“Le ceneri di Pasolini” (1993), docufilm  di Pasquale Misuraca da rivedere

Recentemente, a “Pesaro 2016”, è stato riproposto il film documentario di Pasquale Misuraca  Le ceneri di Pasolini, prodotto da Rai3 nel 1993 e già presentato in quell’anno in prima nazionale al Festival Internazionale Cinema Giovani di Torino. Il film, costruito con un ritmico lavoro di montaggio, ricostruisce uno straordinario ed emozionante ritratto del poeta-cineasta, in cui è lo stesso Pasolini a condurre il racconto, grazie ai frammenti selezionati e riordinati delle parole con cui, nelle interviste televisive o in momenti  privati, egli ha raccontato sé e la sua storia di poeta, cineasta e intellettuale.
Del bellissimo film, ora visibile sul sito  www.pasqualemisuraca.com, ha steso una partecipe recensione Silvana Silvestri sul “Manifesto” del 23 luglio 2016. La pubblichiamo insieme alle riflessioni dello stesso Misuraca, Lietta Tornabuoni e Emile Fallaux, uscite tra il 1993 e il 1994 al tempo della prima apparizione del documentario e oggi leggibili sul sito www.fulminiesaette.it. (angela felice)

Pasolini con Enzo Biagi nella trasmissione "III B. facciamo l'appello" (1971)
Pasolini con Enzo Biagi nella trasmissione “III B. Facciamo l’appello” (1971)

Sotto il segno di Gramsci
di Silvana Silvestri

http://ilmanifesto.info/sotto-il-segno-di-gramsci – 23 luglio 2016

Il primo film su Pasolini di Pasquale Misuraca, storico e filosofo […], è stato Angelus Novus, presentato a Cannes nel 1987; in seguito sono stati tanti i documentari da lui realizzati per la Rai sul lavoro dei registi e su Pasolini in particolare. Per la sezione «Critofilm», la nuova frontiera della critica proposta a “Pesaro 2016” da Adriano Aprà, Misuraca ha scelto di portare Le ceneri di Pasolini, il suo film prodotto da “Fuoriorario” nel 1993.
Un «Pasolini visto da Pasolini»: la dimostrazione, dice, che si può fare un autoritratto visto da un altro. Oggi il film, realizzato sotto forma di saggio, ha un impatto davvero emozionante ed è ancora attuale, se, come abbiamo constatato, crea ancora oggi qualche problema parlare del regista Pasolini. Al di là delle celebrazioni,  ci riporta ai margini del 1975, «la crisi epocale che dura fino ad oggi».
Ci troviamo di fronte a un lungo flusso di considerazioni, così in contrasto con l’ansia contemporanea di tagliar corto, di sminuzzare i ragionamenti in frammenti da slogan, di togliere la parola. Il montaggio che ha l’obiettivo di andare a fondo ci riporta, accanto agli elementi teorici, anche  a quelli biografici:  dalla giovinezza di Pasolini  ai tempi dell’Università a Bologna, all’arrivo a Roma quando inizia per la prima volta a scrivere racconti, al passaggio del cinema come approdo in un’altra lingua, «come per abbandonare l’italiano e insieme la nazionalità di un paese neocapitalistico». E si compone quasi una lunga seduta psicoanalitica dove irrompe in apertura la figura del padre capitano di fanteria, ben presto negata («Tu sei qui per prendere il mio posto nel mondo»), poi la madre dalla religiosità contadina, il fratello che costituiva un modello per lui («era come avrei voluto essere io, lui era partigiano, io ero partigiano ideologico»), con la sua morte in giovane età che innesca nel montaggio la Crocifissione e la Madonna addolorata del Vangelo.

