Pigneto, Gordiani: le borgate perdute di PPP, di Filippo Ceccarelli

PAGINE CORSARE

Fondo Angela Molteni

La vita

Un accorato reportage del giornalista Filippo Ceccarelli che con malinconia che percorre le periferie della Capitale care a Pasolini alla ricerca delle tracce di un’antica vitalità, umana, linguistica e poetica, ormai perduta. Tra esse il Pigneto, set di Accattone, o la Borgata Gordiani, fondale del romanzo Una vita violenta, luoghi del mito sottoproletario pasoliniano che oggi la globalizzazione o la superficie del benessere hanno irrimediabilmente cancellato. Già dal novembre 2005, evidentemente, data a cui risale il bell’articolo di Ceccarelli uscito su “La Domenica di Repubblica”, a trent’anni dalla morte di Pasolini.

Le borgate perdute di Pasolini
di Filippo Ceccarelli

“La Domenica di Repubblica” – 6 novembre 2005

Dietro alla borgata Gordiani, in una prateria da dove si vedeva tutta la periferia con le borgate, da Centocelle a Tiburtino, in fondo ad un orto zuppo di guazza, ci stavano dei grossi bidoni arruzzoniti, abbandonati lì insieme a altri ferrivecchi, in un recinto.
(da Ragazzi di vita di Pier Paolo Pasolini)

A Ponte Mammolo, in fondo alla Tiburtina, dove Pier Paolo Pasolini venne ad abitare appena fuggito a Roma, ci si arriva con la metropolitana. E nel vecchio palazzo «senza tetto», in via Tagliere numero 3, oggi trova sede addirittura la Casa internazionale della poesia. Tutto intorno parabole, videonoleggi, gelaterie che offrono prodotti dai gusti e dai colori inorganici, ricariche di cellulari. Inesorabilmente cancellata, sul limes di Pietralata, la storica scritta a vernice: «Qua so’ cazzi!». E i “pischelli” sfoggiano cappellini da baseball.
La mutazione antropologica, d’altra parte, ha investito anche il Pigneto, sulla Casilina, che ormai va di moda ed è quasi un quartiere “fichetto”. Qui fu girato Accattone: «Erano giorni stupendi in cui l’estate ardeva ancora purissima, appena svuotata un po’ dentro, della sua furia». Niente più «casupole basse», né «muretti screpolati» con un sottofondo di Bach; si è spenta «la granulosa grandiosità» delle «povere, umili, sconosciute stradelle, perdute sotto il sole, in una Roma che non era Roma». Ci  sono oggi, al Pigneto, che è Roma assoluta e quintessenziale, interessanti librerie dai nomi pasoliniani come “Il Corsaro”; ci sono eventi culturali, compreso il premio Pasolini-Pigneto, ci sono ristorantini, negozi equo-solidali e con qualche azzardo mercantilistico appaiono maturi i tempi anche per un sushi-bar.
I fratelli Citti, Franco e Sergio, venivano da Torpignattara. Ma la luce della borgata non è più quella «lercia e bituminosa» che ancora segna il cielo di Mamma Roma. In compenso qui sono venuti a vivere i cinesi. Lavorano il cuoio, stanno tra loro e non ridono mai.
Quarant’anni fa il sottoproletariato romano aveva anch’esso i suoi problemi, ma era più allegro. O così almeno sembrò a quel giovane e strano intellettuale con gli occhiali da sole – un grandissimo filologo, in realtà – che da Sergio e Franco a tutti costi voleva sapere cosa significava «ghisciorfo». Oppure, piuttosto, «ghisorfo»?

