Pier Paolo Pasolini non è (più) qui: ‘viaggio’ nei luoghi della sua gioventù.

Pier Paolo Pasolini non è (più) qui: ‘viaggio’ nei luoghi della sua gioventù

8 gennaio 2013, dal blog http://pqlascintilla.ilcannocchiale.it/

Non so bene per quali inconsce ragioni abbia lasciato trascorrere mesi prima di scrivere le presenti impressioni su quella che avevo da sempre considerato la visita più desiderata della mia vita, che mi ha portato soltanto all’inizio del mese di agosto 2012 in territorio friulano, a Casarsa, paese natale della madre di Pier Paolo Pasolini, dove trascorse parte della giovinezza e dove è sepolto; per anni pensata, ventilata e sempre rinviata, con un velo di sottile e angosciante amarezza, la stessa ogni volta provata nel rapportarmi al ricordo lacerante della sua brutale uccisione, al fascino esistenziale che mi coinvolse e accompagnò (e ancora accompagna) insieme ad una moltitudine di altri estimatori, nonché la crescente lontananza fisica dopo che mi ero ripromesso di conoscerlo, senza però essere riuscito a mettere in pratica tale proposito.
Si, dopo il ravvivarsi della vecchia scintilla attraverso il blog che nel 2009 prese il nome appunto dell’omonima rivista edita in Val d’Ossola dal Circolo culturale intestato al Poeta subito dopo la sua scomparsa, è stata forse la necessità di una conoscenza diretta, di un contatto – pur se post mortem – a mantenere attiva la volontà di chiudere in modo simbolico un percorso iniziato quella tragica notte fra l’uno e il due novembre del 1975; mentre tale volontà ha potuto infine concretizzarsi, grazie al sensibile impegno di una persona molto speciale.

Casarsa della Delizia

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Per chi non usa navigatori stradali, non è così comodo arrivare al paese, perché appena lasciata l’autostrada per Pordenone, alla prima rotonda il bel nome di “Casarsa della Delizia” scompare e il titolare del bar nelle vicinanze ricorda con un certo fastidio i numerosi avventori – provenienti non solo da tutta Italia – che si fermano per domandare a lui la giusta direzione. Anche l’impatto con la periferia anonima del Comune non è esaltante, con quel cartello toponomastico che indica insieme ai nomi in dialetto anche la caratteristica principale del luogo, ossia “città del vino”, quasi a paventare una marca rinomata dello stesso dal nome di “Pasolini”.
Le aspettative però sono ben altre e il pensiero eccitante dell’itinerario prospettato per telefono dalla cortese Angela Felice, interpellata in precedenza come direttrice del locale Centro Studi intestato allo scrittore (edificio intravisto sulla via per raggiungere il vicino albergo), impregna il tempo serale di questa calda giornata friulana. L’incontro con lei è previsto prima di cena, quando dopo le presentazioni e non molte parole (le sue di marcata dolcezza fonetica, in sintonia con l’insieme dell’esile figura), l’imbarazzo iniziale si scioglie nella famigliare percezione di una chiara sintonia nel ricordare opere e vita di Pasolini, in particolare per le anticipazioni su quanto ci avrebbe poi accompagnato a vedere. “Domani mattina andate a visitare il cimitero, entrando a sinistra ad una decina di metri contro il muro di recinzione troverete subito la tomba di Pier Paolo con la mamma Susanna Colussi; quasi di fronte vi è quella della zia Giannina e poi quella del padre Carlo Alberto, mentre sul lato destro è sepolto il fratello partigiano Guido. Dopo venite al Centro, io vi aspetto là”.
La notte, le parole di Angela – con quel “la tomba di Pier Paolo…” -, il suono delle campane che battono le ore (immutate nelle epoche e nella tradizione), insieme alla atmosfera del posto, impediscono al sonno richiesto dalla stanchezza del lungo viaggio di cogliermi presto. Non ero, in un sogno, così vicino alla morte dell’intellettuale che tanto spazio aveva occupato e occupava nel mio cuore, che aveva trasformato buona parte della mia esistenza in una continua, ossessiva lotta personale, ma ero davvero là a poche centinaia di metri dalle sue spoglie, a poche ore da quell’appuntamento tanto agognato e dagli esiti intimi poco prevedibili. I film visti, i libri letti, gli innumerevoli pensieri – passati e più recenti -, le discussioni infinite, gli articoli (anche miei) che lo avevano riguardato, tutta l’amalgama dei sentimenti di “religioso affetto” verso la sua persona e di totale adesione nei confronti delle sue nette prese di posizioni, si stavano concentrando in quel poco lasso di tempo che ci separava dall’alba, forse in un bisogno profondo di placare la mia rinnovata inquietudine, riscattando così – quasi in un reciproco perdono – una mancata (e ora impossibile) diretta conoscenza.

