A breve la 72.ma Mostra veneziana del Cinema. Note a margine di Franzì

Dal 2 al 12 settembre 2015 si terrà al Lido di Venezia la 72.ma Mostra Internazionale di Arte Cinematografica, diretta da Alberto Barbera. Ricchissimo il programma, tra la rassegna dei film in concorso e la proiezione di pellicole nelle sezioni della “Settimana Internazionale della Critica”, di “Fuori concorso” e di “Venezia Classici”.
Immancabile uno spazio anche per l’attenzione a Pasolini, di cui, nel quarantennale della morte, sarà proiettata la versione restaurata in anteprima mondiale di  Salò o le 120 giornate di Sodoma (Cineteca di Bologna e CSC – Cineteca Nazionale in collaborazione con Alberto Grimaldi). Da ricordare inoltre che nello spazio della Fondazione Ente dello Spettacolo (Hotel Excelsior) sarà aperta per tutta la durata del festival la mostra 10  Tavole per Pasolini, ideata e curata dall’artista Luisa Mazzone, con testi del critico cinematografico Mario Sesti, ispirati alle opere del poeta di Casarsa. Sempre in ricordo di Pasolini, nella sala Tropicana1 dell’Excelsior sarà presentato il volume Cristo mi chiama ma senza luce: Pier Paolo Pasolini e il “Vangelo secondo Matteo” che, per la curatela  di Roberto Chiesi (responsabile Centro Studi Pasolini-Cineteca di Bologna), raccoglie gli Atti del convegno organizzato ad Assisi nel 2014 (26-27 settembre) su quel memorabile capolavoro cinematografico pasoliniano.
Sulla Mostra di Venezia,la  più antica del mondo nel campo della decima musa, ha scritto di recente  un brillante affresco Gianlorenzo Franzì, per ricostruirne la nascita, le tappe, i travagli causati dalla contestazione degli anni Sessanta, la ripresa degli anni Ottanta.  Appunti agili di una scheda di cui presentiamo le prime due puntate, apparse in rete su www.lameziaterme.net. 

Appunti sulla storia della Mostra del Cinema di Venezia
di Gianlorenzo Franzì 

www.lameziaterme.net –
20 agosto 2015 (prima puntata)
23 agosto 2015 (seconda puntata)

Prima puntata 
Un po’ di storia
La prima esposizione d’Arte Cinematografica (dal 6 al 21 agosto 1932) nasce nell’ambito della XVIII Biennale di Venezia, sotto gli auspici del conte Giuseppe Volpi di Misurata, Presidente della Biennale, dello scultore Antonio Maraini, Segretario Generale, e di Luciano De Feo, Segretario Generale dell’Istituto internazionale per il cinema educativo; di fatto, Di Feo fu il primo selezionatore. Ovviamente, allora le massime autorità diedero il loro benestare a quella che era a tutti gli effetti la prima manifestazione internazionale di questo tipo, che cioè considerava il Cinema a tutti gli effetti “arte”. La prima edizione si svolse interamente sul terrazzo dell’Excelsior
(primo interludio: oggi proprio quella terrazza è punto d’incontro di tutti gli ospiti di contorno, ovvero ballerine, soubrette, presentatori, famosi mancati e, solo occasionalmente, di attori e registi), e non era ancora una gara bensì solo, appunto, una Mostra: presentava titoli importanti oggi classici della Storia  (pensate ad opere di Vidor, Capra, Camerini, Clair, Lubitsch, Hawks…) e potrebbe suscitare qualche brivido pensare al primissimo film proiettato, ovvero Dottor Jekyll & Mr. Hide di Mamoulian, alla cui proiezione seguì un grande ballo. La competizione vera e propria arriva al secondo anno (che sarà nel 1934, visto che all’inizio la Mostra del cinema seguiva la tempistica della Biennale), con l’instaurazione della Coppa Mussolini data al miglior film italiano e miglior film straniero, assegnate però non da una giuria bensì dal Presidente della Mostra stesso. L’anno successivo fu il 1935, e la Mostra divenne annuale; nel 1937 venne inaugurato il Palazzo del Cinema costruito a tempo di record.
(secondo interludio: quattromila euro al metro quadrato. E’ la quotazione di un appartamento di pregio in una zona centrale di Venezia. Ed è anche il prezzo pagato dai contribuenti per un buco di quasi un ettaro, lì dove sarebbe dovuto sorgere il Nuovo Palazzo del Cinema. Ma al suo posto non c’è un bel niente. Solo un buco, appunto: pietosamente riparato -ma neppure troppo- dagli sguardi. Ormai abituati da anni a quello spettacolo indecente. Siamo al Lido di Venezia, a fianco del Casinò e a pochi metri dal vecchio palazzo del Cinema. L’idea balzana di costruirne uno nuovo spunta una decina d’anni fa, quando presidente della Biennale è l’ex amministratore delegato della Banca nazionale del Lavoro, Davide Croff. E’ lì che comincia quella che Francesco Giavazzi ha definito in un articolo sulla voce.info “l’indegna storia del Lido di Venezia”, eletta dal procuratore della Corte dei conti Salvatore Nottola a emblema dello spreco insensato di risorse pubbliche. Adesso è dal 2008, e ancora non se ne vede la fine, che davanti al Palazzo c’è un buco che aspetta di essere riempito con il “nuovo” Palazzo del Cinema...).

