela felice).

Cutro e il “paese meridionale” tra Pasolini e Sciascia
di Giuseppe Condello

 Leggendo Le parrocchie di Regalpetra di Leonardo Sciascia ho avuto l’impressione che lo scrittore siciliano abbia scritto tale libro per due motivi. Sono due motivi solo apparentemente contrastanti. Da un lato è come se Sciascia avesse voluto saldare un debito col suo stesso paese, con il paese siciliano, sentendo il suo acume critico fortemente aspro nei confronti di una determinata realtà sociale; dall’altro, invece, Sciascia persegue questo compito di acume critico con una perfezionata analisi descrittiva. I due aspetti dell’affezione al luogo natio o, comunque, alla precisa dimensione dell’appartenenza a un microcosmo sofferente, e dell’ostilità verso ciò che è ingiusto, gretto, desolante, prevaricatore, prepotente e rinchiuso su se stesso trovano il punto di congiunzione nella necessità di narrare, nella volontà di narrare e di fare letteratura, ma letteratura antropologica, sociologica, storica e politica.

Leonardo Sciascia
Leonardo Sciascia

Le parrocchie di Regalpetra rappresentano la conclusione di una triade che comprende Fontamara di Ignazio Silone e Cristo si è fermato a Eboli di Carlo Levi (1). In fondo si tratta di classici della letteratura meridionalista che hanno posto al centro della narrazione, come soggetto storico-letterario, il paese meridionale.  E il paese meridionale in epoca contemporanea ha subìto le sue stagnazioni, le sue lacerazioni, le sue evoluzioni e le sue desertificazioni di senso. La letteratura dei letterati più sensibili non poteva non registrare la dimensione fragile e atavica del paese meridionale, la dimensione struggente di miseria e la rapacità di ceti abbienti economicamente,  ma miserabili dal punto di vista etico. Ma questo percorso storico-letterario di narrazioni, che oggi sembrano lontane, mi spinge a ragionare su ciò che è stato il paese di Calabria, e su ciò che è stato in particolare il paese collinare di Cutro.
Cutro nella sua storia ha molto di miseria e di riscatto, di stagnazione e  di vitalità, di progresso e di spoliazione. Ragionare ad esempio sulla Cutro contemporanea- e non solo su una Cutro dei secoli passati- mi fa capire l’importanza che la mancanza di una certa cultura ha nel plasmare un consorzio sociale in un determinato modo. Voglio ricordare due episodi. Il primo di quando Pasolini scrisse un articolo, contenuto nel reportage La lunga strada di sabbia, pubblicato dal periodico di Milano “Successo” e in cui si parlava del  «paese dei banditi». L’allora sindaco di Cutro, il democristiano Vincenzo Mancuso, querelò lo scrittore di Casarsa della Delizia, ma poi Pasolini chiarì che si riferiva al termine banditi in quanto  «emarginati dalla società».
Nell’articolo Pasolini affermava: «A un distendersi di dune gialle, in una specie di altopiano, Cutro. Lo vedo correndo in macchina, ma è il luogo che più mi impressiona di tutto il lungo viaggio». E andando avanti nella sua narrazione: «È, veramente, il paese dei banditi, come si vede in certi westerns. Ecco le donne dei banditi, ecco i figli dei banditi. Si sente, non so da cosa,  che siamo fuori dalla legge,  o, se non dalla legge,  dalla cultura del nostro mondo, a un altro livello”(2).
