All’Argentina di Roma “PPP Ultimo inventario” di ricci/forte

Con lo spettacolo PPP Ultimo inventario prima di liquidazione (coproduzione CSS Teatro stabile di innovazione FVG e Festival delle Colline torinesi)  il duo ricci/forte, coppia di punta della ricerca teatrale italiana, ha chiuso il 16 giugno 2016 la stagione del Teatro Argentina, portando a conclusione l’omaggio che il Teatro di Roma ha dedicato a Pier Paolo Pasolini nel quarantennale della morte. PPP Ultimo inventario prima di liquidazione è un’opera poetica, letteraria, cinematografica, drammaturgica e giornalistica che domanda a se stessa quale possa ancora essere il ruolo dell’arte in una società (quella di oggi e quella di quarant’anni fa) ancora corrotta, omologata, e violenta.
La drammaturgia (con ruolo preponerante della parola) di Stefano Ricci e Gianni Forte si affida alla regia di Ricci e alle voci dell’attore Giuseppe Sartori e di cinque figure femminili, interpretate da Capucine Ferry, Emilie Flamant, Anna Gualdo, Liliana Laera e Catarina Vieira.
Tra i tanti riscontri critici positivi ottenuti dallo spettacolo, certo di non immediata comprensione, selezioniamo le recensioni di Lou Andrea Dell’Utri Vizzini, uscita il 16 giugno 2016 su www.saltinaria.it, in occasione della replica romana, e di Roberto Canziani, pubblicata su http://quantescene-ilpiccolo.blogautore.repubblica.it  il 29 gennaio 2016, al momento del debutto al Teatro Palamostre di Udine.

“PPP Ultimo inventario prima di liquidazione” del duo ricci/forte
recensione di Lou Andrea Dell’Utri Vizzini

www.saltinaria.it – 16 giugno 2016

Bisogna fare un inventario di ciò che ci resta per capire dove siamo stati e dove possiamo ancora arrivare, se possiamo ancora andare. Uno spirito “pieno di luce, ma irredimibilmente sbriciolato” quello di Pier Paolo Pasolini incarnato nella pelle di Giuseppe Sartori, un corsaro che tira le fila della sua vita attraverso la sua stessa voce e quella di cinque apparentemente innocue figure femminili. Verdi folletti anni Cinquanta le cui risate denigratorie sparano ai timpani e alla coscienza di un uomo già lesionato, già marchiato da una società ipocrita che si cava gli occhi da sola. Come delle segretarie dell’anima, sembra stiano qui, in questo deserto candido, una discarica di pneumatici fintamente puliti, ad amplificare con decine di microfoni l’eco di uno spirito inquieto che fatica, oramai, a mostrarsi sotto il sole delle tre di pomeriggio, l’ora più chiara e più difficile da accettare.
Qual è l’odore del vuoto di una nazione? Quello dell’ incomprensione, della calunnia, della solitudine di un’arte tanto necessaria quanto utopistica, impossibile nel 1975, improbabile ancora oggi. La sua pelle è l’unica nazione a cui può giurare fedeltà quest’uomo disilluso dallo sguardo ipermetrope, sofferente eppure ancora armato della potenza atroce della parola. Devi scegliere le parole, devi recuperare la voce, Pier Paolo. Non lasciare in bianco il 17 verticale, trova la parola. Fa che “coniglio” significhi ancora “coniglio”, che le parole possano ancora essere attentati. Attentati di vita folgorante a questa morte civile che hai intorno, alle spalle, e che cerca di rapirti come un mostro marino.