Il cimitero

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Il cimitero è come altri, non tanto grande e vi si accede attraverso un viale di cipressi da percorrere in auto; poi, a lato dell’ingresso, una targa indica come raggiungere la tomba più conosciuta e importante; sono pochi passi che fanno salire l’emozione quasi fino alle lacrime però trattenute alla vista del boschetto che, adiacente il muro di recinzione, sovrasta due quadrati di marmo bianco – posati a terra fra i ciottoli e bordati da un’aiuola di minuscole piantine – con le scritte: PIER PAOLO PASOLINI e sotto fra parentesi le date “1922-75” (quella di destra) e SUSANNA COLUSSI, VED. PASOLINI, (1891-81) a sinistra, mentre sassolini, rametti o fiori secchi e bigliettini sono sparsi sulla lastra in particolare di Pier Paolo. Il tutto infatti, oltre al senso di umiltà e semplicità voluto – come verremo a sapere in seguito – dal progettista in sintonia con le personalità dei defunti e l’amore sconfinato che legava madre e figlio, dà un’idea di trasandatezza e quasi di “abbandono”, con gli arbusti di alloro e di gelsomino rampicante dietro sul muro cresciuti a dismisura e poco curati e svariato fogliame secco (tanto che l’impulso, poi soddisfatto, è stato quello di fare un po’ di sommaria pulizia). Ci diranno che compete alla cugina Graziella Chiarcossi – severa custode dell’eredità letteraria di Pasolini – la cura indiretta di questa tomba su cui, a quanto pare, non può intervenire o interferire neppure l’amministrazione comunale, ma è stato superfluo chiedersi come mai la spesa di un giardiniere anche soltanto per un’ora alla settimana (almeno nei mesi estivi) non potesse e non possa essere distolta dalle consistenti cifre che si presume continuino a fruttare i diritti sulle innumerevoli opere del Poeta di Casarsa.
Immaginando il lungo elenco di personalità e di gente comune non solo italiane che hanno sostato in quel luogo, in preghiera o in meditazione, nonostante la profonda delusione visiva la commozione rimane forte insieme al bisogno di un intimo dialogo. Sono quasi a contatto con i tuoi resti, diversi, ma non nella loro essenza devastata, dal corpo martoriato che fu scoperto la mattina di quel lontano (troppo lontano!) due novembre 1975 e vorrei poter entrare in sintonia almeno con il senso che ha avuto la tua morte sulla quale molti ancora s-parlano o continuano con ossessiva inutilità ed evidente pretesto a voler indagare: “…il voler discutere ancora sul sapere perché e come sia stato ucciso Pier Paolo Pasolini mi pare un esercizio retorico e un po’ ipocrita, se a farlo sono soggetti estranei alle inchieste giudiziarie, ai processi e quindi alla famiglia”. E’ la tua inesistenza che ha pesato in modo crescente nei decenni di fronte ad un Paese e a un Popolo “…degenerati, ridicoli, mostruosi e criminali”, è il vuoto abissale, assoluto e incolmabile determinato dalla tua scomparsa ad aver lacerato le coscienze pulite e libere. Perché nessuno ha saputo, potuto o voluto raccogliere la tua eredità intellettuale per scongiurare l’avverarsi di tante annunciate tragedie sociali e culturali, di altre ‘stragi’?
“Altro non ho trovato in questa Italia / derelitta, che l’anima viscerale di un Poeta / senza età con la cui luce mortale cresce / la mia vitalità: per altre battaglie / più importanti rendo la mia anima / all’odio non più vano! E voi canaglie / statemi lontano! Prendo su di me / la vostra infamia! Aspiro io, oggi, / a quella disperata condizione / perché lei sola mi mostra la certezza / che vinta non è stata l’ambizione!”
Ahi! se fossi riuscito, con più coraggio, a superare l’illusione di quei lontani poetici propositi, la rabbia di ritrovarmi inerme, incapace e – forse – solo; sarebbe stato lo stesso tutto vano, lo so, lo sento (non ha lasciato scampo e ha coinvolto tutti la “tua” mutazione antropologica), ma almeno oggi, di fronte al marmo “silenzioso e indifferente” che ti ricopre, mi sentirei meno affranto dal rimorso.
Già una volta, sul litorale di Ostia, a cercare il luogo dove lo scempio fu compiuto, mi dovetti consolare con una insolita e inaspettata stretta di mano con un vecchio cameriere che nel suo locale a volte t’aveva servito.