Soffermiamoci un attimo su alcune affermazioni contenute nello scritto di Pasolini: «ma è il luogo che più m’impressiona di tutto il lungo viaggio»; «È, veramente,  il paese dei banditi come si vede in certi westerns»; «si sente che siamo fuori dalla legge, dalla cultura del nostro mondo, a un altro livello».
È chiaro che le parole debbono essere intese attentamente nel loro esplicitare, nel loro interrelarsi. Il paese dei banditi è associato a certi film westerns, il che significa che Pasolini scorge a Cutro un elemento di predisposizione alla violenza, e nei film westerns i banditi, che possono essere dei solitari esclusi dal consorzio civile, sono anche dediti alla violenza appunto e, quindi, a forte esasperato individualismo delle proprie ragioni. I film westerns rappresentano narrativamente il contrasto, la sopraffazione fatta mediante l’arbitrio del più forte sul più debole. Pasolini conosce i film westerns, e l’accostamento tra il paese dei banditi e certi film westerns appunto indica la mancanza di una vera e propria modernità del comportamento sociale. Come dire: vi è un comportamento antisociale.  Cosa che riscontra quando afferma che «si sente che siamo fuori dalla legge, dalla cultura del nostro tempo, dalla cultura del nostro mondo, ad un altro livello».  Si è fuori dalla legge e, cosa ancora più importante, si è proprio fuori dalla cultura del moderno, di una coscienza moderna dei rapporti sociali e forse dell’etica della vita.
In realtà, Pasolini rilevava tutta la problematica inerente a un contesto fuori dal tempo, fuori dall’evoluzione della storia nazionale che in quel momento altre pieghe stava prendendo e, se in quegli anni un’apertura  del paese calabrese c’era, era l’apertura verso le regioni settentrionali e verso la Germania, il Belgio e la Svizzera. La fine degli anni Cinquanta e  gli inizi degli anni Sessanta vedono il paese calabrese aprirsi alla modernità per via dell’emigrazione. Pasolini individuava la chiusura di un mondo con le sue ingiustizie e con una mancata inclusione dei ceti subalterni entro un processo di apertura culturale di ampio respiro. Per Pasolini non era solo che banditi volesse dire emarginati dalla società, ma anche che il contesto di banditi era da riferire alla dimensione ferina, quasi di stampo arcaico, del consorzio umano cutrese. Pasolini indicava che non la modernità della legge v’era intervenuta; intesa la modernità della legge non come astrusa legalità, ma come principio ordinatore dei rapporti sociali ed economici, in cui i diritti siano garantiti con le condizioni pacifiche del negozio e del rispetto. Pasolini intendeva quindi un concetto più profondo, che, ridotto ancora oggi ad uso e consumo di una sterile polemica, non dà affatto la giusta dimensione della denuncia politica ed etica del grande intellettuale, ragionatore e sociologo vero. Cutro era quindi un paese in cui emergeva una certa mancanza di legge, o si era al di fuori della legge, in cui la modernità sarebbe arrivata in ritardo, grazie all’emigrazione e alla scolarizzazione di massa. Era quella pasoliniana una narrazione che aveva una connotazione socio-culturale. Oggi ancora non affrontata a Cutro, e neanche in campo nazionale.