Il duo ricci/forte
Il duo ricci/forte

È un parto il tentativo di mettere al mondo se stessi, un desiderio ancestrale di donarsi in quest’atto doloroso di scrittura e di messa in scena. Spalancati davanti al pubblico, questi personaggi si immolano al dio del coraggio e dell’onestà, si dilaniano l’anima in nome di una verità più alta, quasi incomprensibile. Tra le strade impolverate di Petrolio, i cortili ingenui dei Comizi d’amore, le lunghe distese di Uccellacci e uccellini e i vicoli peccaminosi di Salò, il nostro incontra mogli, bambini, tigri e porci, calciatori, e un fonditore di bottoni. Lui viene a trovarlo dal Peer Gynt di Ibsen e lo vuole buttare nella cassa degli scarti, insieme agli altri bottoni venuti male.
Una mediocrità intollerabile, non sarebbe meglio l’inferno? Ma non basta sguazzare nel fango; per macchiarsi davvero ci vuole impegno. “Vuoi davvero possedere il tuo io invece di essere posseduto dal mondo? L’abitudine alla coscienza sarà la tua fine”, profetizza la figura inquietante che ha corpo di donna, viso di maiale e voce d’oltrespazio. Parla della coscienza critica, politica, della coscienza sociale, la coscienza artistica, impavida, di Pasolini e di ricci/forte che, stavolta più che mai, la affidano tutta alla parola, al pensiero, al concetto filosofico nel senso più alto di amore folle del sapere.
Un bambino antropofago, con ali di carta e occhi di lago, si nutre dei cuori altrui che fanno da ancore al terreno; una donna disperata ha perso uno dei suoi cinque sensi e non si ricorda più, non sa come fare ad abitarsi. È un continuo rimando e una continua visione onirico-cinematografica la messa in scena (e in parola) dei due drammaturghi contemporanei che più di così non si può. Dopo la provocazione, la violenza, il sesso, il sangue di molti (splendidi) lavori, ricci/forte chiudono qui (forse? speriamo di no) un cerchio iniziato dieci anni fa con Troia’s Discount e lo fanno con uno schiaffo di classe al pubblico modaiolo e letargico che si aspettava, probabilmente, tutti i marchi caratterizzanti il duo degli “enfants terribles” che lo fanno sentire alternativo, e sovversivo. Ma cosa è più sovversivo della parola consapevole? Quale mezzo migliore per chiedersi se veramente l’arte possa ancora avere un ruolo? I “dioscuri” della scena italiana hanno raggiunto, con questo primissimo piano su Pasolini, una vetta pericolosissima di onestà e bellezza accecante, con una coscienza dei propri mezzi disarmante per la sua potenza.
Sul palco c’è un cadavere, morto di petrolio, di pneumatici, di penna, di sangue e verità. Ci sono anche i morti della strage di Orlando, altri corpi da macello.
Eppure, è tutto così pregno di vita, di senso, di anima. E viva è la coscienza, almeno adesso, di più della metà di questo pubblico. Anche se poi, chi cercherà in rete, stimolato dalla visione, troverà un “Pier Paolo Pasolini (Bologna, 5 marzo 1922 – Roma, 2 novembre 1975) fu un poeta, scrittore, cineasta, sceneggiatore, drammaturgo e giornalista italiano, considerato tra i maggiori artisti e intellettuali del XX secolo.”
Fu.

"PPP Ultimo inventario prima di liquidazione" di ricci/forte. Foto di Piero Tauro
“PPP Ultimo inventario prima di liquidazione” di ricci/forte. Foto di Piero Tauro

