PPP, morte italiana. Intervista a Gianni D’Elia di Eugenio Alfano (2007)

PAGINE CORSARE

Fondo Angela Molteni

La vita

Eugenio Alfano, oggi avvocato, pittore, attivista di Amnesty International, si è confrontato nel 2007 con il poeta e saggista Gianni D’Elia sull’opera di  Pasolini, di cui è un appassionato conoscitore. Ne è nata una intervista ospitata in “Pagine corsare”, in cui D’Elia espone la sua lettura critica  della poesia e del pensiero “eretico” di Pasolini, e inoltre argomenta la tesi sul movente politico dell’omicidio del poeta all’Idroscalo di Ostia. Sullo sfondo, poi, è tratteggiata la miseria della attuale realtà italiana, che a D’Elia, con sconforto, pare depauperata forse irrimediabilmente nei valori della cultura e dell’umanesimo.

Pasolini, morte italiana
Intervista di Eugenio Alfano a Gianni D’Elia (2007)
http://notte-privata.blogspot.com/

 

Bisogna esporsi (questo insegna
il povero Cristo inchiodato?),
la chiarezza del cuore è degna
di ogni scherno, di ogni peccato
di ogni più nuda passione […]
(La crocifissione
da L’Usignolo della Chiesa Cattolica, P.P. Pasolini)

 

Partiamo dal titolo del suo libro: L’eresia di Pasolini (Effigie 2005). Cosa intende per eresia poetica ed eresia pasoliniana?
L’eresia di Pasolini consiste in una continua interrogazione del dogma: un dogma economico o spirituale, confessionale, cioè storicamente determinato, con tutti i vizi che in Italia hanno segnato il condizionamento della libertà di pensiero e dunque della libertà esistenziale. Pasolini critica, appunto come un eretico, qualcosa in cui ha creduto e in cui non crede più: la Chiesa, prima di tutto, e il capitale, perché ha visto che cosa è poi accaduto alla gioventù, con la guerra dei ricchi – come la chiama lui nelle poesie friulane – e dei nazisti e dei fascisti, e poi con l’emigrazione immediatamente dopo. Un bellissimo romanzo è  Il sogno di una cosa, che parla proprio di noi italiani, friulani che andavamo di là nell’Istria o in Jugoslavia, si emigrava appunto perché non c’era lavoro da noi. Questo è Pasolini. Pasolini rovescia sempre la consuetudine, la pigrizia della realtà ormai chiusa in uno stereotipo. Quindi l’eresia di Pasolini è la sua critica.
Ho scelto poi come titolo del libro L’eresia di Pasolini, perché mi sembra che oggi il dogma economico e spirituale dell’umanità sia così devastante, che porti così tanto male, così tanta guerra, così tanta ingiustizia e anche menzogna, che questa figura dell’eresia ritorna una figura centrale.

"Il Petrolio delle stragi" (2006) di Gianni D'Elia
“Il Petrolio delle stragi” (2006) di Gianni D’Elia

Lei inserisce Pasolini all’interno di un lungo filone definito “avanguardia della tradizione”, all’interno del quale Pasolini è solo uno degli ultimi. Cosa caratterizza questa linea poetica?
Leopardi ha agito all’interno di questa linea, ma sicuramente non è stato il primo. Il primo è Dante, ma ce ne sono altri, come ad esempio Pascoli. Ma, prendendo l’incrocio tra Dante, Leopardi e Pasolini, questa continuità è dimostrabile con lo studio, con l’analisi testuale, con i rimandi continui, con i riferimenti che Pasolini stesso fa a Leopardi, soprattutto al Leopardi de La ginestra, specialmente nel periodo giovanile in cui Leopardi è presentissimo anche come modello formale, soprattutto nelle poesie di  Roma 1950, cioè quelle dell’avvenuto distacco dal Friuli, prima che lui scriva Le ceneri di Gramsci: e lì c’è un leopardismo smaccato. Non si tratta di tradizione dell’avanguardia, perché questa è tradizione del nuovo: è il Gruppo 63 in Italia, la neoavanguardia poetica, che ebbe Pasolini come bersaglio. Pasolini rispose, dal suo punto di vista, che era totalmente l’opposto: non tanto quello di inserirsi nella tradizione dell’avanguardia novecentesca, ma di uscirne perché questa linea la vedeva esaurita dall’esercizio linguistico, da un giochetto che continuava a rigirare sul linguaggio ma non aveva rapporti con il reale e con la comunicazione anche tragica delle cose da dire. E quindi sceglie proprio l’avanguardia della tradizione: cioè di poter dire, di poter parlare, di farsi capire, di fare non una poesia giocata sul giochetto linguistico, ma una poesia sul senso e sulla musica, sul continuo contrasto e frizione tra il senso e la musica. E in questo riprende in qualche modo certamente l’idea del poema e del poemetto sia di Dante che di Leopardi e di Pascoli. Ma questa è comunque ancora una questione da studiare bene.