Irazoqui impegnato nella lettura delle "Lettere dal carcere" di Antonio Gramsci durante le riprese del "Vangelo" (1964)
Enrique Irazoqui impegnato nella lettura delle “Lettere dal carcere” di Antonio Gramsci durante le riprese del “Vangelo” (1964)

E proprio tramite il suo Vangelo il regista Pasolini viene «accolto» dove prima era respinto, perfino nei salotti della televisione. «Come mai un marxista come lei trae ispirazione dal Vangelo?»,  gli chiedono. «Il mio sguardo verso le cose del mondo – risponde lui – non è mai naturale, laico, ma le vedo come miracolose, non in senso confessionale, ma come una visione religiosa del mondo».
Anche se sono nodi teorici, immagini con cui il pubblico si è confrontato tante volte, visto oggi Le ceneri di Pasolini, realizzato perlopiù dai materiali delle interviste in studio, provoca ancora insospettabili collegamenti, inaspettata sorpresa. La più evidente è vedere il poeta intervistato messo come sotto interrogatorio, una situazione che evoca un tribunale pur composto da autorevoli intellettuali (Oreste Del Buono, Enzo Biagi), nell’arena tenebrosa degli studi televisivi in bianco e nero, con la consapevolezza di trasmettere le idee non conformiste di un artista problematico (e infatti l’autore Misuraca non ricorda che Le ceneri di Pasolini sia mai andato in onda; “Fuoriorario” lo avrà trasmesso a notte fonda, altri programmi avranno utilizzato le Teche Rai ma non con lo stesso obiettivo saggistico), ma si può in ogni caso vedere su Youtube o sul sito di Pasquale Misuraca che mette a disposizione tutti i suoi film (www.pasqualemisuraca.com).
Pasolini è come preso da un’ansia di parlare, spiegare, quasi una dissoluzione di sé, parole che vanno oltre le richieste di spiegazione delle sue scelte cinematografiche, ma entrano nel profondo fino a toccare il mezzo stesso – la televisione d’altri tempi – con l’emblematica frase ben ritagliata dal montaggio: «La televisione è un mero mezzo di massa che non può che alienarci e creare un rapporto da inferiore a superiore che è spaventosamente antidemocratico». Una frase pronunciata anche prendendosi un po’ in giro, quando Pasolini si accorge del tono altisonante di certe affermazioni, ma soprattutto per come vengono amplificate dal mezzo e per l’effetto che fanno sullo spettatore che può sentirsi in uno stato di inferiorità.
Misuraca non manca di sottolineare, già nell’impostazione generale del documentario, l’elemento poco sottolineato di umorismo, di «gaiezza», di allegria presente in Pasolini (e l’autore utilizza infatti le cadenze musicali dell’Allegro barbaro di Béla Bartók).
«Ma come può lo spettatore medio accettare certi suoi film come Porcile?» gli si chiede. «La questione sta in questi termini» risponde Pasolini. «I primi film li ho fatti sotto il segno di Gramsci, mi sono illuso di farli sotto il segno gramsciano. Quindi pensavo di rivolgermi al popolo, come classe ben differenziata dalla borghesia, almeno così come lo aveva conosciuto Gramsci e come io stesso lo avevo conosciuto da giovane, compresi tutti gli anni Cinquanta. È successa poi la crisi della società italiana, cioè il passaggio da un’epoca agricola, artigianale e paleocapitalistica, a neocapitalistica, una trasformazione fulminea della società italiana idealizzata da Gramsci in quella che si chiama massa. Mi sono rifiutato non programmaticamente di fare prodotti che siano consumabili da questa massa, quindi ho fatto film d’élite apparentemente antidemocratici. In realtà, essendo in polemica contro la cultura di massa, è solo un atto forse inutile di democrazia».

Pasolini davanti alla tomba di Gramsci
Pasolini davanti alla tomba di Gramsci

Tre parole sul film-documentario Pasquale Misuraca Le ceneri di Pasolini (ottobre 1993)
www.fulminiesaette.it

1.Emile Fallaux, Rotterdam, International Filmfestival 1994
2. Lietta Tornabuoni, “l’Espresso”, 25 febbraio 1994
3. Dichiarazione dell’autore al Festival di Torino, 1993