Il Centro studi e Casa Colussi

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Dobbiamo tornare in paese, Angela ci aspetta al Centro Studi, vi sono ancora tante cose da vedere e un po’ di foto ci sono già, unite al proposito di rinnovare la visita, quando la tensione dell’impatto iniziale sarà scemata nella consapevolezza in fondo gioiosa di aver soddisfatto un lungo e sofferto desiderio, pur se in modo parziale.
Con me, come documentazione, ho portato le copie dei numeri de «La Scintilla» e quelle di alcune lettere inviateci ai tempi del “Circolo P.P.Pasolini” da suoi famigliari e amici (Giannina Colussi, la stessa Graziella Chiarcossi e Laura Betti, comprese le missive del Prof. Gianfranco Contini, che fu anche – con le Poesie a Casarsa – il suo primo recensore, a rivelarci poi fra l’altro la venuta di Pasolini a Domodossola nella casa di Calice del grande filologo, dove più volte ebbi poi l’occasione speciale di “inebriarmi” di quella lontana visita).
Per l’archivio importante dell’Ente costituito nel 2005 con il contributo del Comune di Casarsa, della Provincia di Pordenone e della Regione Friuli Venezia Giulia, non so se potranno interessare questi “virgulti pasoliniani” che subito dopo la sua uccisione vivacizzarono la vita culturale dell’estremo e pur conosciuto lembo d’Italia al confine con la Svizzera, ma per i giovani protagonisti di allora hanno rappresentato e rappresentano ancora (con quanto è scaturito anche negli ultimi anni) un materiale prezioso. “Casa Colussi” (dove era nata mamma Susanna) è parte integrante del Centro Studi e sono proprio quei locali che credo facciano di più sentire e vivere – con meno asetticità percepita in altre sale – la storia e le vicende umane dei ‘personaggi’ che le hanno abitate, compreso quel legame quasi morboso di amore fra Pier Paolo e colei che segnerà in senso profondo (e positivo) tutta la sua esistenza.
Poter toccare quei mobili, una scrivania in particolare, che facevano parte della quotidianità (e del lavoro-passione), supera poi la sensazione di vicinanza che pur danno le innumerevoli fotografie famigliari e giovanili o quelle sul set di alcuni film (è in visione, per giunta, la mostra di 70 memorabili scatti del fotografo Roberto Villa durante la lavorazione de Il fiore delle Mille e una notte), i documenti e le lettere autografi, i dipinti, altri oggetti.
Nella piccola specifica biblioteca del Centro Studi (quella comunale poco distante intestata a Pasolini la visiteremo più tardi in compagnia competente del responsabile Marco Salvadori, autore di una esauriente Storia di Casarsa della Delizia che ci donerà), gli innumerevoli testi critici o fotografici e le tesi di laurea che riguardano lo scrittore, nonché le copie delle sue opere letterarie e cinematografiche dimostrano anche a colpo d’occhio il peso e la forza intellettuali avute ed esercitate da Pasolini e la frenesia di poter sfogliare numerosi libri sconosciuti o introvabili.
Come quello considerato da Angela davvero unico e prezioso: Un paese di temporali e di primule a cura del cugino Nico Naldini. Un volume che invece una quindicina di giorni più tardi riusciremo a recuperare in modo casuale attraverso un acquisto su Internet.
C’è una sensazione crescente di sentire un po’ meno esclusivo dentro di me lo “spirito” di Pier Paolo, come se quell’ufficialità così consistente, incisiva e completa – accrescendo in modo esponenziale la grandezza collettiva della sua figura – rendesse insignificante la mia personale passione per lui, una certa presunta simbiosi, se non il mio implicito e forte legame ideale con un modo critico originale ed esclusivo di rapportarsi alla realtà che in parte ero e sono convinto appartenesse anche a me.

