“Orient (to) Express” di Marco Dalla Gassa. Una recensione

Abbiamo già segnalato il recente saggio di Marco Dalla Gassa Orient (to) Express ( Mimesis  2016), che attraverso alcuni grandi esempi cinematografici europei degli anni ’50-’70 (tra essi anche il Pasolini cineasta del Fiore delle Mille e una notte) indaga lo spiazzamento  mobilitato dal confronto con l’altrove culturale dell’Est.  Ne proponiamo ora una agile scheda  di Agnese Franceschini che  evidenzia la particolare sottolineatura data alla figura dell’autore,  il quale pare connotato da  uno sguardo già culturalmente segnato: uno sguardo che può alimentare malintesi e stereotipi ma che può motivare anche una fertile frantumazione dell’equilibrio e un personale  metodo di lavoro.  

 “Orient (to) Express”, di Marco Dalla Gassa
 di Agnese Franceschini

 www.sentieriselvaggi.it  – 8 agosto 2016

«Nel passaggio dalla parola orale dei nativi o degli informatori alla traduzione scritta – o filmata – (nella lingua) degli osservatori si crea una voragine di senso per colmare la quale gli antropologi hanno proposto vari approcci e diverse metodologie di lavoro» (Marco Dalla Gassa). Orient (to) Express di Marco Dalla Gassa si colloca nello spazio polimorfo di quella voragine, nella quale si dipanano quesiti e questioni che arrivano al cinema, investendo semiotica, linguistica, ricerca etnografica e psicologia.  Josef, Fritz, Pier Paolo, Louis, Michelangelo, Alain … Dalla Gassa li introduce chiamandoli per nome i “suoi” autori, individuando nell’ “uomo” il punto d’approdo del viaggio in Oriente. L’esperienza odeporica è dunque per Dalla Gassa teatro di riflessione sulla figura dell’autore, muovendo dagli antipodi de “la morte dell’autore” – teorizzata da Roland Barthes in ambito letterario, contraltare del principio di autosufficienza della scrittura – alla politique des auteurs de Les Cahiers du cinéma che, condotta al parossismo, arriva a designare il critico cinéphile come “vero autore” del film.

"Orient (to) Express" di Marco Dalla Gassa
“Orient (to) Express” di Marco Dalla Gassa

Pur motivati da istanze differenti, i grandi cineasti europei che tra gli anni Cinquanta e Settanta si inoltrano ad Est, lungi dall’affermare la propria identità autoriale, si rivelano retrospettivamente ambasciatori di un sguardo “culturalmente segnato”; uno sguardo che cede a malintesi e stereotipi che si fanno – talora consapevolmente – metodo di lavoro. È infatti il metodo lo strumento esegetico attraverso cui l’autore tenta di uscire dalla crisi /passaggio in cui si consuma la dialettica interculturale, terreno ibrido ove il cineasta subisce il doppio ostracismo dalla terra da cui proviene, che lo esclude ma di cui è permeato, e l’Oriente che lo respinge dopo averlo attratto. La molteplicità dei possibili approcci si traduce in altrettanti metodi coincidenti con i differenti rinnovati punti d’equilibrio in cui tenta di  collocarsi ciascuno degli autori isolati da Dalla Gassa: è la finzione per Ivens che in Io e il vento riprende un Esercito di terracotta … di souvenirs; ancora la finzione dell’arcaico nel Pasolini de Il fiore delle Mille e una notte, o il malinteso in Resnais nel dialogo tra gli amanti ( «Tu non hai visto niente a Hiroshima, niente» / «Io ho visto tutto» […]), solo per citare alcuni frammenti del vasto materiale di studio su cui lavora l’Autore.
Le “traiettorie analitiche dispersive e centrifughe” che guidano il testo di Dalla Gassa corrispondono quindi ad una precisa scelta stilistica: sono la metafora perfetta della  frantumazione/ricostruzione dell’equilibrio – di cui il cineasta europeo si illude portatore – come esito naturale dell’esperienza di viaggio.