I “Vangeli”. Un dialogo a distanza tra PPP e Pietro Citati

di Roberto Carnero

www.ilpiccolo.it – 5 novembre 2014

Pier Paolo Pasolini definiva il contenuto dei Vangeli “la più grande storia mai raccontata”. Con lui è d’accordo Pietro Citati, uno dei massimi critici letterari italiani, il quale, dopo essersi cimentato nella sua lunga carriera con i più grandi autori del canone occidentale (tra gli altri, Goethe, Leopardi, Manzoni, Tolstoj, Proust), ora affronta, nel suo ultimo libro, una lettura dei quattro Vangeli. Il volume si intitola, semplicemente, I Vangeli (Mondadori, pagine 160) ed è il racconto – avvincente, emozionante, ma anche sempre intellettualmente vigile e filologicamente ineccepibile (come testimoniano i frequenti rimandi alle Sacre Scritture) – della vita, passione, morte e resurrezione di Gesù.

Professor Citati, come è nata l’idea di cimentarsi con i Vangeli?
Ci pensavo da almeno cinquant’anni. In verità devo confessarle una cosa. Ero partito da San Paolo, che mi ha catturato da quando ho cominciato a leggerlo. Avrei voluto scriverne, ma lo trovavo troppo difficile, temevo di non essere all’altezza. Alla fine mi sono deciso per i Vangeli.

Li trova più semplici rispetto agli scritti paolini?
Non che i Vangeli siano più semplici. Sono solo apparentemente più facili. Questo per la loro concentrazione, concisione, essenzialità. In realtà tutte le volte che li leggi e li rileggi scopri l’estrema profondità di quelle parole. Per documentarmi ho letto anche molti commenti, ho studiato dal punto di vista storico il tempo in cui sono stati scritti e in cui sono ambientate le vicende narrate, poi però sono ritornato al testo evangelico e sono ripartito da lì.

 Quali difficoltà presentano i Vangeli per i lettori di oggi?
L’elemento che genera i problemi maggiori per una loro piena comprensione è il fatto che chi li ha scritti era profondamente immerso nella cultura ebraica del tempo e aveva una grande familiarità con i libri dell’Antico Testamento. Sono innumerevoli i casi in cui i Vangeli rimandano, spesso letteralmente, a frasi veterotestamentarie. Il “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato” di Gesù sulla croce è la ripresa di un Salmo. Ma questo è soltanto un esempio tra i più noti. Ora è evidente che le continue allusioni a una tradizione religiosa assai radicata nella cultura degli evangelisti non possono essere decodificate dai lettori di oggi con altrettanta facilità.

Pasolini, nell’affrontare la preparazione del suo film Il Vangelo secondo Matteo, notava come un problema per l’uomo moderno, figlio della civiltà industriale, che si accosti ai Vangeli è il fatto che quei testi sono nati in una civiltà contadina oggi scomparsa. Così le immagini, le metafore, le similitudini (il grano e la pula, la zizzania, la vigna ecc.) non sono di immediata lettura…
Su questo punto mi permetto di non essere d’accordo con Pasolini. Questa difficoltà di cui parlava è in realtà presente nella lettura di qualsiasi testo antico, dalle tragedie di Sofocle alle Bucoliche di Virgilio, nella misura in cui la civiltà contadina era quella che li ha espressi. Nei Vangeli la complessità è legata alla tradizione ebraica presente praticamente a ogni riga.

Pasolini sul set de "Il Vangelo secondo Matteo". Nella foto,con lui, Enrique Irazoqui e Giacomo Morante
Pasolini sul set de “Il Vangelo secondo Matteo”. Nella foto,con lui, Enrique Irazoqui e Giacomo Morante

Dunque come ha cercato di renderli comprensibili all’uomo di oggi?
Ho provato a calarmi nella mentalità dei primi lettori di quei testi, che è un’operazione assai difficile, ma è anche l’unico modo di capire veramente. Ho compiuto uno sforzo in questo senso, evitando la tentazione dell’attualizzazione forzata.

Ritiene che sia sbagliato attualizzare il messaggio dei Vangeli? Eppure è quanto ogni domenica cercano di fare, con alterni successi, tanti preti dal pulpito…

Nella prospettiva della vita di fede è chiaro che attualizzare le parole dei Vangeli ha un senso ed è anche una cosa inevitabile. Del resto già i loro primi lettori, che ripercorrevano attraverso quelle pagine eventi di quaranta-cinquant’anni prima, erano chiamati a una attualizzazione dei contenuti. Si tratta di vedere in che modo si compie questa attualizzazione. Ascoltando le omelie pronunciate nelle nostre chiese non mi sembra che essa riesca sempre al meglio.

 Che cosa si sente di dire ai sacerdoti su questo punto?
Dico innanzitutto che non si può improvvisare, perché non è una cosa seria. È necessario studiare, formarsi, dotarsi di strumenti culturali ed esegetici adeguati alla ricchezza di queste parole, tanto più per un prete, che dovrebbe avere nei confronti dei Testi Sacri un rispetto particolare.

Quali errori andrebbero evitati?
Principalmente due, che purtroppo riscontro spesso nella predicazione. Il primo è quello di attualizzare i Vangeli in chiave politica, magari facendo riferimento alla situazione odierna. Questo è un grave errore, perché nei Vangeli c’è tutto tranne la politica. L’altro errore consiste nell’attualizzare in chiave morale o peggio ancora moralistica. L’etica ebraica del tempo, profondamente rinnovata da Gesù, non ha nulla a che vedere con la nostra morale borghese. Si tratta invece di mettere in luce che i Vangeli presentano soprattutto un messaggio di redenzione e di salvezza. Questo sì può essere un messaggio attuale per gli uomini e le donne di oggi, che ne hanno tanto bisogno.

 Qual è il suo Vangelo preferito?
Difficile dirlo, sono tutti e quattro molto belli, e trovo belli anche gli apocrifi, sebbene per il mio libro mi sia basato esclusivamente sui quattro canonici. Certo, quello di Giovanni è il più complesso e letterariamente elaborato, ma non mi spiace neppure Marco nella sua scarna essenzialità. In Luca, poi, ci sono pagine stupende su Maria.

 Lei è credente?
Questo lo deciderà il buon Dio quando sarà il momento… È certo però che ho sempre nutrito grande interesse e direi addirittura passione per il sacro e la dimensione religiosa.

 Ha avuto un’educazione cattolica?
Sì, ma non è stata molto felice. Fino ai quattordici anni ho studiato nelle scuole dei gesuiti, ma come capita a molti a quell’età mi sono allontanato dalla religione. La riscoperta è avvenuta più tardi, quando avevo trent’anni e ho letto San Paolo.

Che cosa l’ha affascinata in San Paolo?
La formidabile dialettica filosofica che troviamo nei suoi scritti, e che invece non è presente nei Vangeli. Non esiterei ad affermare che San Paolo è uno dei massimi filosofi dell’umanità.