ricci/forte e PPP. Inventario prima di liquidazione
di Roberto Canziani

http://quantescene-ilpiccolo.blogautore.repubblica.it  – 29 gennaio 2016

Le parole non hanno un significato solo. Prendi castigare. Che vuol dire punire, ma anche emendare, adeguare al pudore. Per la loro più recente creazione PPP Inventario prima di liquidazione – ieri in prima assoluta  [28 gennaio 2016, ndr] nella stagione di Teatro Contatto a Udine –  Stefano Ricci e Gianni Forte scelgono il senso meno consueto.
E’ il più castigato, questo, tra gli spettacoli di ricci/forte. Gli eccessi di una volta sono stati ripuliti, la carne emendata, gli abiti accollati. Come se avessero deciso che l’estetica per cui sono famosi e ricercati – la carne esposta, il nudo insolente, i tacchi alti per gli uomini, le lacrime per le donne – quell’estetica pop, almeno stavolta o da stavolta in poi, andasse lasciata indietro. Per un traguardo sobrio, per un significato che non si svela. Ma si può intendere. Se ci si lascia guidare, più che dalla vista, dalle parole.
Parole e sigle non hanno mai, si diceva, un significato solo. PPP sta per Pier Paolo Pasolini, a cui è dedicata questa creazione, come era anche la precedente, La ramificazione del pidocchio, da raccogliere assieme in un distico su cultura e omologazione, confomismo dei tempi, globalizzazione delle forme espressive. Una maniera per ritornare su Pasolini, oggi. Un modo per liquidarne l’eredità, forse. Un tentativo di punto fermo su quel che vuol dire fare gli artisti, adesso.
Ma PPP sta anche per primissimo piano, che con tante altre inquadrature della cinematografia classica affolla le parole di questo spettacolo metà manifesto poetico metà sceneggiatura. Campo lungo, dettaglio, controcampo, primo piano, soggettiva. Per raccontare una scampagnata, una corsa in bici. Oppure una mattinata al lido, preferibilmente quello di Ostia, in autunno. “Allora er bagno nun lo famo più”. “Addio, core”. Però detti con quell’accento romanesco che non può non ricordare Anna Magnani. Il vocabolario del cinema e la forza indiscutibile di un credo. “Noi siamo le vocali che pronunciamo”. “L’ingenuità è un peccato dozzinale”. “La libertà come costrizione è un falso”.
In senso contrario all’iperbole di Pasolini che di passo in passo si era avviata verso gli eccessi di Salò o di Petrolio, la retta di questo spettacolo non punta né a scandalo né a trasgressione. Qui fanno bella mostra i mezzi tacchi, gli abiti anni cinquanta, tutt’al più sessanta, il design dell’Italia del boom. E nella colonna sonora, il cha cha cha, la stessa spiaggia e lo stesso mare di Piero Focaccia, i cerchi nell’acqua di Francoise Hardy. Come se si cantasse il lutto della propria infanzia. Piuttosto che  il lutto di una nazione per il ritrovamento di un corpo, quella mattina sul lido, a Ostia.
Molti segnali, certo, sono difficili da decifrare. Alcune interviste, rubate a Comizi d’amore, l’inchiesta cinematografica di Pasolini sulla sessualità. Un dialogo sulla fusione dei bottoni, sfilato a una delle scene del Peer Gynt di Ibsen. La segreta dedica a Pina Bausch, racchiusa in momento di danza sopra un motivetto kitsch tedesco.
Anche la scena, tanto esplosiva e tanto mobile nei precedenti lavori di ricci/forte, stavolta viene castigata. Soltanto una catasta di pneumatici dismessi, sbiancati, color cenere sui colori degli sfondi che cambiano e si accendono di arancio, di verde, di rosso. Forse un mondo di favole e di pastelli. “C’era una volta un bambino, ali di carta, occhi di lago”. Ma era un bambino antropofago, che si mangiava i cuori. “E appena aperto il proprio torace, per contare i cuori trangugiati, grande fu il suo stupore nello scoprire che tutti i cuori erano spariti dagli scaffali, persino il suo”.
Allo spettatore, chiamato direttamente in causa in altre creazioni del duo r/f, baciato sulla bocca o trascinato in un ballo, questo Inventario chiede un metabolismo di comprensione assai più lungo. E, come spiega il titolo completo, annuncia una prossima liquidazione. Mi è difficile adesso, capire esattamente ciò che verrà svenduto. Ma riflettendoci un po’, tra un po’ di tempo, ne verrò di sicuro a capo.

[idea]Info[/idea]Produzione CSS Teatro stabile di Innovazione del Friuli Venezia Giulia
in coproduzione con Festival delle Colline Torinesi

PPP ULTIMO INVENTARIO PRIMA DI LIQUIDAZIONE
di ricci/forte
drammaturgia ricci/forte
regia Stefano Ricci
con Capucine Ferry, Emilie Flamant, Anna Gualdo, Liliana Laera, Giuseppe Sartori, Catarina Vieira
scene Francesco Ghisu
movimenti Francesco Manetti
costumi Gianluca Falaschi
ambiente sonoro Andrea Cera
assistente alla regia Ramona Genna
direzione tecnica Alfredo Sebastiano