1.
Lirico ed affascinante documentario su Pier Paolo Pasolini, sicuramente il più idiosincratico fra i cineasti italiani. Il film include alcuni frammenti accuratamente scelti dalla sua opera e molte interviste con lo sferzante e mordace maestro, riportate alla luce dagli archivi televisivi italiani. Pasquale Misuraca vede il film come un autoritratto di Pasolini. Il materiale meticolosamente raccolto è organizzato secondo le idee filosofiche, cinematografiche e politiche dello stesso Pasolini. L’opera e la visione di Pasolini erano ampiamente formate sulla poesia, così anche questo film (e con lui, il film avrebbe potuto intitolarsi Pasolini su Pasolini) ha una struttura molto poetica. Ecco perché Misuraca non ha fatto uso della voce fuori campo di qualche “esperto”; è il maestro stesso che parla.
Misuraca non ha voluto conformarsi alla convenzione naturalistica del fare i documentari; ha voluto utilizzare gli aspetti poetici di un film fiction nel fare un documentario.
Questo film, fatto originariamente per la televisione, ignora completamente le convenzioni televisive. Da vero figlio di Pasolini, Misuraca si cimenta con l’idea che un nuovo linguaggio artistico possa essere sviluppato oltre il cinema e la televisione. Si rende conto che questo non è un pensiero modesto, ma per lui la modestia nel pensiero è la povertà (e cita Marx ponendo la questione “Vi ricordate di Marx?”). Misuraca senza dubbio ricorda Pasolini, che era tutt’altro che un “povero” cineasta.
[dal catalogo del Rotterdam International Filmfestival, 1994]

2.
Forse nessuno ha definito, irriso, sferzato la televisione con maggiore asprezza e precisione di Pier Paolo Pasolini: ma adesso proprio i materiali televisivi sono gli unici a conservare e ricordare (al di là del pensiero, dell’opera) l’immagine del suo viso variante nel corso del tempo, il suono della sua voce, la misura dei suoi gesti, la forma del suo corpo, la forza del suo fascino.
Le ceneri di Pasolini, realizzato in collaborazione con “Fuori Orario” di Rai3 da Pasquale Misuraca, appena presentato al Forum del FilmFest di Berlino, è un esempio molto interessante di documentario e insieme di film, di biografia e insieme di autobiografia, di saggio e insieme di poesia: così intitolato in assonanza a Le ceneri di Gramsci, perché “Pasolini è stato il poeta delle rovine, delle macerie, delle ceneri di questo vecchio mondo” e perché l’arte audiovisiva è l’ “arte delle ombre della realtà, arte delle ceneri”.
Non diversamente dal Rossellini di Adriano Aprà, pure presentato a Berlino l’anno scorso, è inoltre un esempio di quale gran risultato di ritrattistica e di memoria sia possibile ottenere utilizzando i materiali d’archivio televisivi e quel montaggio che, diceva Pasolini, «è un po’ come la morte: finché un uomo non muore, non si sa bene chi sia stato».
Le ceneri di Pasolini, per ricomporre il percorso della vita e dell’opera, usa cronologicamente numerose interviste o dichiarazioni di Pasolini alla Tv, in particolare i suoi dialoghi con Enzo Biagi, Oreste del Buono, Francesco Savio: usa con l’intelligenza pertinente e commovente citazioni da film pasoliniani, immaginazioni dei luoghi cruciali della sua esistenza, fotografie d’infanzia e di giovinezza, documenti visivi dei suoi viaggi o di letture dei suoi versi o delle sue partite di calcio. Tutto questo è accompagnato, intervallato, concluso dall’andare d’una automobile bianca al buio: sagoma chiara appena percettibile, la macchina gira per Roma, come nella notte, rallenta tra le luci acide della stazione Termini, sosta per far salire a bordo un’ombra confusa, si ferma in uno spazio deserto nel compiersi d’un appena alluso e accennato tragitto verso la morte.
Le immagini fisiche di Pasolini, la voce mite e insieme prepotente, sottile, paziente e ricattatoria che racconta di sé e del suo lavoro, finiscono con l’apparire più forti delle parole, dei ricordi evocati. L’antifascismo «scattato leggendo la poesia di Baudelaire». Il fratello che «rappresentò quello che io avrei voluto essere». Il rifiuto del conforto: «Non cerco consolazioni, cerco piccole gioie». Lo scrivere «un’abitudine come mangiare o dormire». Il fare film: «Tema del mio cinema è sempre il conflitto tra il mondo popolare e il mondo borghese». La fine della speranza: «La parola speranza è cancellata dal mio vocabolario; continuo a lottare in battaglie parziali, giorno per giorno». La persistenza della passione: «Ho infinita fame dell’amore di corpi senz’anima». L’invocazione alla madre «Ti supplico, ti supplico, non voler morire».
Di italiani, al 44.mo FilmFest di Berlino, se ne son visti tanti: Bernardo Bertolucci e Sophia Loren come icone glamour; Carlo Lizzani in giuria; l’Italia del dopoguerra (Cari fottutissimi amici di Mario Monicelli); l’Italia della mafia (Il giudice ragazzino di Alessandro di Robilant); l’Italia degli immigrati (Articolo 2 di Maurizio Zaccario); il dittatore Gian Maria Volontè interprete de Il tiranno Banderas di José Garcia Sanchez. Tra tutti, l’italiano de Le ceneri di Pasolini resta il più eloquente e profetico, il più esigente e furente, il più grande, il più amato.
[Lietta Tornabuoni, “l’Espresso”,  25 febbraio 1994]