Santa Croce

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Sarà la visita alla vicina chiesetta di Santa Croce, “…arricchita nella facciata – come recita il dépliant illustrativo degli Itinerari pasoliniani – dagli archetti a sesto acuto sotto gronda, dalla porta rettangolare inquadrata in pietra con timpano interrotto e dall’occhio circolare…” e di cui Angela mi consegnerà le chiavi per una simbolica e gradita “apertura”, sarà questa visita – dicevo – a restituirmi la solita dimensione di Pier Paolo, anche nella sua (e nostra) solitudine.
Qui, infatti, si svolsero il 6 Novembre 1975 le sue esequie private, alla presenza di famigliari, amici e cittadini del luogo; ad accoglierlo ed a tenerne l’orazione funebre, un altro significativo poeta friulano, padre David Maria Turoldo.
Quel giorno Pasolini era tornato lì, dove tante volte aveva ammirato gli affreschi del presbiterio poligonale realizzati da Pomponio Amalteo e al cospetto di quella famosa lapide che a trent’anni dall’invasione dei turchi del 1499, rendeva grazia alla salvezza di Casarsa risparmiata dalle loro devastazioni.
Lapide che nel 1944 (con evidente trasposizione con l’occupazione nazista e la Resistenza) avrebbe ispirato al suo illustre concittadino ora ritornato per sempre il dramma teatrale in dialetto I Turcs tal Friùl.
Immagino la tua bara, vicino, e penso a quanti, lontano da questo luogo protettivo – nella Roma capitale, fra quella “massa omologata” – ti hanno odiato (forse anche fino al punto di massacrarti), deridendo la tua diversità totale, cercando di osteggiare il tuo lavoro, di isolare le tue chiare posizioni, di sminuire le tue invettive profetiche, di smorzare il tuo amore per la verità e la vita. Nessuno, credo, avrebbe resistito e perseverato come te al fango e all’avversione pubblica quotidiani, alle espressioni vergognose di un Potere e di un Paese (il “Palazzo”), immagine riflessa e complementare del suo Popolo (un tempo da te amato), nessuno avrebbe assunto sulla sua persona il compito arduo di rappresentare uno strumento di rivoluzione culturale e intellettuale così esposto e bersagliato (anche fra la cerchia delle ‘amicizie’ letterarie). Mi sono sempre chiesto e mi chiedo, come molti, quale sarebbe stata l’evoluzione del tuo pensiero, che tipo di analisi negli anni avrebbe provocato in te (con la solita lucidità?) la situazione degenerativa vissuta dall’Italia (e dal mondo) e come, la stessa – nelle sue varie rappresentanze istituzionali, politiche e artistiche – avrebbe continuato a reagire, senza la tua morte, con la tua presenza, i tuoi interventi, le tue opere. Domanda di retorica amarezza, lo so, ma le risposte – almeno per quanto mi riguarda -non hanno mai lasciano spazio ad alcuna incertezza: implacabile e feroce sarebbe apparso ancor di più il tuo “solitario e angosciante grido” contro ciò che già allora stava producendo la televisione che, scrivevi: “…diventerà ancora più potente e la violenza del suo bombardamento ideologico non avrà più limiti. La forma di vita – sottoculturale, qualunquista e volgare – descritta e imposta dalla televisione, non avrà più alternative” (è fra l’altro da tale convinzione e dopo la lettura del volume Pasolini e la televisione curato nel 2011 dalla medesima Angela Felice per le Edizioni Marsilio e ricevuto quel giorno in omaggio, che – dopo più di un anno di gestazione – nel mese di settembre sul blog avrei formulato la supposizione teorica circa lo sbocco inquietante per me avuto dall’originaria “mutazione antropologica”, in seguito al potere invasivo a livello neurologico prodotto dalla riproposizione ossessiva quotidiana di immagini filmiche, con questa conclusione: “Dal regno nefasto delle Televisioni, io ne sono convinto con angosciante e razionale percezione, è nato – o sta nascendo – ‘Un Uomo Nuovo’” (articolo originale); in quanto al potere della nomenclatura di ogni grado e settore invece, è più semplice dedurre che di pari passo con la sua terribile involuzione etico-morale (criminale), ti avrebbe ritenuto col tempo del tutto insopportabile, cercando di negarti ogni spazio di espressione libera, fino ad arrivare poi (è presumibile attraverso la Mafia) ad organizzare in grande e non frainteso stile la tua eliminazione fisica. Quella reale, la morte in senso storico, ti aveva portato qui, nella chiesetta di Santa Croce a Casarsa dove io – dopo quarantasette anni e fra le più contrastanti reazioni emotive – stavo cercando ancora di sentirti e parlarti.

