“Profezia” di PPP secondo Marco A. Bazzocchi

La rivista online www.doppiozero.com ospita vari interventi su Pasolini  nel quarantennale della morte. Si tratta di interviste poco note o  di lettere aperte  di alcuni scrittori contemporanei rivolte al fantasma del poeta scomparso. Di recente una nuova rubrica ripubblica  anche alcuni testi poetici particolarmente attuali, che sono scelti , curati e introdotti da Marco A. Bazzocchi. Il primo è Profezia, commentato  dal critico bolognese il 26 settembre 2015. 

“Profezia”
Il commento di Marco A. Bazzocchi 

Libro delle croci si chiamava l’ultima sezione di Poesia in forma di rosa. Erano calligrammi, cioè testi che riproducevano, attraverso la lunghezza variata dei versi, la forma della croce: una forma prediletta, se è vero che col segno della croce si chiude Accattone, sulla croce muore Stracci, protagonista della Ricotta, con le braccia legate a croce muore Ettore in Mamma Roma. La croce è il luogo del sacrificio, ma il punto che si trova all’incrocio dei due bracci è un punto messianico: da lì il tempo ricomincia, la Storia riprende il suo corso. Lo aveva detto Walter Benjamin, sovrapponendo marxismo e Talmud. Ora Pasolini pensa che l’umanità si trovi a un nuovo inizio, immagina che (tra il ’63 e il ’64) sia finita un’epoca e se ne annunci un’altra, che lui chiama Nuova Preistoria o anche Dopostoria. E la prima poesia delle croci si intitola La nuova storia. Pasolini si raffigura come un’anima che vola al Nord, fino a Milano, e scorge un panorama di grattacieli, gente nuova che guarda al futuro e che afferma la propria posizione di borghesi, padroni del mondo. L’anima a questo punto si riduce a un pezzo di giornale sbattuto dal vento tra i piedi dei nuovi padroni, gli angeli che attraversano le strade di questa nuova Città. Profezia è il proseguimento e il rovesciamento della Nuova storia. Anche qui c’è un movimento improvviso che dal Sud sale verso il Nord, ma è un movimento di masse, di corpi giovani. All’inizio vediamo un giovane solo, un “figlio” che si trova in Calabria, e vede un mondo arcaico ormai abbandonato. Questo figlio non sa nulla di coltivazioni, di aratura, di case di fango. Ormai lui pensa ai suoi fratelli del Nord, ai ragazzi operai che combattono per altre cose, per i loro diritti lavorativi e salariali: la Storia si è spostata dal Sud al Nord. Ma improvvisamente – e qui inizia la “profezia” – il movimento si inverte: altri giovani arrivano dal Sud del Mediterraneo, si imbarcano ad Algeri guidati da Alì, un arabo con gli occhi azzurri. E questi milioni di giovani sono come i Greci che una volta sbarcarono in Calabria: arrivano a Crotone, a Palmi, e portano con sé il “germe della Storia antica”. Questa massa di umili, di deboli, di sudditi, scende in un mondo dove sta per iniziare la Nuova Storia, sono angeli che portano distruzione. Non assomigliano all’Angelo malinconico di Benjamin che guarda alle macerie del passato e vorrebbe riscattarle, cioè salvarle dall’oblio. Sono giovani distruttori, e vengono a rapinare, a uccidere, a espropriare, cioè vengono per portare ai nuovi borghesi l’ultima speranza di libertà: «distruggeranno Roma / e sulle sue rovine / deporranno il germe / della Storia Antica». Il Papa dal sorriso buono (Giovanni XXIII) li accoglierà e si unirà a loro («nel suo dolce, misterioso sorriso di tartaruga, capirà di dover essere la Guida dei Miserabili»), accompagnandoli verso il Nord e l’Ovest dell’Europa.

Pasolini ha appena letto il libro di Fanon sui Dannati della terra, che esce con la prefazione di Sartre. E Sartre viene esplicitamente citato come colui che ha insegnato all’autore la storia di Alì, il giovane arabo che convive qui con un Papa buono, astuto al punto da sventolare con lui le bandiere rosse di Trotzky. Per l’ultima volta questo colore si depone sui versi di Pasolini. Gli anni cinquanta sono finiti, finito non solo un decennio ma un’intera epoca. E allora si può sognare una rivoluzione, facendola passare nello spazio stretto che separa la storia finita da quella che deve iniziare: sotto la forma violenta dell’invasione, della discesa dalle navi di nuovi barbari coperti di stracci e di pidocchi. Un incubo per l’Europa borghese, Sartre compreso. Una paura anche per i marxisti italiani, che pensano ormai alle sorti della classe operaia e non più ai contadini del Sud. Una paura che si ripete a scadenze regolari, e impedisce di guardare con lucidità ai rivolgimenti della storia. Ma Pasolini sa che la sua profezia ormai non funziona, che bisogna interromperla. Lo scrive in alcuni versi non pubblicati, dove ammette di non poter andare avanti con la profezia, perché ormai la poesia è diventata un ingombro, e lui si rende conto di non conoscere il passato né di possedere realmente il presente. L’unica possibilità che gli è concessa è di denunciare la sua condizione di profeta diseredato, di Cassandra sfiatata. La vitalità dei giovani pirati arabi si capovolge nella disperazione del marxista deluso.

Pasolini nel 1972 a Milano, al dibattito "Libertà d'espressione tra libertà e pornografia". Foto di Letizia Battaglia
Pasolini nel 1972 a Milano, al dibattito “Libertà d’espressione tra libertà e pornografia”. Foto di Letizia Battaglia

La poesia Profezia è in P.P.Pasolini, Tutte le poesie, a cura di W. Siti, “Meridiani” Mondadori, Milano 2003, vol. I, pp. 1285-1291.