“Pasolini” di Abel Ferrara spacca il Lido in due, di Salvatore Marfella

Su segnalazione e per gentile concessione dell’autore, il critico e giornalista Salvatore Marfella, pubblichiamo un’altra recensione del film Pasolini di Abel Ferrara, pubblicata sul periodico online www.rivistamilena.com il 5 settembre 2014 all’indomani della prima proiezione al Festival del cinema 2014 di Venezia. Un ulteriore contributo che si aggiunge alla ricca rassegna stampa su una pellicola che ha diviso in due critica e pubblico. Il dibattito continua.

di Salvatore Marfella
www.rivistamilena.com – 5 settembre 2014

 

Sonori fischi di disapprovazione alla prima proiezione stampa del mattino, applausi scroscianti alla seconda, immediatamente successiva. Sarà probabilmente questo il destino dell’attesissimo Pasolini di Abel Ferrara quando uscirà in sala (giovedì 25 settembre) e sarà finalmente visibile a tutti.
Il film, candidato al Leone d’oro, non è quello che molti si aspettavano: Ferrara non ci dice chi era e che cosa è stato Pier Paolo Pasolini, non ci descrive la sua personalità, non ci illustra l’evoluzione del suo pensiero mobile e cangiante, non fa un excursus della sua vita. Della vita di Pasolini, Ferrara sceglie gli ultimissimi momenti limitandosi a raccontare un pranzo con l’amata madre, la sorella e gli amici, un intermezzo alla macchina da scrivere, il rilascio di un’intervista, una partita di pallone con alcuni “ragazzi di vita”, una cena al solito ristorante, l’adescamento di Pino Pelosi, l’uccisione.
In questo senso, al di là della differente qualità artistica, sarebbe inopportuno accostare il film di Ferrara a Pasolini, un delitto italiano di Marco Tullio Giordana, che era buon cinema civile e d’inchiesta. Il modello, semmai, sembrerebbe essere il bellissimo Last Days di Gus Van Sant che raccontava gli ultimi momenti della rockstar  Kurt Cobain.
Tuttavia, neppure il racconto di quei brevi istanti, che pure ci restituiscono almeno in parte, attraverso lampi, frammenti e lacerti di realtà, la complessa personalità dell’artista, appare determinante. Per essere chiari, neppure lì sembra stare il cuore ed il nocciolo del film. La strada scelta da Ferrara, che si concretizza in un’operazione cinematografica di altissimo livello, è invece quella di trasporre in immagini le opere incompiute di Pasolini. Il romanzo Petrolio e alcune scene del film Porno-Teo Kolossal, che doveva essere interpretato da Eduardo De Filippo accanto al solito Ninetto Davoli, rivivono risplendendo di luce (cinematografica) nuova e suggestiva. Ne scaturisce un’opera personalissima, anomala e spiazzante, affascinante e di grande originalità, qualcosa che è al tempo stesso un film perfettamente nello stile del regista americano ma anche aderente a quella che sarebbe potuta essere la messinscena pasoliniana.

Da sinistra, Willem Dafoe e Abel Ferrara
Da sinistra, Willem Dafoe e Abel Ferrara a Venezia 2014

Nel rappresentare visivamente quello che è rimasto solo sulla carta o nella testa di Pasolini, Ferrara opera una serie di scelte registiche e soprattutto musicali profondamente evocative.Queste ultime, in particolare, hanno tra l’altro un legame diretto con Pasolini come la Passione secondo Matteo di Bach (usata in Accattone) e la Cavatina de Il barbiere di Siviglia che si ascolta verso la fine del film con la voce della Callas, personaggio che, come si sa, è stato molto importante nella vita artistica del poeta.
Certo, pur nel generale apprezzamento dell’operazione, non mancano le scelte discutibili e alcuni veri e propri pugni nello stomaco. In particolare, il fatto che gli attori alternino l’inglese e l’italiano durante i dialoghi (anche se questo effetto dovrebbe scomparire nella versione doppiata che si vedrà in sala in cui Willem Dafoe sarà doppiato da Fabrizio Gifuni) crea un effetto straniante e qua e là persino ridicolo, così come appaiono quasi indigeribili la scelta di Riccardo Scamarcio che interpreta Ninetto Davoli parlando in dialetto napoletano e quella, che a chi scrive ha fatto gelare il sangue, di far interpretare allo stesso Davoli la parte di Eduardo De Filippo. Inaccettabile, infine, è la maniera superficiale e frettolosa in cui viene mostrata la morte di Pasolini. Ferrara sceglie inspiegabilmente di non aderire né alla verità processuale (quella che vuole Pino Pelosi come unico responsabile) né a quella di molte controinchieste che parlano di un omicidio politico e di un vero e proprio agguato di matrice fascista.
Come ha detto Adriana Asti in conferenza stampa, pensare a Pasolini o parlare di lui è qualcosa che fa sempre sgorgare le lacrime. Pasolini, infatti, non è Giulio Cesare ma un uomo del nostro tempo che, nel bene e nel male, ha segnato un’epoca: Pasolini è una ferita aperta, una piaga purulenta nel cuore nero (in tutti i sensi) d’Italia e quando la si tocca bisogna fare molta attenzione.