Versutta: Sant’Antonio Abate

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E’ diverso, ma lo stesso interessante ed evocativo, l’impatto con un altro piccolo luogo di culto, Sant’Antonio Abate, dove alcuni notevoli affreschi del XIV secolo, coperti da intonaco, furono riportati alla luce proprio da Pasolini e dai suoi allievi; abbiamo infatti raggiunto la località periferica Versutta dove lo scrittore era dovuto sfollare nel 1944 con la madre in seguito al pericolo della distruttiva ritirata tedesca e lì, in un casolare, vengono organizzate – e dureranno peraltro fino al 1947 – lezioni scolastiche per i ragazzini che non possono allontanarsi dal luogo (di sicuro molto cambiato da allora “…gelsi in grande quantità, e vigne nei (…) dei campi.  Il frumento, la segale e, soprattutto, il granoturco, crescono abbondanti, nei piccoli campi, separati da un gran numero di rogge, roggette, fossati. A febbraio, quando nessuna foglia fa ombra, la campagna pare infinita – come nelle notti di luna -; arriva presso le montagne e, ai piedi di queste si vedono, come file di perline, i paesini del Friuli…”, ma l’atmosfera contadina incontaminata di cui un giovane maestro-poeta si inebriava e ne veniva ispirato, è percepibile lo stesso fra il verde di prati e coltivazioni e la vetustà di alcuni edifici). Di tutto questo e di quel particolare periodo di costrizione territoriale – peraltro non improvvisa se Pasolini già nell’autunno del 1943 aveva affittato lì una camera presso la famiglia Bazzana -, non so se la minuta fontana a parallelepipedo posta nella piazzetta a ridosso della chiesa, risistemata dall’architetto Paolo De Rocco con i sassi del Tagliamento e vecchi mattoni , sia la “rappresentazione” oppure se (come nelle intenzioni dichiarate) costituisca solo il simbolo della poesia pasoliniana, portando incise nella parte superiore e sui due fronti le scritte di due sue opere, ossia “gioventù – la meglio – la nuova”; una cosa è certa, lo zampillo di acqua da cui voglio bere e bevo, questo si come gesto simbolico, è fresca e buona come del resto tutte le rogge di cui era ricca la campagna di Casarsa e di cui lo stesso Pasolini ebbe a lamentarsi per la loro progressiva scomparsa.

Valvasone

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Si è fatto tardi per il pranzo previsto in un accogliente e particolare ristorante nell’incantevole piazzetta di Valvasone (“…la gioia fu completa davanti ai portici a sesto acuto dell’annosa piazza…”) a ridosso della sua torre suggestiva (“…chi mi assicura che io non abbia gridato davanti al castello?…”), come tutto quel borgo dove il silenzio ti avvolge fino a fermare, insieme alla tipologia di numerose costruzioni (di cui quella con la vecchia ruota per macinare mossa ancora dall’acqua ne rappresenta un esempio prezioso), il trascorrere del tempo (“…Con l’andar del tempo questo paese divenne uno dei luoghi sacri del mio grande lucus friulano, e spesso tornavo a visitarlo…”); tempo che invece di fatto è incalzante e sta consumando in fretta la nostra visita; una nuova sosta al cimitero, riafferma le sensazioni precedenti, senza aggiungere o togliere né domande né risposte al mio dialogo (in realtà monologo) attraverso cui a contatto con i resti di Pier Paolo avrei voluto e voglio capire qualcosa di più e meglio su…; stacco un rametto di alloro per conservarlo (lo metterò fra le pagine di Scritti corsari).
Tolgo altre foglie secche coadiuvato da Angela, la quale cerca di giustificare la situazione non del tutto decorosa della tomba, poi, in silenzio, penso ad un saluto che – nell’intimo – vibra come un addio, guardo i due marmi, stendo verso di loro un pugno chiuso (eh! …l’inattualità del saluto comunista) ed esco seguendo gli altri.