"La lunga strada di sabbia". Immagine
“La lunga strada di sabbia”. Immagine

Come documentato recentemente da Sara Camposano, sulla “Stampa” del 14 marzo del 1958, in terza pagina, venne pubblicato un articolo di Alfredo Todisco che così scriveva di Cutro: «…la visione di Cutro, tuttavia è ancora terribile. […] Qui la miseria ha uno sfondo che ha perduto molto dell’umano. Senza canti, senza tradizioni artigiane, senza costumi particolari, Cutro è un paese abitato da un popolo di bambini scalzi e di cani randagi. Gli adulti sono sui campi, oppure aspettano un lavoro lungo la strada principale, seduti a terra, gli sguardi stupefatti».
E poi ancora: «I cani di Cutro…a furia di incrociarsi e moltiplicarsi in un ambiente povero di alimenti, hanno prodotto esemplari quasi mostruosi, nei quali si scorge un principio di degenerazione della specie». Per Todisco, «i cani erano mescolati a nugoli di fanciulli» e,  per la giornalista della “Stampa”, «Cutro era forse il  comune  più depresso d’Italia» (3).
La Camposano rileva che la denuncia arrivò a Pasolini in quanto espressione del clima di scontro politico-ideologico che allora imperava tra il Pci e la Dc, in quanto non si spiegherebbe affatto perché Todisco non venne mai denunciato, pur essendo il suo articolo antecedente a quello pasoliniano e pubblicato su un organo di stampa a maggiore diffusione nazionale. Certo ci fu un atteggiamento prevenuto nei confronti di Pasolini dall’allora maggioranza Dc-Msi che deteneva le redini del Consiglio Comunale (4), ma quello che interessa ai fini del presente lavoro è il pensiero di Pasolini riferito a Cutro, che era un pensiero relativo a due problematiche di fondo: l’etica sociale delle regole e l’aspetto socio-culturale della vita e dei rapporti sociali. Todisco si muoveva nel descrivere la miseria economica e delle condizioni di vita a Cutro, ma inquadrava Cutro in quella visione di un Meridione marginale ed esasperatamente antimoderno rispetto agli sviluppi sociali ed economici che stavano avvenendo altrove.
Il secondo episodio che voglio ricordare ha a che fare con un fatto di sangue. Era il 13  gennaio del 1982, andavo a scuola con mio fratello e vidi dei carabinieri con la mitraglietta fuori da palazzo Guarany, all’epoca sede della caserma degli stessi carabinieri. C’era un viavai di carabinieri dalla caserma. Davanti all’ingresso della scuola io e mio fratello sapemmo che avevano attentato la sera prima alla vita del boss Antonio Dragone, ma che erano rimasti uccisi innocentemente il Brigadiere Francesco Borrelli e il ragioniere Salvatore Dragone. Quel giorno fummo sconvolti io e mio fratello e anche i miei compagni di classe. Ne discutevano tra di loro gli insegnanti, ma a noi veniva raccomandato di non parlarne perché non erano discorsi per noi bambini. Gli adulti parlavano dell’episodio, ma poi altre cose non si dovevano dire perché sarebbe stato «spropositato». Parecchi si indignavano della morte di due innocenti, ma l’indignazione era ufficiosa. E si manifestava, come era costume, nella partecipazione ai funerali.
Mi ricordo che ci andò anche mio padre ai funerali e ne fu colpito emotivamente. Ma quanta differenza c’era tra la Germania, ove mio padre era emigrato, e Cutro, paese del Sud Italia. Lì, fatti di quel genere non avvenivano. Sarebbe avvenuto ventisei anni dopo in terra germanica un episodio più cruento come la strage di Duisburg. Pure essa di marca n’dranghetistica, precisamente matrice partita da San Luca (5).
Questo episodio per anni mi ha fatto riflettere sul senso delle faide. E che cosa sono state le mafie, se non forze cresciute nell’assoluta mancanza o connivenza dello Stato, in  quanto appunto lo Stato con le sue burocrazie, i suoi politicanti, ha garantito i furbi e i forti, colludendo molte volte con coloro che il male lo facevano e tribolando coloro che il bene lo facevano o cercavano di fare. Sciascia di questo scriveva nella sua opera, oltre naturalmente che nel libro Le parrocchie di Regalpetra; ma di questo sfasciume del senso dello Stato  scrivevano pure Carlo Levi e Ignazio Silone, pure se essi si riferivano allo Stato fascista. Ed è nella mancanza assoluta o parziale della modernità della legge che si può oggi rinvenire lo spirito pasoliniano della denuncia. Così ci viene da dire che il malfattore più crudele è colui che agevola tutti i malfattori. Le faide erano parte di uno spirito atavico, quello della famiglia, dell’onore e del sangue che lava l’onta. Un’antropologia dell’atavico che è l’espressione del paese dei banditi meridionalmente descritto in tanti e tanti libri di antropologia, sociologia o di riflessione politica. Pasolini voleva indicare appunto con il termine banditi la marginalità dei deboli rispetto all’esercizio di una vera condizione di giustizia, ma la condizione di giustizia matura sul terreno di uno Stato di Diritto e dei diritti, di una modernità della legge che è principio regolatore di un bene comune. Il consorzio civile era agli antipodi del familismo e il familismo prendeva il sopravvento. I banditi emarginati erano a quel punto loro stessi banditi. Se si è fuori dalla legge, prevale allora una condizione sociale basata sulla forza.
La mancanza della modernità della legge si è quindi manifestata  nelle faide tra famiglie che già a partire dagli anni Sessanta e Settanta mietevano vittime, tale da dare a Cutro un triste primato di paese di “risentiti” (ossia persone orgogliose e ferine che reagiscono ad un’offesa con la violenza). Ma la modernità arriva semmai con l’emigrazione e con l’emigrazione arrivano i soldi dei germanesi.  La modernità però è espansione edilizia incontrollata, come in gran parte dei paesi meridionali. E dai germanesi si ha il boom di Cutro, le rimesse degli emigranti mettono in moto l’edilizia, l’artigianato, il commercio.