La morte di Pasolini è una morte tuttora oscura, ma di cui lei non ha esitato di rintracciare i motivi nell’ultima fatica pasoliniana: Petrolio. Cosa si nasconde dietro questo romanzo “incompiuto”?
Dopo L’eresia di Pasolini scrissi Il Petrolio delle stragi, seconda parte, postilla de L’eresia [Effigie, 2006], dove si parla soprattutto di Petrolio, di quello che dice: racconta cioè la strage di Stato e tutto il periodo delle stragi, dal delitto di Enrico Mattei, precipitato con l’aereo nel ’62, al delitto di Pasolini stesso nel ’75. Seguo insomma le tracce del giudice Vincenzo Calia che ha depositato la fine della sua inchiesta, il quarto stralcio sul delitto Mattei, in cui dice che quello è stato un attentato, avendolo anche dimostrato, ma che però ha dovuto archiviare perché in Italia vige il segreto di Stato. Il giudice collega il delitto Mattei, la scomparsa e quindi il delitto di Mauro De Mauro e il delitto di Pasolini, e cita Petrolio come fonte storica della sua inchiesta, dicendo che Pasolini ricopia almeno una trentina di pagine di un libro su Cefis di tale Giorgio Steimetz, il quale sarebbe Corrado Ragozzino, che dirigeva l’agenzia AMI di Milano: l’altra faccia dell’onorato presidente Cefis. La vita di Cefis, che Pasolini glossa e riscrive, è presa dal giudice in molte parti in cui dimostra per esempio, non so, che il piccolo servizio segreto privato di Cefis, cioè la società DAMA, rientra in Pasolini e diventa AMDA. Lui addirittura fa gli anagrammi e rovescia le sigle e anche da questo si può dedurre come il giudice avesse le fonti. Ma le fonti non si fermano qui, ed è questo che è inquietante. Cioè il giudice ha dimostrato che tra le carte di Pasolini, insieme a Petrolio, ci sono tre relazioni di Cefis con appunti scritti a matita non pronunciati nelle occasioni ufficiali nei quali sono stati fatti, e una parte del romanzo nella quale si parla proprio della storia dell’accumulazione del denaro al tempo della guerra (Cefis insieme a Mattei erano nella stessa divisione Partigiana Bianca repubblicana nella Val D’Ossola, mentre Pasolini poi l’ambienta in Brianza). Lì lui dimostra in qualche modo di sapere, ma questa parte di romanzo è sparita, ed è questo che anch’io denuncio nel mio libro: Pasolini in alcune righe dice «rimando il lettore a quanto ho già detto su Bonocore (che poi è il nome di Mattei nel romanzo) e su Troya (Cefis nel romanzo)» e queste parti invece non ci sono. Rimando comunque il lettore al libro, all’interno del quale ho dimostrato che Pasolini stava addosso alla verità sulle stragi, al legame tra la politica e la guerra del petrolio italiano, tra petrolieri privati e petrolieri pubblici, quindi tra Cefis con la Montedison e gli altri, Monti soprattutto, e le parti politiche, Andreotti che stava dalla parte dei privati, cioè di Monti, e Fanfani che invece stava dalla parte di Cefis. Tutto questo è dimostrato col prospetto che Pasolini disegna nelle pagine di Petrolio, facendo proprio l’organigramma del nuovo potere.
Quindi diciamo che noi siamo ancora con la menzogna su tutti gli anni ’70 e che quindi Pasolini ci serve per chiedere la verità: devono togliere il segreto di Stato, perché gli italiani e soprattutto voi giovani possiate sapere cosa è successo in Italia e avere un’idea della rovina di oggi. Il momento che stiamo vivendo adesso di grandissima confusione politica deriva proprio dalla mancanza di verità in questo paese. Non c’è più un legame tra la politica e la cultura. Quindi l’anniversario della morte di Pasolini deve essere usato come denuncia di questo grande vuoto di verità che, da quando la sua voce si è spenta, in Italia è ancora più assordante. Quindi Pasolini ci serve ancora molto perché la storia d’Italia non è compiuta, soprattutto non è svelata.