San Vito al Tagliamento

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La sera, con la luna piena bassa nel cielo, sarà magica a San Vito al Tagliamento, con la sua malinconica illuminazione notturna e la sua incantevole pur estesa piazza (quell’incredibile campanile che svetta solitario!) e le vie misteriose dove nelle loro escursioni in bicicletta Pier Paolo e si suoi compagni scoprivano la “topografia sentimentale del Friuli”.

La zona di questa pianura che ha per centro Casarsa e sul cui perimetro di collocano Spilimbergo, Domanins, Zoppola, Bannia, San Vito, Cordovado, Portogruaro e il Tagliamento, è ormai per me priva di misteri geografici.

Il desiderio di potersi fermare di più in un luogo così, va ben oltre la condizione ovvia dell’estate, delle vacanze, del dolce far niente, anche se altri precisi scopi hanno fatto scaturire questo viaggio che, domani, volgerà a conclusione almeno rispetto agli Itinerari pasoliniani e l’ultima notte a Casarsa della Delizia sarà impregnata dell’atmosfera di silenzioso romanticismo assorbita a San Vito.

Codroipo – Villa Manin

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Sulla via del ritorno, la tappa prevista dovrà essere Udine, una città davvero bella, con un suo specifico e inconfondibile fascino non solo notturno e molte attrattive (fra cui una importante mostra di dipinti e scenografie di Dario Fò) e poi Gorizia, pessimo luogo, in pratica deserto, dove quasi tutti i locali risulteranno chiusi, dai ristoranti al castello, unico richiamo turistico (in ristrutturazione); però le nostre mete non erano tali e la sosta consigliataci a Codroipo nell’imponente Villa Manin ci riserverà due grandi sorprese: l’esposizione dei costumi cinematografici di Pasolini della sartoria Farani di Roma (con l’incredibile e strana sensazione di poter toccare le vesti indossate da Silvana Mangano e Franco Citti – quindi maneggiate anche da Pier Paolo – nel film Edipo Re) e una vasta personale dell’artista sloveno Joze Ciuha (dopo il lucido dialogo avuto con lui, dei suoi 84 anni ci saremmo resi conto soltanto dall’incedere incerto con un bastone).

Il ritorno

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E’ tempo di salutare chi, in questi due giorni, ha svolto con diligenza il suo compito professionale di guida alla scoperta dei luoghi che furono cari allo scrittore e che vivono anche con l’esposizione e la valorizzazione delle sue opere, dei suoi oggetti, della sua presenza giovanile (non basterebbe il vino a rendere conosciuta al mondo Casarsa della Delizia!); da parecchio ormai c’è il Centro Studi (che sforna svariate iniziative all’anno) ed è alla medesima responsabile, ad Angela che – nel commiato – mi piacerebbe confessare il vero motivo della mia visita, l’intimo desiderio avuto di “incontrare” Pier Paolo, in un certo senso di recuperare gli anni perduti nell’inerzia o nell’indifferenza, di superare i rimorsi e riuscire a riscattare la sua morte; oppure che non so ancora bene cosa riporterò con me e in me, di nuovo e di diverso, tornando a casa, nelle mie “sperdute e becere” montagne ossolane, né se un po’ del senso di sconforto, di delusione, di stanchezza (di fronte al calviniano “inferno quotidiano del mondo e dei viventi”) sia rimasto qua dove appunto dovrebbe sentirsi ( e io avrei dovuto sentire) di più quella sua presenza di passione e di lotta; ma non riesco a spiegare più nulla ad Angela, posso soltanto abbracciarla e dirle grazie.