Il reportage "La lunga strada di sabbia", ed. Contrasto 2005
Il reportage “La lunga strada di sabbia” di Pasolini, ed. Contrasto 2005

Negli anni successivi poi sarà il guadagno degli emigrati in Emilia Romagna, in particolare di Reggio Emilia, a costituire la continuazione volante dell’economia cutrese. Su questo versante si può parlare storicamente di uno svolgimento della modernità in senso asimmetrico. In quegli anni, da un lato, si ha un’economia locale  che trova la sua fonte primaria di accumulazione nelle rimesse degli emigranti che lavorano in contesti ove vi è perlomeno un minimo di condizioni garantite, giuridicamente ed economicamente, di lavoro, e ciò specie in Germania; dall’altro lato, invece,  emerge la creazione di un’economia edile, artigianale, agricola e commerciale fondata sul lavoro nero e su condizioni di lavoro giuridicamente ed economicamente non garantite e/o poco garantite.
Questa modernità asimmetrica faceva leva proprio sul fatto che vi era un diverso principio regolatore. La modernità della legge arriva con distorsioni nel Sud, anche se vi è in quegli anni un rilevante impegno dello Stato centrale, ma le Regioni e molte amministrazioni locali si dimostrano spesso più centri di clientele e di classi dirigenti non lungimiranti che non come veri e propri centri ordinatori della vita sociale e territoriale. La modernità vera e propria della legge non operava ancora, ma operava soltanto la modernità sotto il profilo della modificazione delle condizioni di  vita e di determinati dati ambientali delle persone. In sostanza le leggi potevano essere abusate. E anche oggi in molti casi è così (6).
La convinzione di Pasolini era riferita al consorzio umano e alle classi dirigenti e nelle Parrocchie di Regalpetra Sciascia mette il dito nella piaga quando narra dei piccolo borghesi o di una media borghesia che si arruola in politica e diviene ceto dirigente. Il fine è la rappresentanza per la possibile contrattazione e l’indirizzo delle risorse pubbliche. Cutro è stato – ed è – un pezzo di questo esplicarsi di forze sociali nel  Mezzogiorno.
Sciascia scriveva nelle Parrocchie di Regalpetra dei salinari, degli emigranti nelle miniere del Belgio e delle loro mogli, scriveva del pane del governo invidiato dai paesani, ma tutto questo può essere riferito anche a Cutro: l’ambizione ad andare in Germania, perché in Germania c’erano i soldi, si era garantiti e poi gli uomini mettevano su buona carne e  si facevano delle belle case; l’ambizione di occupare un posto pubblico, seduti dietro una scrivania, e di mangiare il pane del governo, perché così si acquisivano prestigio e potere nella comunità, si era con lo stipendio sicuro e si era “uomini di penna”; vi era l’ambizione poi a fare i muratori, perché di case se ne costruivano tante e i soldi ti arrivavano. Ma vi era anche il sottoproletariato. Ricordo i giovani bietolari, che venivano trasportati da un caporale sul camion per essere portati sul luogo di lavoro e lavorare la coltura della barbabietola da zucchero. Ricordo gli scaricatori di sacchi che erano destinati ad avere la schiena curva già a quaranta anni. Ricordo i giovani che andavano al mastro per imparare un mestiere. Tra gli anni Settanta e Ottanta questo sottoproletariato paesano di Calabria, questi braccianti agricoli, edili, artigianali sarebbero emigrati e sarebbero stati la forza-lavoro delle regioni del Nord, e, soprattutto, della città di Reggio Emilia (7).
Non voglio dilungarmi oltre, ma esistono certamente delle responsabilità storiche. Oggi possiamo dire che Cutro è un luogo della concettualizzazione pasoliniana più ampia, che va aldilà della sterile polemica di allora con il Sindaco Mancuso e con i benpensanti. È una concettualizzazione che alcune forze politiche non hanno voluto fare propria, non hanno voluto approfondire. Una certa  classe politica,  specie locale, ha voluto semplicemente, come fa ancora oggi, parlare della polemica e riduttivamente, e in maniera non lungimirante, assolve Pasolini. Ma, al di fuori di qualsiasi colore politico, è utile affermare che Pasolini non è né da assolvere, né da colpevolizzare:  Pasolini introduceva una considerazione, ma in realtà era un pensiero sulla profonda  e remota questione