Sullo scaffale. Leopardi, Dostoevskij, Pasolini campioni di verità umana  in un libro di Graziano Tarantini

Sul “sussidiario.net” del 10 marzo 2018, Valerio Capasa scrive una recensione entusiasta del libro di Graziano Tarantini Di un uomo. Leopardi, Dostoevskij, Pasolini, recentemente edito da Els La Scuola. Si tratta di un libro-testimonianza che incontra tre geni della letteratura e con la guida delle loro parole si interroga sul mistero del destino umano. In modo diretto e autentico, lontano dal già saputo e dalla polvere accademica, ma con disponibilità a lasciarsi spiazzare e sconvolgere da tre grandi, affrontati con la purezza del lettore comune.

Leopardi, Dostoevskij, Pasolini: quando il cuore conosce meglio del cervello
di Valerio Capasa

www.ilsussidiario.net – 10 marzo 2018

Il critico bulgaro Tzvetan Todorov ha scritto che la letteratura «può anche, cammin facendo, trasformarci nel profondo». Perciò «il lettore comune, continuando a cercare nelle opere che legge come dare un senso alla propria vita, ha ragione rispetto a insegnanti, critici e scrittori».
È questa trasformazione della vita che si percepisce leggendo il libro di Graziano Tarantini intitolato Di un uomo. Leopardi, Dostoevskij, Pasolini, appena pubblicato da Els La Scuola. Tarantini non è un critico letterario ma, appunto, un «lettore comune»: ed è in queste pagine che si fa letteratura vera, quella che fa i conti con il senso delle cose. Un libro alla portata di chiunque, che per studenti e insegnanti sarebbe un secchio d’acqua ghiacciata, capace di ricordare cosa sia la letteratura, il suo inscindibile legame con la vita concreta.
Incontriamo tre uomini — Leopardi (o della sproporzione), Dostoevskij (o della profondità), Pasolini (o della storia) — a cui l’autore ha rubato questioni fondamentali: «che cosa serva per essere realmente liberi» in un mondo anestetizzato dal miele del potere, o la presenza, troppo spesso dimenticata, di «qualcosa di irriducibile nell’animo umano». Non preziosi passatempi, insomma, ma «compagni di viaggio», che «distolgono dalle banalità e ci fanno sentire utile la vita».

Leopardi, Dostoevskij, Pasolini. Un montaggio
Leopardi, Dostoevskij, Pasolini. Un montaggio

La lettura dell’Infinito leopardiano, per esempio, ha permesso all’adolescente Tarantini che gioca sulla collinetta vicino casa di «avere finalmente a disposizione le parole per descrivere ciò che vedevo e che mi feriva». La letteratura infatti si inizia ad amare quando qualcuno pronuncia le parole che tu avevi sulla punta della lingua. Ma finché non ce le hai sulla punta della lingua, leggere rimane puro intrattenimento, non passa niente da cuore a cuore.
Soprattutto — qui sta un altro pregio del libro — mai gli autori sono presi a pretesto per discorsi personali, che è il brutto vizio di tanti lettori comuni esaltati da qualche ideologia e di tanti lettori professionisti esaltati da vezzi iperletterari. L’autore si gioca un corpo a corpo con Leopardi, Dostoevskij e Pasolini, senza nascondere come le loro opere lo spiazzino: al culmine della lettura del Canto notturno Tarantini si lascia scappare che «la vita di un uomo dovrebbe essere tutta tesa a cercare le risposte alle domande poste dal pastore di Leopardi», attendendo l’«ignoto necessario», senza adagiarsi borghesemente su «ciò che si può ottenere».
È lo sconvolgimento che Tarantini ha vissuto grazie a Dostoevskij: «L’uomo è un mistero. Se per tutta la vita tu avrai cercato di risolverlo, non dire: “Ho perso tempo”. Io mi occupo di questo mistero, perché voglio essere uomo». Inanellando citazioni da romanzi, lettere e saggi critici con rara agilità, l’autore ci fa scendere insieme al romanziere russo nell’«eterna santa tristezza» tanto più vera di ogni «soddisfazione a buon mercato», nella sofferenza per il male e nell’urgenza di gioia e di perdono.
Poi ci svela l’umanità di Pier Paolo Pasolini: «Qui si vive troppo col cervello e pochissimo col cuore: l’unico sentimento della gente di qui è l’ambizione nel migliore dei casi, e in genere, dei piaceri e del denaro […]. Adesso mi sembra impossibile che al mondo ci sia qualcuno che governa delle mucche, e che sta a cucinare la sera, presso il focolare, che innesta le piante… Eppure la vera vita dell’uomo è quest’ultima». Quando legge quello struggente passaggio pasoliniano sul ragazzo fascista a cui «forse sarebbe bastata una sola piccola diversa esperienza nella sua vita, un solo semplice incontro, perché il suo destino fosse diverso», Tarantini non può che avvertire l’eco della sua storia: «Ogni volta che rileggo queste righe sento tutto il peso di una verità: di essere migliorato negli anni, di aver acquisito una consapevolezza di me stesso, anche e soprattutto grazie all’apparente casualità di alcuni incontri significativi che hanno segnato la mia vita».
In forza di tale paragone letterariamente e umanamente leale tra letteratura e vita, questo libro “testimonianza” andrebbe suggerito, oltre che come un modello di scrittura e di umanità, come un’occasione per incontrare tre geni immensi e per scoprire il pozzo sterminato della letteratura. Quello in cui Todorov aveva ficcato gli occhi: «chi la legge e la comprende non diventerà un esperto di analisi letteraria, ma un conoscitore dell’essere umano».