Il poeta Gianni D'Elia
Gianni D’Elia

Pasolini e i giovani. L’occhio critico del poeta nei confronti dei giovani cambia radicalmente: si passa dai “ragazzi di vita” a quei «ragazzi che quando li incontri non sai mai se aspettarti un sorriso o una coltellata». A cosa è dovuto questo cambiamento?
È dovuto a quella che Pasolini chiama, rispolverando Marx e la Scuola di Francoforte (soprattutto Marcuse), “omologazione antropologica”. Marcuse ha scritto un famoso libro nel ’64 [in Italia edito nel 1967], L’uomo a una dimensione. Questo discorso della unidimensionalità, cioè della omologazione, del tipo umano, quindi antropologico, del piccolo borghese planetario che è soprattutto modellato sul rilancio delle pubblicità e dei consumi e dei mass media e di un circolo di produzione-consumo fondato sullo spreco, ha prodotto un’umanità che vuole i beni, magari non ha i soldi per acquistarseli, e  allora ruba o delinque. Diciamo che la sua profezia sulla delinquenza giovanile era azzeccatissima.
Quindi Pasolini riprende un’analisi dell’economia politica, però lo fa da poeta, cosa che fa anche Marx, perché Marx era anche poeta, era poeta della critica e ha scritto anche versi. Secondo Marx, la produzione non produce soltanto oggetti ma produce umanità, che altro non è se non rapporti sociali. Pasolini negli Scritti corsari riprende questa visione di Marx e dice che il nuovo capitalismo non produce soltanto merce ma produce rapporti sociali, cioè nuova umanità. Perché i rapporti sociali sono gli uomini, sono le persone. Da cosa sono dominati questi rapporti oggi? Sono dominati dal denaro, anche dalla penuria del denaro, chiaramente anche dalla miseria, a livello culturale ma molto più materiale. Quindi gli intellettuali, i giovani e gli studenti (per Pasolini gli studenti sono i giovani intellettuali) devono seguire questo impegno, anche se tutti dicono che l’impegno è una parola che non serve più. L’impegno di tutti i giorni, anche quando stiamo da soli, della verità. Quindi è chiaro che, se vediamo una realtà italiana come questa, dobbiamo cercare di usare questi strumenti pasoliniani, che sono poi Marx, Gramsci, tutta la linea della Sinistra migliore, la Sinistra poetica italiana, che non è una sinistra solo di prosa. Come dice Ingrao, «voglio sognare», cioè ci deve essere il sogno. Qui questa Sinistra poetica non ha voce oggi, non la senti, ed è per questo che le analisi sono carenti, perché, per fare un’analisi dell’umanità di oggi, ci vorrebbe un poeta o ci vorrebbe qualcuno che ha il cuore, che soprattutto fa sentire agli altri qualcosa, li smuove un po’, non solo nella testa ma nei sentimenti. Abbiamo bisogno di una “scossa sentimentale” secondo me, che senz’altro è anche intellettuale.

Nella sua ultima raccolta poetica Trovatori (ed. Einaudi, 2007), in una poesia lei scrive: «Per lo più, sei così lontana dalla poesia, / che mi spaventa, cultura, la tua autìa, / la tua autosufficienza dal sentire… / e non tanto dalla poesia scritta, / ma da quella vissuta». Che ruolo dovrebbe avere per lei la poesia nella nostra società civile e politica?
La poesia dovrebbe avere un ruolo sentimentale, dovrebbe essere cioè l’educazione sentimentale degli italiani, che sono maleducati sentimentalmente; basta guardare il livello civile della discussione anche politica oggi a che livello sia. Allora la poesia è una educazione sentimentale che fin dalle scuole elementari dovrebbe essere rafforzata, in tutti gli ordini e gradi delle scuole, fino ad arrivare alle superiori certamente, ma anche alle università: tutti dovrebbero conoscerla, studiarla e soprattutto la poesia dovrebbe essere insegnata come motivo di educazione sentimentale. Perché l’analfabetismo sentimentale e quindi la violenza da dove vengono? Vengono dal fatto che uno non scava dentro di sé, non conosce niente di se stesso e quindi giudica gli altri e il mondo sempre da fuori. Questo fatto della maleducazione di oggi è anche linguistica, ma soprattutto di sentimenti, di cuore: manca il cuore. E quando Pasolini dice «è cominciata l’era della fine della pietà» e che l’era consumistica inaugura la fine dell’era della pietà, vuol dire che la pietà che c’era prima, cioè la pietas umanistica, concetto secondo il quale l’uomo è più importante delle merci e di tutto il resto, si è persa. Si è persa perché nella cultura è passata  l’idea che ciò che conta è il denaro e la merce e non la persona. Infatti anche tutti i discorsi che si fanno sull’economia sono discorsi dal punto di vista dell’economia e dal punto di vista della politica, ma non dal punto di vista umano.