della modernità del Mezzogiorno: di una modernità che non era quella che poi avrebbe denunciato successivamente e che avvolgeva l’Italia, ma della modernità della legge, della modernità del consorzio umano, dello spirito regolatore e civile dei rapporti sociali. E qui chiamava in causa la responsabilità delle classi dirigenti. Nella lettera di risposta che Pasolini inviò all’ufficiale sanitario di Paola, Pasquale Nicolini, lo scrittore affermò: «Se volete fare come gli struzzi affar vostro. Ma io ve ne sconsiglio. Non è con la retorica che si progredisce»(8). La risposta di Pasolini era alla lettera  con cui Nicolini gli chiedeva le ragioni dell’affermazione «banditi»; e tale risposta indica tutta la ragione pasoliniana: era un invito rivolto alla società meridionale, alla società calabrese, a coloro che avevano o potevano avere responsabilità intellettuali: a che valeva chiedere spiegazioni o esercitare una difesa a oltranza se il problema esisteva. Difendersi e non chiedere più Stato e non mediare tra istanze popolari e il ceto dirigente nazionale, e soprattutto non mediare  all’insegna di uno spirito autenticamente moderno della legge, era il vero fallimento del ceto dirigente e intellettuale meridionale. Il punto di vista di Pasolini si concretizzava poi, fino a completarsi, nel pensiero illuministico dello spirito pubblico e del primato del  diritto di Leonardo Sciascia, che  ne Il giorno della civetta  affermò: «Forse tutta l’Italia va diventando Sicilia…E sale come l’ago di mercurio di un termometro, questa linea della palma, del caffè forte, degli scandali, su su per l’Italia, ed è già, oltre Roma…» (9).
Chi può negare oggi tutto questo? Ciò si è avverato, e pure là dove sembrava predominare una modernità della legge si risente dell’abuso della legge e della sua violazione. Ad esempio la n’drangheta dei paesi calabresi è diventata n’drangheta al Nord, e del Nord.
Dobbiamo però ricordare di Cutro gli emigranti germanesi, perché nessuno ormai li ricorda. Loro che, come detto da Giovanni Frijio col suo libro, furono  «I  primi veri cittadini europei» (10). E tanti emigranti meridionali furono  i  primi veri cittadini europei, sperimentarono la lontananza ma anche l’appartenenza ad una dimensione europea del lavoro. Così vanno  ricordati i ragazzi sottoproletari di Cutro che di primo mattino sul retro del camion andavano a lavorare la barbabietola da zucchero nei campi, o che facevano l’apprendistato da mastri muratori o nelle botteghe artigiane e che oggi sono diventati imprenditori altrove. Ma non si possono neanche dimenticare gli scaricatori di sacchi che col loro sacrificio portavano il pane a casa. Sottoproletari che hanno permesso lo sviluppo di un paese meridionale. E non si possono dimenticare i ruvidi angeli matriarcali, donne pronte e svelte che erano le amministratici delle case e le agenti di un’economia della spesa che ha avuto una funzione centrale nella distribuzione della ricchezza finanziaria locale.
Cutro nel bene e nel male ha rappresentato e rappresenta un paese meridionale, non solo geograficamente ma nella sua stessa storia, nella sua stessa condizione. Pasolini, parlando e scrivendo di Cutro, scriveva e parlava di qualcosa che era fuori dalla modernità, dalla legge, da uno spirito dei tempi, ma affrontava un problema nazionale e chiamò in causa quelle coscienze che non lo seppero comprendere nella sua profonda denuncia, nella sua profonda analisi che aveva in realtà una forte impronta etica. Cutro assurge a luogo dell’etico pasoliniano, cioè di un concetto che ha come contenuto la responsabilità etica. E la responsabilità etica chiama in causa lo Stato assente e lo Stato colluso, così come chiama in causa la società nel suo seno, nel suo remoto e nel suo presente. Là dove non vi è lo Stato di Diritto e la società non è orientata nella sua intellettualità e nelle sue strutture a un senso del civile e del bene comune, là si affermano l’ingiustizia e la logica del più forte, del più furbo e del parassita. La lezione etica pasoliniana si salda così con l’umanesimo illuminista di Leonardo Sciascia. E Cutro nella sua storia contemporanea conserva il realismo di Regalpetra e la profondità descrittiva e umanistica di Pier Paolo Pasolini.

