In uscita “Pasolini ragazzo a vita” (Elliot ed.) di Renzo Paris

“Quando uscì nelle sale cinematografiche Il Vangelo secondo Matteo di Pier Paolo ero al Liceo, frequentavo il Liceo Mamiani, e con un gruppo di amici leggevamo ad alta voce Gadda, Joyce e ognuno per conto proprio Ragazzi di vita e La noia di Moravia. Con il nostro prof. di filosofia, Fanelli, parlavamo del ‘dialogo con i cattolici’ che i comunisti auspicavano, mentre le strade di Roma erano ormai affollate di macchine e lo smog si cominciava a far sentire.
(…) Una domenica pomeriggio entrai nella grande sala del Giulio Cesare e la trovai zeppa di gente che fumava e parlava ad alta voce. Trovai un sedile vuoto in prima fila e con il naso all’insù mi predisposi a vedere quel film di cui tutti parlavano [Il Vangelo secondo Matteo, ndr.]. Alla fine della proiezione ci fu un grande applauso e io uscii spavaldo. Pasolini aveva raffigurato un Cristo violento, che non faceva sconti ai mercati, ai mercanti e alla borghesia del tempo, violento anche con la sua famiglia di origine. Mi piacquero le facce contadine, con i sorrisi che scoprivano denti radi; mi piacque l’incontro con il possidente che nemmeno rispose a Cristo che voleva si spogliasse dei suoi beni e lo seguisse. Riconobbi tra i letterati vestiti da proseliti Siciliano e il volto della madre di Pasolini mi sconvolse.
Il paesaggio del film, inoltre, mi ricordava la mia Marsica, i miei monti, anche se invece erano quelli di Matera, di Barile e dintorni. Seppi più tardi che l’attore che interpretava il Cristo fu presentato a Pasolini dal mio amico Giorgio Manacorda e che quello, uno studente spagnolo, voleva fare la rivoluzione vera, non il protagonista di un film.
Mi colpirono particolarmente le musiche di Bach e tutta quella umanità che io avevo abbandonato in Abruzzo, dove c’erano ancora cavalli e carretti come mezzi di trasporto, ma sarebbe stato così ancora per poco. Conobbi Pasolini nel 1965, un anno dopo l’uscita del film nelle sale. Me lo presentò Siciliano e la nostra amicizia, con alti e bassi (questi  ultimi dovuti alla diversa visione del 1968), durò fino all’anno del suo martirio”.

Renzo Paris
Renzo Paris

In uno scritto collettivo, apparso di recente («Non sono venuto a portare la pace ma la spada». Il Vangelo secondo Matteo di Pier Paolo Pasolini cinquant’anni dopo in Basilicata, a cura di Maura Locantore, Sinestesie, Avellino 2015, pp. 143-144), è così che il poeta, scrittore, traduttore  e saggista  Renzo Paris rievoca gli esordi della sua amicizia con Pasolini, nel panorama della vivacissima Roma culturale, letteraria e cinematografica degli anni Sessanta.
Quel fermento “si spense con l’arrivo degli anni Settanta e il sogno della rivoluzione reale”, quando gli editori “pubblicavano solo saggistica politica”, ha dichiarato Paris in un’altra occasione, in un’intervista rilasciata nel novembre 2012 a Doriano Fasioli (www.riflessioni.it). Sul finire degli anni Sessanta, anzi, il Pasolini delle borgate “non era molto considerato”, diversamente dal suo lavoro nel cinema. Per Paris, invece, era come uno specchio:  “mi pareva di conoscerlo: -continua- provinciale a Roma come me”.
Da non perdere, dunque, il libro Pasolini ragazzo a vita che Paris  pubblicherà a breve per le edizioni Elliot di Roma, facendovi confluire ricordi e riflessioni sull’amico Pier Paolo a quarant’anni dalla morte. In attesa dell’uscita, l’autore ne ha letto alcuni passi in anteprima giovedì 20 agosto 2015 al festival dannunziano “Ariel a Castello”, nella cornice del Castello Ducale di Casoli (Chieti). ⌊angela felice⌋