Ha parlato di linguaggio, cosa pensa del “Vaffa-Day”?
Il turpiloquio, il Vaffa-day, può andar bene per dieci  minuti, ma dopo stufa. A me stufa subito. Nel senso che dopo tanti anni, se l’unica parola che si trova per una protesta politica è quella, non vedo nessun progresso dal ’77, quando si sbagliarono gli slogan e addirittura vennero slogan di violenza e di morte. Ecco questo qui è uno slogan volgare e cretino, secondo me, perché allora sarebbe meglio trovare invece di “vaffanculo”  una parola giusta, di critica anche aspra, però giusta e che secondo me non è quella. Potrebbe anche essere il primo momento di urlo di protesta, ma non da uno che la teorizza e poi la spartisce agli altri. […]
Si mescola oggi un qualunquismo degenerato, perché è tutto saltato, non c’è più la cultura, soprattutto di sinistra, la cultura di sinistra ha abdicato totalmente e non c’è più una cultura in Italia in grado di combattere questa cultura devastante, fatta di qualunquismo, di parolacce, di generica protesta, mai di impegno magari determinato anche a fare qualcosa, non a dire sempre “no”, ma anche a provare a costruire insieme qualcosa. Senza una cultura politica, una pratica politica, non è possibile … su questo credo e insisto tanto. Oggi la pratica politica è debole ed è del tutto insufficiente, perché la cultura politica è ristretta ed è di prosa. Facciamoci entrare un po’ la poesia.

"Morte italiana", un quadro di Eugenio Alfano
“Morte italiana”, un dipinto di Eugenio Alfano

A corredo dell’intervista a Gianni D’Elia, pubblichiamo una riflessione di Eugenio Alfano sulle ragioni che lo spingono a considerare e ad amare Pasolini come un poeta esemplare della verità. 

Ma ho spiegato loro che
l’architettura non è giustizia
(da Umiliato in catene di Sami Al Haj, in Poesie da Guantánamo, acd Marc Falkoff)

Un omaggio a uno dei poeti che più amo: Pier Paolo Pasolini. Morte italiana perché la morte di Pasolini in Italia ha portato alla morte della Giustizia innanzitutto, della politica e delle istituzioni in generale, dei mass media, degli italiani e quindi della cultura. È uno dei molti esempi di casi irrisolti in Italia, di misteri che a più di uno fa comodo che rimangano tali. Il mistero di questo delitto, infatti, è tutto racchiuso all’interno di Petrolio e delle parti mancanti del romanzo: «Pasolini stava addosso alla verità sulle stragi, al legame tra la politica e la guerra del petrolio italiano» (G. D’Elia).
È l’altra faccia della medaglia-Giustizia, di quella parte della Giustizia che si rende complice di crimini e assassini. Vuole essere quindi un omaggio anche a tutti coloro che sono vittime di questa “Giustizia-malata” (Eugenio Alfano).

[info_box title=”Eugenio Alfano ” image=”” animate=””]laureato in Giurisprudenza all’Università di Firenze, è appassionato di poesia (conoscitore del l’opera di Pasolini) e dello studio della criminalità organizzata. Nel 2006 ha realizzato insieme a Gian Luigi Ago e Claudia Bellucci la lezione-spettacolo sul Teatro Canzone di G. Gaber e S. Luporini, progetto didattico presentato, tra l’altro, a Cosenza, Firenze e Milano. Nel 2007 ha realizzato un’intervista al poeta Gianni D’Elia (Pasolini: morte italiana). Appassionato di arte, realizza lavori che coniugano un tratto pittorico preciso e dal sapore metafisico a temi concettuali legati alla realtà sociale e psicologica («Le capacità di concettualizzare i suoi disegni pur all’interno di una visione metafisica e di farli parlare del sociale», Gian Luigi Ago).
A novembre del 2007 realizza Finestra sulla realtà, recensito dal poeta Gianni D’Elia. Un suo dipinto, Un uomo e una donna, viene utilizzato per la copertina dell’e-book Diario di G. Laguardia. È socio-attivista di Amnesty International.[/info_box]