Massimo Raffaeli, critico letterario, giornalista e grande amico del Centro Studi, commenta la passione calcistica di Pier Paolo Pasolini, su cui sabato 27 novembre, a Casarsa della Delizia, si svolgerà una intera giornata di manifestazioni.
In una delle stanze del Centro Studi Pasolini di Casarsa della Delizia “l’arredo residuo si limita a due foto che immortalano le squadre di una delle ultime partite giocate da Pier Paolo, l’incontro di riconciliazione fra la troupe di Salò e quella di Novecento capitanata da Bernardo Bertolucci, a Parma nella primavera del ’75, cui peraltro è ispirato un romanzo molto singolare di Alberto Garlini, Futbol bailado (Sironi 2004). (…). Pasolini ha giocato a calcio da ragazzo, disputando partite interminabili da ala destra e sinistra, minuto e agile com’era, nei prati bolognesi di Caprara, dalle parti dell’attuale Ospedale Maggiore, quando lo chiamavano “Stukas” per la velocità e per lo stile netto che si ispirava a Biavati e Reguzzoni, le due estreme del grande Bologna, lo stesso che faceva cantare ai tifosi “Il Bologna è uno squadrone/ che tremare il mondo fa”. Egli ha giocato fino all’ultimo e lo testimonia la bella biografia per immagini di Mario Desiati Album Pasolini (introduzione di Graziella Chiarcossi, “Oscar” Mondadori 2005), mostrando in numerose foto una passione agonistica che poteva sfiorare la veemenza: ci sono immagini che lo sorprendono, già a Roma, mentre in giacca e cravatta non resiste alla tentazione di dare due calci con nugoli di ragazzini, in borgata o fra gli sterri di Monteverde Nuovo. Pur essendo ormai un tifoso in esilio, a Roma va spesso a vedere le partite nel nuovo stadio Olimpico, come attesta il frammento sonoro del suo amico e correligionario rossoblu Paolo Volponi, il grande scrittore urbinate: “Lui era tifoso del Bologna come me, anche questo ci univa, mentre Giorgio Bassani era tifoso della Spal. Andavamo a vedere la Roma, la Roma famosissima che aveva tanti assi ma che perdeva sempre, beccava in casa col Legnano, col Modena, e allora per noi era un divertimento immenso, vedere come si disperava la folla romana davanti a questi disastri che le capitavano sistematicamente, tutte le domeniche: la Roma aveva quattro o cinque svedesi famosi, che però non combinavano nulla, e allora ridevamo…” E’ infine a Roma, negli anni sessanta, che Pasolini scrive articoli e testi per il calcio poi meritoriamente raccolti da Valerio Piccioni in Quando giocava Pasolini. Calci, corse e parole di un poeta (Limina 1996), dove è contenuta la seguente memoria apparsa su “Il Giorno” del 4 gennaio 1969: “Io sono tifoso del Bologna. Non tanto perché sono nato a Bologna quanto perché a Bologna (dopo lunghi soggiorni, epici, o epico-lirici, nella valle padana), sono ritornato a quattordici anni, e ho cominciato a giocare a pallone. […] Mi viene quasi un nodo alla gola, se ci penso. Allora, il Bologna era il Bologna più potente della sua storia: quello di Biavati e Sansone, di Reguzzoni e Andreolo (il re del campo), di Marchesi, di Fedullo e Pagotto. Non ho mai visto niente di più bello degli scambi tra Biavati e Sansone. […] Che domeniche allo stadio Comunale! Ma, strano a dirsi, tutto è cambiato in questi trent’anni. Mi ricordo di quel tempo come se fosse il tempo di un morto; tutto è cambiato, ma le domeniche agli stadi, sono rimaste identiche. Me ne chiedo il perché…”.