Sopralluoghi in Calabria per il “Vangelo” (1964)

PAGINE CORSARE

Fondo Angela Molteni

La vita

“Pagine corsare” ha ripreso una interessante intervista concessa da Pier Paolo Pasolini a Marcello Furriolo, pubblicata sul primo numero de «il Manifesto» di Catanzaro nell’aprile del 1964 e poi edita dal sito “soverato.com”. Con l’occasione dei sopralluoghi per il progetto del film Il Vangelo secondo Matteo, il regista non manca di riflettere  anche sulla società del Sud, in particolare calabrese, e di aprirsi ad una spassionata analisi del film Ro.Go.Pa.G (1963), il film a episodi da poco realizzato a cui Pasolini aveva contribuito con il corto  La ricotta.

Intervista a Pasolini in vita del Vangelo
di Marcello Furriolo

“il Manifesto” di Catanzaro – aprile 1964

PASOLINI
Sono in Calabria per trovare dei volti nuovi per il prossimo film Il Vangelo, di cui inizierò le riprese il giorno 6 a Roma e a Tivoli, per poi trasferirmi in Puglia, Lucania e quindi, verso la fine di maggio-primi di giugno, qui in Calabria nelle zone di Cutro e Crotone.

MANIFESTO
Ulteriormente incuriositi, incalziamo: come mai ha scelto proprio queste zone per girare il suo film?

PASOLINI
Il paesaggio calabrese con i suoi meravigliosi contrasti naturali in cui a dolci pendii si contrappongono violenti sbalzi rocciosi, penso che sia determinante e quindi essenziale per il mio film.

MANIFESTO
Non del tutto soddisfatti della sua risposta, insistiamo: non avrà anche dei motivi, magari di carattere sociale?

PASOLINI
Penso che le folle colorite e varie che s’incontrano in queste zone difficilmente si trovino altrove. Ecco è proprio il senso; la bellezza di queste masse che io voglio sfruttare per il mio film.

MANIFESTO
La risposta ci dà modo di entrare in un argomento molto più preciso e forse a noi più vicino: cosa pensa della città di Catanzaro?

PASOLINI
Sono stato più volte a Catanzaro e ho avuto sempre la stessa sensazione. Catanzaro, come tutte le città burocratiche, è una città un po’ triste e deprimente. Infatti, malgrado si trovi in un posto molto bello e piacevole, la carenza di uno sviluppo urbanistico organico, per la mancanza di un piano regolatore, le conferisce un aspetto un po’ caotico e confusionario, ma sempre grigio ed amorfo, cosa che del resto avviene in moltissime altre città italiane.

MANIFESTO
Cerchiamo di ribattere che anche nella nostra città sussiste ed è caratteristica una certa vivacità, una certa vita.

PASOLINI
Non credo che possa considerarsi vita e quindi vivacità quella che caratterizza un certo tipo di società medio-borghese, in cui i problemi, le ansie, le attività nascono solo dalle preoccupazioni individuali egoistiche di una grigia classe impiegatizia che purtroppo per voi costituisce il nervo di questa enorme impalcatura burocratica. Penso che si possa parlare di vivacità, e quindi di vita, in quelle città marinare, mercantili, laddove si sente palpitare coralmente il cuore delle masse popolari.

Alfredo Bini in mezzo tra Pasolini e Welles sul set de "La ricotta" (1962)
Alfredo Bini in mezzo tra Pasolini e Welles sul set de “La ricotta” (riprese autunno 1962)

MANIFESTO
Questa risposta ci lascia un po’ sgomenti proprio perché ci ha quasi illuminati, ci ha prospettato in termini duri, come del resto è il suo stile, quella che è la nostra realtà di tutti i giorni. Ha messo a nudo la piaga più profonda della nostra società calabrese, in cui i feticci della nostra borghesia ci inchiodano nelle strettoie di orizzonti culturali legati agli schemi classici di un grigio qualunquismo. E di questo andazzo siamo proprio noi giovani a pagare le conseguenze, nella impossibilità di una libertà espressiva, nella inutile lotta contro le barriere insormontabili del monopolio politico e culturale.
Vogliamo passare, nella nostra intervista, a trattare un argomento che costituisce uno dei motivi del nostro interesse per questo personaggio. Abbiamo assistito giorni or sono alla proiezione del suo ultimo lavoro cinematografico: l’episodio La ricotta incluso nel film Laviamoci il cervello (il film è più noto con il titolo Ro.Go.Pa.G., di cui la dicitura  Laviamoci il cervello costituisce una sorta di appendice, ndr.). Abbiamo letto che la censura aveva bloccato il film proprio per il suo episodio. È stato tagliato molto?

PASOLINI
Niente affatto, altrimenti non avrei accettato di presentarlo. Ho dovuto subire solo l’eliminazione di due battute, d’altra parte per nulla determinanti alla comprensione del film stesso. Ed in questi si è dimostrato palesemente che le accuse rivoltemi, di vilipendio alla religione, non sono state che un pretesto.

MANIFESTO
Che cosa ha inteso esprimere col suo episodio?

PASOLINI
La chiave del mio episodio sta nella distruzione totale dell’individuo borghese medio, con la sua ignoranza, i suoi terribili difetti, ed è questo che ha urtato contro la suscettibilità della censura.

MANIFESTO
Infatti, aggiungiamo, essa balza fuori chiara dalla frase di Orson Welles al giornalista immerso nella sua irrimediabile mediocrità.

PASOLINI
Esatto; la storia serve solo da sfondo, anzi direi quasi da pretesto.

MANIFESTO
Comunque il film, tranne il suo episodio e in un certo senso quello di Godard che si rivela soprattutto valido dal punto di vista narrativo e quindi del linguaggio in immagini, si rivela un po’ povero di idee e mi sembra che segni un terribile passo falso di un grande maestro come Rossellini.

PASOLINI
Sì, in effetti il film è molto brutto e bisogna proprio dire che la cosa più brutta l’abbia fatta Rossellini. Peccato perché è stata qualcosa di veramente impensabile e ciò sebbene già in precedenza io avessi espresso il mio giudizio allo stesso Rossellini. Per quanto riguarda Godard, ha fatto un episodio senza impegnarsi molto, anche se in ogni immagine si può riscontrare la mano del grande regista. Dell’episodio di Gregoretti meglio non parlarne.

In merito al lavoro che sta per iniziare, che lui comunque considera un po’ affrettato, non azzardiamo nemmeno una domanda convinti come siamo che un’arte come quella di Pasolini si attua nell’intima dialettica delle immagini che trascendono ed esaltano nello stesso tempo i valori contenutistici, dando all’opera cinematografica una plastica evidenza che si attua nel pathos dei vividi contrasti chiaroscurali. In altri termini siamo persuasi che un suo film sia tutta un’esperienza da vivere ed in essa e per essa si realizzino, anzi si incontrino le nostre più inconsce aspettative con gli intenti programmatici dell’autore.