Note
1. La trilogia a cui si fa riferimento, sul tema del “paese meridionale”, comprende appunto: Cristo si è fermato a Eboli di Carlo Levi, pubblicato da Einaudi nel 1945 e poi riedito diverse volte; Fontamara di Ignazio Silone, pubblicato per la prima volta nel 1933 a Zurigo, poi a Parigi e in Italia prima dalla Editrice Faro nel 1947 e poi da Arnoldo Mondadori nel 1949; Le parrocchie di Regalpetra, di Leonardo Sciascia, pubblicato dalla casa editrice Laterza nel 1956.

2. L’articolo di Pasolini, che portò alla querela dello scrittore da parte dell’allora amministrazione comunale di Cutro, retta dal Sindaco Vincenzo Mancuso, era stato pubblicato sul periodico milanese “ Successo” nel settembre 1959, come terza parte del reportage La lunga strada di sabbia.

3. Articolo di Alfredo Todisco, apparso su “La Stampa” di Torino il 14 marzo del 1958. Alcuni passaggi vengono riportati nella ricostruzione di Sara Camposano, Pasolini e le sue riflessioni su Cutro… Ma qualcun altro aveva scritto di peggio, pubblicata all’interno del quaderno del Liceo Scientifico Raffaele Lombardi Satriani di Petilia Policastro e di Cotronei, dal titolo  Cutro. Viaggio nella città del Crocifisso, a cura di Giovanni Ierardi e di Luigi Camposano, pp. 97-101.

4. Ivi, pag.99-100.

5. Il 15 agosto del 2007 avvenne, nell’ambito della faida tra le n’drine dei Nirta e degli Strangio da una parte e dei Pelle-Vottari dall’altra. Vittime della strage furono sei persone, tutte di origine calabrese, di cui uno era originario di Corigliano Calabro. Si accesero allora i riflettori sulla capacità della n’drangheta di esportare i suoi codici di vendetta fuori dai confini regionali calabresi e sulla capacità di penetrare contesti apparentemente tranquilli come quelli del Nord-Europa.

6. Giuseppe Condello, Il Mosaico delle Identità, Csa Editrice, Castellagna Grotte, (Ba), 2010.

7. Antonio Migale, Cutro-Reggio Emilia dall’emigrazione alla crisi economica, Csa Editrice, Castellana Grotte, (Ba), 2016.

8. La lettera è quella di risposta che Pier Paolo Pasolini inviò l’1 ottobre del 1959 all’ufficiale sanitario di Paola, Pasquale Nicolini, pubblicata sul “Quotidiano della Calabria” del 22 luglio 2012 in un articolo di Roberto Losso.

9. Il giorno della civetta di Leonardo Sciascia venne pubblicato nel 1960 dalla casa editrice Einaudi e poi se ne sono avute, come per tutti i classici, diverse riedizioni.

10. Giovanni Frijio, I primi veri cittadini europei, Laruffa editore, Reggio Calabria, 2007.

[info_box title=”Giuseppe Condello” image=”” animate=””]dottore in Scienze dell’Amministrazione e esperto in Politiche Pubbliche, da tempo si interessa agli studi storici, con particolare attenzione al rapporto tra unità nazionale e questione meridionale e al divenire del rapporto tra istituzioni politiche e evoluzione sociale. Tra i suoi saggi, Evoluzione storico-politica del pensiero meridionalista e della questione meridionale. L’attualità del dualismo Nord-Sud (Kimerik ed., 2007, Premio Nazionale autori italiani 2009), Storia di un’Italia incompiuta (Csa ed., 2009), Il mosaico delle identità (Csa ed., 2010, Menzione speciale La penna perfetta 2011), Rivoluzione industriale comparata e il caso Crotone (Youcanprint, 2012), Nel nome della Repubblica Italiana (Youcanprint, 2013). Ha all’attivo anche opere in versi (Segnali dell’anima, Kimerik ed., 2005; Per un giorno e l’anima, Ismeca ed., 2009).[/info_box]