“Bestia da stile” per la regia del giovane Fabio Condemi (2015). Una recensione

Il giovane regista Fabio Condemi, per il saggio di diploma in regia alla Silvio D’Amico di Roma, ha messo in scena nel 2015  Bestia da stile, impervio testo teatrale pasoliniano che per la sua tessitura lirica e fortemente autobiografica ha tentato pochissimi allestitori. Tra questi nel 2004 Antonio Latella che definì quel  dramma «un’opera d’arte che rompe ogni regola e convenzione, ogni forma e stile; anzi è un viaggio negli stili per trovare l’essenza, la nudità del corpo nella parola stessa».  Per la nuova  trascrizione scenica di Condemi, di cui abbiamo già dato notizia su questo sito, recuperiamo la recensione scritta da Bianca Salvi il 27 novembre 2015, in occasione della replica romana dello spettacolo al TeatroStudio Eleonora Duse.
Qui di seguito l’articolo, che si sofferma con qualche osservazione anche su questa poco nota esperienza drammaturgica di Pasolini.

“Bestia da stile”: una Pasolini che ancora ci sorprende e ci fa riflettere
di Bianca Salvi

www.globalpress.it – 27 novembre 2015

«Ho scritto quest’opera teatrale dal 1965 al 1974, attraverso continui rifacimenti, e quel che più importa, attraverso continui aggiornamenti: si tratta, infatti, di un’autobiografia» (dalla nota introduttiva di P. P.Pasolini a Bestia da stile, ora in Tutto il teatro, a cura di W. Siti e S. De Laude,  “Meridiani” Mondadori, Milano 2001, p. 761).

"Bestia da stile", regia di Fabio Condemi. Foto Le Pera
“Bestia da stile”, regia di Fabio Condemi. Foto Le Pera

«Fabio Condemi ha una mano delicata e consapevole, e  fa nascere la creazione dal rapporto con gli attori e dal pensiero sul testo, dalla ragione e dalla necessità delle scelte. È attratto dalla poesia e ha una grande sensibilità nel percorrere le strade oscure di un linguaggio denso e turbolento, come quello di Pasolini». Così le parole di Giorgio Barberio Corsetti descrivono la messa in scena di Bestia da stile, un testo teatrale controverso e poco noto di Pasolini. Scelta coraggiosa quella di rappresentarlo, soprattutto se si pensa al regista Fabio Condemi, un giovanissimo allievo dell’Accademia Silvio D’Amico.
Pubblicato postumo nel 1979 (Garzanti), Bestia da stile, a cui Pasolini lavorò a più riprese a cavallo del ’68, rappresenta una riflessione sulla difficoltà di raccontare i conflitti della modernità. In quel cruciale periodo, Pasolini, lungimirante e controcorrente, si schierò contro i giovani studenti borghesi, che a suo avviso stavano tradendo la loro natura di intellettuali. La vicenda si svolge negli anni Trenta in Boemia e ha come protagonista Jan, doppio del poeta e ispirato allo studente cecoslovacco Jan Palach che si diede fuoco durante la Primavera di Praga per protestare contro l’invasione sovietica. Nel racconto Jan ripercorre le tappe della sua formazione letteraria e politica, e al tempo stesso affronta la storia, la guerra, la dispersione e la degradazione degli affetti.
Nella vicenda trovano spazio anche le avanguardie artistiche e gli oppositori al regime fascista, che vengono uccisi e avvolti nella bandiera rossa, come avvenne al fratello di Pasolini. La terra di Boemia assume simbolicamente gli aspetti della nativa campagna del Friuli. Nell’opera il poeta evoca le figure del padre e della madre. Un padre che compare brevemente nella narrazione, che morirà soffocato dai cadaveri di due ebrei in un vagone piombato che sta andando verso i campi di concentramento nazisti. Una madre, figura forte e severa, che inaspettatamente parla in modo sgrammaticato e volgare: «La mia esagerata delusione, diventata / silenzio di Apocalisse, non era per il mio ventre che aveva concepito / un bravo comunista, / ma era per il mio ventre che aveva concepito / un cattivo borghese. […] Sì, sì, figlio mio, / per fortuna ci sono parti del mondo / dove il concime è concime, la merda è merda, / i poveri muoiono di fame coperti di scabbia / e i loro cadaveri galleggiano sui fiumi sacri. […] Quand’ero viva, volevo morire. / Adesso che sono morta, voglio vivere: / volevo morire per il dolore del crepuscolo. Voglio vivere per difenderne l’ultima luce» [Tutto il teatro, cit., pp. 812-815, ndr.]
Come molte opere di Pasolini, anche questa risulta di difficile interpretazione e appare riduttivo ascriverla a un genere, nella fattispecie quello teatrale. Certamente si tratta di una pièce, che è però anche saggio, anche poesia e autobiografia.
«Quello che affascina del testo è che non si tratta mai di un autobiografismo diaristico», ha affermato in proposito il giovane regista. «Questo è anche il suo teatro: letterario, difficile da capire e da recitare, infarcito di riferimenti culturali (la storia della Repubblica ceca, nel nostro caso), a volte incoerente nella struttura drammaturgica, eppure sempre pieno di una passione, di una disperata vitalità che dà corpo ai concetti e spinge gli attori a fare proprie quelle parole che sembrano venire da altrove: io sono una forza del Passato».
E risulta contagiosa la “disperata vitalità” del poeta, si concretizza, implode ed esplode negli appassionati monologhi di Jan, interpretato da un Gabriele Portoghese quanto mai sensibile e in parte, nelle confessioni disperate e fataliste della sorella-alter ego Arianna Distefano, della madre, patetica, epica e folle come una Cassandra, nell’interpretazione di una poderosa Valeria Almerighi. Ottimo il livello degli altri interpreti Xhulio Perthushi e Paolo Minnelli. Interessante anche la selezione delle musiche: a fine spettacolo un brano dei Beatles, cantato in cecoslovacco, è una vera chicca.
In Bestia da stile, un Pasolini che ancora ci sorprende, ci appassiona, ci fa riflettere, anche a quarant’anni dalla morte. Una voce che oggi, più che mai, ci manca.