Roma anni '60, ex-Borgata Gordiani. Si costruiscono i primi quartieri popolari
Roma anni ’60, ex-Borgata Gordiani. Si costruiscono i primi quartieri popolari

Alla Borgata Gordiani, nel frattempo, gli orticelli e i pratoni sono diventati “Parco”. Ci fanno anche il calcio femminile, oltre che meritorie ricerche etno-musicologiche. E tuttavia anche qui, come negli altri luoghi che frequentavano il Tommasino di Una vita violenta con i suoi compari Lello, il Zimmìo, il Cagone, il Budda e il Zucabbo, ecco, nella immensa periferia pasoliniana le scavatrici hanno smesso di piangere, sono state divelte le reti, disseccate le marane, chiusi gli sfasciacarrozze, abbattuti i villaggetti di tuguri, né si ascoltano più in lontananza le voci dei grammofoni.
Ed è come se il benessere avesse annientato la poesia. E forse saranno solo fantasie di letterati. Forse adesso tocca all’economia, alla sociologia, all’urbanistica o alla Polizia, al limite, di mettere l’ultima parola a suggello delle più profonde trasformazioni.
Ma di sicuro quei pezzi un tempo estremi della città eterna, della “città di Dite”, hanno trovato un destino di fuga nel vuoto abitabile dell’omologazione e del superfluo. Quando il necessario, se non l’indispensabile, per mezzo secolo almeno ha funzionato come magnifica e cupa risorsa evocativa. «Nessun nome grazioso, nessuna bella vista o bel vedere, nessun prato fiorito o valle fiorita, o ombrosa – scrive Ennio Flaiano (sceneggiatore di Fellini) sulla toponomastica della ex periferia romana – nessuna concessione al forestiero o al viandante. Tutto parla di misfatti, di fughe, di cattivi incontri. “Il Malincontro”, “la Casaccia”, “la Chiesaccia”, “la Coccia di morto”, “il Fosso del Malpasso”, l’osteria “Pisciacavallo” o quella “della Puttanella”, “il Casale Abbruciato” e quello “della Pidocchiosa”». Di “Femmine morte” Flaiano ne contò addirittura tre e a cercar bene si trovano ancora una via “della Contumacia”, una via “Affogalasino” e una invero poco amena località scelta come ricovero da Maurizio Arena e dal leader curdo Ocalan e intitolata con graziosa ironia “l’Infernetto”.

Periferia romana, anni '60
Periferia romana, anni ’60

Ebbene: questa periferia ha cessato di essere tale. E magari, rispetto a Pasolini, a suo modo ha perfino recuperato dignità. Nel 1972, a Sanremo, Vianello e Wilma Goich cantarono l’ottimismo della marginalità: «Semo gente de borgata». («ma stamo mejo noi…»). Quattro anni dopo il sindaco comunista Petroselli buttò giù i borghetti. Ancora un decennio e, Nato ai bordi di periferia, ebbe successo l’inno inaugurale di Eros Ramazzotti (però era sparito pure il dialetto).
Vennero poi Sbardella, e Rutelli, e Veltroni; e piscine vanitose alla Storta, ruspe anti-abusivismo – «L’abusivismo è come il vento», gridava Teodoro Buontempo -, proteste sui tetti, e consiglieri di An che si dettero fuoco, addirittura. Ma intanto, alla Magliana, il negozio del “Canaro” – “Mambli Lavaggio Cani” si leggeva con un brivido – vende intimo femminile, anzi lingerie.
«C’era calma e sole dietro il Quadraro» scrive Pasolini. Bene: non c’è più. Non c’è più il 409 che sulla Tuscolana, verso Porta Furba, «cambiava marcia raschiando in mezzo alla folla, fra i tricicli e i carretti degli stracciaroli, le biciclette dei pischelli e i birroccioni rossi dei burini che se ne tornavano calmi calmi dai mercati verso gli orti della periferia». Là in fondo, adesso, c’è Ikea, penultima cattedrale del consumo. L’acquedotto è rimasto: restaurato dalla Banca d’Italia e illuminato dall’Acea.

[info_box title=”Filippo Ceccarelli” image=”” animate=””]nato a Roma, ha cominciato molto giovane la sua attività di giornalista a “Panorama”, diretto da Lamberto Sechi. Si occupa principalmente del Parlamento, sia come inviato che come giornalista. Dal 1990 lavora presso la redazione romana de “La Stampa”, occupandosi anche qui di politica. Successivamente passa a “la Repubblica”, dove è editorialista. Nel 2000 ha pubblicato il libro Lo Stomaco della Repubblica, saggio monografico sul rapporto tra cibo e comando dal secondo dopoguerra a oggi, per Longanesi. Nel 2010 ha vinto il Premio Satira Politica nella sezione “Letteratura”.
(Fonte: wikipedia)[/info_box]