Al Vascello di Roma “Pilade” riletto da Daniele Salvo. Una recensione

La drammaturgia di Pasolini gode di una rinnovata fortuna sulla scena contemporanea italiana, che ne conosce continue riletture anche nel 2016. Tra gli altri, è il caso di Pilade, tragedia ora riletta al Teatro Vascello di Roma (fino al 1 maggio 2016) da Daniele Salvo, regista e attore diplomato presso la Scuola del Teatro Stabile di Torino di Luca Ronconi, con cui ha collaborato poi per 15 anni. Per lui, alla guida della compagnia La fabbrica dell’attore, è la continuazione di un discorso pasoliniano già iniziato con un precedente lavoro:  Siamo tutti in pericolo, dal titolo dell’ultima intervista concessa da Pasolini a Furio Colombo nel pomeriggio del 1 novembre 1975. Un teatro di chiara e forte intenzione civile marca anche il suo nuovo impegno con la rilettura di “Pilade”, sulla quale pubblichiamo qui la recensione di Viola D’Elia.

“Pilade”, Pasolini rilegge l’”Orestea”
di Viola D’Elia

http://www.lineadiretta24.it – 23 aprile 2016

Dopo Porcile arriva al Teatro Vascello un altro dramma di Pier Paolo Pasolini, Pilade, scritto tra il 1966 e il 1970, che sarà in scena fino al 1 maggio per la regia di Daniele Salvo. Continuazione ideale dell’Orestea di Eschilo, Pilade ne riprende i personaggi reinterpretandoli in chiave moderna, intrecciando l’antico con le suggestioni della modernità novecentesca e utilizzando gli archetipi classici come potente metafora della contemporaneità.
Il dramma di Pasolini inizia dove la tragedia di Eschilo si conclude: con Oreste che, assolto da Atena per l’assassinio della madre Clitennestra e di Egisto – rei di aver ucciso, a loro volta, il re di Argo e padre di Oreste, Agamennone – torna nella città insieme all’amico Pilade. Qui instaurerà il culto di Atena, ovvero della ragione, rinunciando al ruolo di sovrano assoluto e trainando la città verso una nuova forma di governo democratico. Nell’Orestea eschiliana Pasolini rileva un’affinità ideale con le vicende dell’Italia post-bellica e con le sue radicali trasformazioni politiche e sociali.
Pilade intende rileggere il classico greco per raccontare l’ascesa capitalistica e il gigantesco carico di disuguaglianze e squilibri sociali che ne conseguono. Mentre il governo della ragione borghese ne resta per lo più insensibile, sarà Pilade l’unico a schierarsi dalla parte degli ultimi facendosi promotore della rivoluzione proletaria e sfidando il potere dagli occhi miopi di Oreste. Ragione e irrazionalità, tradizione e modernità sono gli opposti che provocano una frattura insanabile e dividono i due personaggi protagonisti: per Oreste tutto si muove esclusivamente in direzione del futuro, mentre per Pilade «la più grande attrazione di ognuno di noi è verso il passato».
Dramma ostico e di difficile interpretazione, Pilade è perfettamente in linea con la concezione innovativa del teatro pasoliniano, pensato soprattutto per essere luogo di confronto ideologico e culturale con lo spettatore. Nel personaggio di Pilade, soprattutto, Pasolini riversa se stesso, affidandogli il ruolo dell’intellettuale escluso, destinato alla diversità e dunque all’emarginazione. Il lavoro del regista Daniele Salvo e della compagnia La Fabbrica dell’Attore è monumentale: portare in scena un testo che si regge interamente sulla densità dei dialoghi è operazione tutt’altro che agevole.

Selene Gandini e D'Alessandro in "Pilade", regia di Daniele Salvo
Selene Gandini e Elio D’Alessandro in “Pilade”, regia di Daniele Salvo

Nella stesura di Pilade è protagonista il Pasolini poeta, ma la problematicità dei temi trattati rendono lo spettacolo poco immediato e difficile, nonostante il grande trasporto degli attori e l’incredibile lavoro sulla recitazione, capace di raggiungere vette emotive altissime. Lo spettatore è messo di fronte a un teatro di parola e di poesia, privo, secondo lo stesso Pasolini, di ogni attrazione mondana: «il suo unico interesse è l’interesse culturale, comune all’autore, agli attori e agli spettatori; che dunque, quando si radunano compiono un rito culturale».
In questo groviglio di significati Pasolini costruisce un’unica certezza: quella della ferocia del potere, sordo e incurante di tutto fuorché di se stesso, qualsiasi sia la sua natura. Non si può far altro che accettarne il prezzo, o, come fa Pilade, lanciare un grido disperato, solitario, sempre attuale.