Mostra del Cinema di Venezia 1932.Manifesto
I^ Mostra del Cinema di Venezia 1932.Manifesto

E’ il 1938 l’anno in cui le pressioni politiche iniziano a farsi sentire: vincono infatti il tedesco Olympia e Luciano Serra pilota, entrambi smaccatamente film di propaganda, ed è l’ultimo anno in cui apparirà il cinema americano. Forse non tutti sanno che poi, dal 1942 al 1945, la Mostra fu sospesa, salvo poi tornare e nel 1947 istituire un gran premio internazionale per il miglior film, che dal 1949 si chiamerà finalmente Leone D’Oro.
Ma una Mostra che progressivamente si ingrandiva, e aumentava di importanza e quindi di peso specifico culturale internazionale, non poteva essere esente dalle contestazioni del ’68: anno in cui infatti i film furono proiettati fra enormi polemiche che portarono l’anno successivo ad abolire completamente i premi ufficiali. Fu forse questo, più di quello fascista, il periodo più travagliato e discontinuo, fra salti di edizioni (nel 1973 e nel 1978), regimi commissariali, elaborazione di un nuovo statuto. Solo dal 1979, sotto la direzione del grande regista Carlo Lizzani che restò fino al 1982, la Mostra ha saputo ritrovare una cadenza regolare e riassegnare i premi.
E se ancora non ne avete abbastanza, di storia del cinema e di Venezia, la prossima volta andremo avanti dai favolosi anni ’70 fino ai giorni nostri.
Lunga vita e prosperità.

Seconda puntata
La Biennale, dalla contestazione del ’68 agli anni Ottanta
Per gli smemorati, i distratti e i ritardatari (poveri ignari del fatto che dal 2 al 12 settembre il portale lameziaterme.net offrirà tramite la rubrica “Strade Perdute” un aggiornamento quotidiano ed esclusivo su quanto accadrà al Lido più cinefilo del mondo), ricordiamo che eravamo rimasti, la scorsa volta, sulla soglia dei rocamboleschi, anche per Venezia, anni ’60.
Che furono particolarmente turbolenti: a partire dall’edizione del 1960, la più contestata in assoluto per la mancata assegnazione del Leone d’Oro ad uno dei capolavori massimi di Luchino Visconti, nonché della Storia del Cinema stesso, ovvero Rocco e i suoi fratelli. Purtroppo, Visconti non era nuovo a questo tipo di delusione, visto che anche il suo bellissimo Senso fu escluso dai vincitori nel 1954. Inutili ma significativi i fischi del pubblico in sala quando a vincere fu Il passaggio del Reno di Cayatte.

"Rocco e i suoi fratelli" (1968) di Luchino Visconti. Manifesto
“Rocco e i suoi fratelli” (196o) di Luchino Visconti. Manifesto