Mi sto chiedendo, uscendo dal Centro Studi, se nonostante i reciproci “arrivederci” e buoni propositi tornerò ancora in questi luoghi, a Casarsa, a cercare qualcosa di Pasolini, a parlare ancora con lui, a interrogarlo; le risposte (che in fondo mi sono dato) durante la visita comunque positiva e intensa, non sono esaurienti, permane una delusione di fondo ma ora non ne comprendo le ragioni che soltanto dopo giorni e giorni percepirò con chiarezza, anche se una frase mi frulla subito nella testa mentre l’auto percorre la strada che porta fuori dal paese, in direzione Udine.
Il responsabile della biblioteca Marco Salvadori e Angela Felice, presi dai loro innumerevoli impegni (uscirà nel frattempo anche il volume Pasolini e il teatro sempre di Marsilio e a cura della medesima Felice, la quale è anche direttrice artistica del Teatro Club di Udine), non si faranno più sentire e resteranno nei miei ricordi di illuso e provinciale “emule” dell’ultimo grande e originale intellettuale italiano. In quanto al medesimo, ho capito e credo che l’ufficialità (di qualunque natura o aspetto) ha un peso molto relativo nel cercare di rendere attuale – dunque applicabile – il suo metodo analitico sociologico (marxista, per la sua visione) di giudicare la realtà e i fenomeni e non soltanto perché la massa (nonostante Internet) è quasi del tutto esclusa da qualsiasi proposito o messaggio educativo estrapolato o dedotto dalle sue opere e dalle sue posizioni; peraltro, va ribadito, a livello di élite letteraria e giornalistica nessuno lo ha saputo e lo sa almeno “imitare” in questo e non è proprio sufficiente che si allarghi soltanto – appunto attraverso le iniziative e la conoscenza, a meno ché non sia avviato un serio programma scolastico – la platea di coloro che (da una parte pure in modo pretestuoso, per interesse, per moda o ambizione-vanto) lo seguono, lo studiano e lo amano (in modo paradossale cresciuta proporzionalmente al peggioramento generale del Paese e, in particolare – come conferma delle vecchie denunce corsare -, della sua informazione in primis televisiva).

Epilogo

Il messaggio reale di Pasolini, il suo“spirito libero, vive e aleggia dunque soprattutto dove – ovunque nel mondo – esistono esseri umani reietti e sfruttati, dove la potenza distruttrice e avida del Capitale tiene soggiogati interi popoli, dove neppure il sentimento della pietas rende dignità sociale a milioni di migranti, esuli o rifugiati privi di cittadinanza, dove la discriminazione etnica, religiosa, religiosa e sessuale è pretesto doloroso di dominio, dove la macchina terribile e costosa delle guerre (preparate, volute, sostenute o attuate da Paesi “civili”, compreso il nostro), mietono nell’indifferenza vittime e devastazioni immani; in Italia invece, vive e aleggia dove il senso religioso della vita non è stato ancora infangato dal potere temporale dei vertici della Chiesa cattolica (immobile e arretrata nella Storia, insieme ai suoi fedeli); dove l’etica e la morale politico-economica non hanno subito l’influenza penosa e degradante della classe dirigente finanziaria, amministrativa e istituzionale di questi decenni (in collusione o in complicità con le varie Mafie); dove l’opinione e le idee non si formano attraverso la struttura indecente e volgare dell’in-formazione soprattutto televisiva (di cui purtroppo si avvale ormai anche la Rete informatica); dove le parole accettazione, fratellanza, ascolto, solidarietà, verità non sono sostituite dalla paura, dai privilegi, dall’indifferenza, dall’arroganza, dall’ipocrisia; infine dove la Poesia “come amorosa traccia, /nella storia unisce/ i secoli del nostro mondo”. Qui, soltanto qui, vive e occorre far vivere Pasolini, ed è questa sua immagine universale, questo senso del legame con lui che, attraverso il viaggio in Friuli, si sono rinnovati e rafforzati in me. Ecco perché, lasciando Casarsa, mi arrovellavo con questa frase: “Pier Paolo non è (più) qui”.

Giorgio Quaglia