3.
Le ceneri di Pasolini è nient’altro che un autoritratto di Pier Paolo Pasolini. Un film documentario, una raccolta di materiali selezionati e ordinati con acribia filologica e rigore storico-critico, fortemente caratterizzato da un andamento e una strutturazione soggettiva, poetica. Un film documentario di poesia nel quale ai documenti non si sovrappone autoritariamente la voce fuoricampo dell’esperto, che tutto riconduce e riduce a una piramidale geometrica rassicurante gerarchia di spiegazioni. Le ceneri di Pasolini è perciò la narrazione autobiografica della propria avventura umana e artistica, complessa, contraddittoria e irriducibile, realizzata dal più grande poeta italiano del secondo dopoguerra sotto l’impulso dell’estremo grido majakovskijano: «Professore, si tolga gli occhiali biciclo. Io stesso racconterò del tempo, e di me».
Ho pensato e affermato pubblicamente, nel corso di questi ultimi anni, che il cinema e la televisione sono due diverse forme di comunicazione artistica, due diversi linguaggi, arrivando alla polemica teorizzazione del “cinema come arte spaziotemporale” e della “televisione come arte audiovisiva”. Nello stesso tempo ho cercato di criticare l’opinione dominante secondo la quale il cinema ha una vocazione naturalistica, oggettiva, documentaria, da un lato, e dall’altro una natura onirica, soggettiva, fantastica. E ho sostenuto che il grande cinema è sempre l’una e l’altra cosa insieme, facce della stessa medaglia: pensate a La passione di Giovanna d’Arco di Dreyer, a Ladri di biciclette di De Sica, a Nashville di Altman.
Poi, in questi febbrili ultimi mesi di lavoro, ho realizzato Le ceneri di Pasolini. Un film che è ancora un documentario, una biografia che è anche una autobiografia, un’opera di prosa che è anche un’opera di poesia. E lavorando mi è parso di mostrare come e quanto possa rivelarsi efficiente la “teoria delle due facce”. Il fatto è però che questo lavoro è nello stesso tempo cinematografico e televisivo, sembra comprendere l’impianto spaziotemporale e l’impianto audiovisivo. Se questo fosse vero, vorrebbe forse dire che, oltre al cinema e alla televisione, c’è la possibilità di elaborare una nuova forma di linguaggio e di comunicazione artistica. Ho detto troppo? Ma questa è semplicemente la “dichiarazione dell’autore”, il quale è sempre ossessionato dalla ricerca della verità (possibile solo nell’esercizio dell’attività creativa, e non nella vita pratica). Come scriveva Marx (vi ricordate di Marx ?): «La natura dello spirito è sempre ancora la verità, e quale natura gli date voi? La modestia. Solo lo straccione è modesto, dice Goethe; volete voi fare del vostro spirito uno straccione ?».
[Pasquale Misuraca, Festival di Torino, 1993]