Fu sempre nel decennio ‘60/’70 che furono create nuove sezioni per diversificare l’offerta e ampliare il campo d’azione; ma fondamentale fu l’arrivo della Nouvelle Vague francese, con Jean Luc Godard e Alain Resnais. Va detto a questo punto che una questione ampiamente dibattuta negli anni, specialmente negli ultimi, fra la critica, verte l’utilità effettiva dei Festival, della loro reale funzione spesso e volentieri in relazione all’amata-odiata “critica cinematografica” (professione nella quale, va detto, ogni italiano si sente ferrato; dimenticando per ignoranza che però anche per fare il “critico cinematografico”, così come per insegnare latino, ci vuole una preparazione specifica). Ora, a tutti coloro i quali dubitano su quanto possa servire, ad esempio, la Mostra di Venezia, rispondiamo: se non ci fosse stata la Mostra, quasi sicuramente in Italia non sarebbe arrivata o non si sarebbe diffusa la Nouvelle Vague con tutto il suo bagaglio culturale, sociale, politico; il cinema orientale sarebbe rimasto sconosciuto, così come i capolavori di Zhang Yimou, di Ang Lee, di Tsui Hark.
E se non ci fosse stata Venezia, negli anni ’60 avrebbero fatto fatica ad emergere dei signori di nome Pier Paolo Pasolini, Bernardo Bertolucci, i fratelli Taviani, Vittorio De Seta, Marco Ferreri, Marco Bellocchio. Come a dire, il gotha del cinema mondiale. È infatti vero che proprio negli anni ’60 il cinema italiano era vitalissimo (per chi scrive, l’industria cinematografica italiana è morta con Pasolini) e fu il vero e proprio marchio di fabbrica anche per la ribalta di nuovi divi emergenti come Claudia Cardinale, Marcello Mastroianni e Monica Vitti, ma soprattutto per l’eccezionale serie di quattro vittorie consecutive del premio più prestigioso: 1963, Le mani sulla città  di Francesco Rosi; 1964, Deserto rosso di Michelangelo Antonioni; 1965, Vaghe stelle dell’Orsa di Visconti (finalmente…); 1966, La battaglia di Algeri di Gillo Pontecorvo.
Comunque, come ripetuto più volte, l’effetto della contestazione sessantottina fu l’abolizione della competizione e quindi del conferimento dei premi. Nel 1971 però ebbero l’intuizione di istituire il Leone D’Oro alla carriera, che iniziò il suo palmarès con due nomi eccellenti, Charlie Chaplin e John Ford.
La contestazione rivoluzionaria toccò il suo apice nel 1972, quando addirittura fu istituita al centro di Venezia una manifestazione cinematografica “alternativa” alla Mostra ufficiale, organizzata dall’ANAC e dall’AACI: erano le Giornate del Cinema Italiano, che l’anno successivo (quando il Direttore Gian Luigi Rondi fu costretto a dimettersi) approfittarono della momentanea assenza della Mostra, ferma perché lo statuto risalente all’epoca fascista era fermo in Parlamento, per tentare di affermarsi definitivamente e soppiantare il Festival.
Ma niente di tutto questo intaccò lo spirito della Mostra, ma soprattutto il fortissimo vento di rinnovamento che soffiava sul grande schermo: passò quindi dal Lido un capolavoro maledetto, I diavoli di Ken Russell, e anche Attenzione alla puttana santa (Warnung von einer Heilegen Nutte) di Fassbinder, La rabbia giovane (Badlands) di Terrence Malick, Novecento  di Bertolucci, L’ultima donna  di Marco Ferreri, addirittura Arancia meccanica (A Clockwork Orange), che Kubrick portò nel 1972. Scorrendo i nomi dei più grandi cineasti mondiali, passati dal Lido, è chiaro come Venezia abbia sempre avuto una sorta di propensione per lo scandalo, inteso però non come sterile provocazione, bensì come atto di irriverenza verso una visione troppo comoda e accomodante del cinema, che invece doveva (e ovviamente deve) avere un compito di risvegliare le coscienze e porre domande, non addomesticarle o proporre facili soluzioni.

"Deserto rosso" (19) di Antonioni. Manifesto
“Deserto rosso” (1964) di Antonioni. Manifesto

Il definitivo recupero del prestigio internazionale avverrà nel 1979 con Lizzani. Lui, regista della vecchia guardia, fece pulizia delle sovrastrutture residue e prima di tutto decise di offrire un’immagine più moderna della Mostra, formando un comitato di esperti che d’ora in poi aiutasse il Presidente a selezionare le opere (e fra questi, impossibile non ricordare almeno Alberto Moravia, Giovanni Grazzini, Roberto Escobar); e poi iniziando ad organizzare delle “tavole rotonde” sul cinema che portarono un gran numero di divi ed attori di prestigio:la prima fu “Gli Anni ’80 del Cinema”, che diede il la al dibattito critico sul cinema e sulle nuove tecnologie emergenti venute alla ribalta con Guerre Stellari (Star Wars) del 1977.
A seguire, ecco poi arrivare sempre grazie all’illuminato Lizzani, le retrospettive e le nuove sezioni dedicate alla ricerca: al Lido sbarcarono quindi E.T. e I Predatori dell’arca perduta (Raiders of the Lost Ark) di Spielberg, allora solo un prestigioso emergente, e ancora L’Impero colpisce ancora (Empire strikes back)  di George Lucas, I cancelli del cielo (Heaven’s Gate)  di Michael Cimino, Poltergeist  di Tobe Hooper.
È negli anni ’80 che Venezia gioca un ruolo importante nell’affermazione del cinema tedesco -sempre a proposito di quanto dicevamo prima-, importando Wim Wenders che nel 1981 porta il capolavoro Lo stato delle cose (Der Stand der Dinge), ma anche il citato Fassbinder e il suo cinema borderline e controverso con opere fondamentali come Querelle de Brest o Berlin Alexanderplatz. È il momento d’oro della Mostra, con un Festival capace di dare visibilità a grandi registi destinati negli anni successivi ad affermarsi come i più grandi autori del cinema contemporaneo. Ed è proprio negli splendenti anni ’80 che Venezia diventa lo specchio dell’attualità, intercettando film e cinematografie capaci di mostrare l’attualità culturale, sociale e politica.

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