PPP e la Sicilia: un amore contrastato, di Daniele De Joannon  

PAGINE CORSARE

Fondo Angela Molteni

La vita

Daniele De Joannon, della redazione di “Centonove”, settimanale regionale siciliano edito a Messina, ha ricordato Pier Paolo Pasolini in due ricorrenze legate all’anniversario della morte: nel novembre 2000 [L’eredità di Pasolini] e nel novembre 2005 [P.P.Pasolini, trent’anni dopo].
Nel primo ha riesumato il poco noto episodio della denuncia del giornalista Barnaba Maj e del docente universitario Pompeo Oliva ai danni del direttore della “Gazzetta del Sud”, Nino Calarco, accusato di “apologia del delitto” per il suo perfido commento all’omicidio Pasolini, equiparato al delitto del Circeo.
Nel secondo articolo  
Daniele De Joannon si sofferma invece soprattutto sul rapporto tra il poeta-cineasta e la Sicilia, isola amata e spesso scelta come set di molti film.

“L’eredità di Pasolini”.
L’omicidio divise l’Italia e trasformò Messina in un caso nazionale.
La denuncia di Pompeo Oliva contro Nino Calarco 

“Centonove”, n. 43, 3 novembre 2000

«Violenta fine di Pier Paolo Pasolini per mano di un ragazzo di borgata. Lo scrittore regista è stato finito con un pezzo di legno tolto da una staccionata. Il suo assassino, un diciassettenne senza voglia di lavorare, dichiara alla polizia di aver reagito alla pretesa violenza della sua vittima che voleva avere per forza con lui “rapporti sessuali”. Dopo il delitto, nell’orgasmo della fuga, a bordo dell’auto del PPP, il giovane è passato con le ruote sopra il cadavere» (“Gazzetta del Sud”, 3 novembre 1975).
Due novembre 1975. Pier Paolo Pasolini muore assassinato all’Idroscalo di Ostia. Tre novembre 1975, Messina diventa protagonista della morte del regista. Protagonista con un episodio che non trova precedenti nella storia del giornalismo italiano. Un giovane avvocato e un assistente di Filosofia presso la Facoltà di Magistero dell’Università, Pompeo Oliva e Barnaba Maj, denunciano il direttore del quotidiano cittadino per “apologia del delitto”, un processo che si concluderà con l’assoluzione del giornalista. Oliva e Maj denunciano per un commento di prima pagina, Non ha trovato Sara Lopez, che prende le mosse dalla tragedia della giovane sequestrata, violentata, uccisa e chiusa nel ripostiglio di una 127 (l’amica Donatella Colasanti si salverà miracolosamente) dal gruppo di pariolini di destra estrema composto da Andrea Ghira, Angelo Izzo e Gianni Guido.
Nel commento, l’episodio viene richiamato come significativo: «Non c’è differenza tra Pasolini e quegli assassini, tra l’omosessuale e gli eterosessuali: sono l’uno e gli altri le espressioni ed i simboli (dopo il “fatto”) di una violenza che nasce dal male. Il male di voler essere “diversi”, di essere “perversi”, di essere contra legem non tanto per il piacere in se stesso ma per il godimento che dà la trasgressione».

Manoscritto BWV 1001. Siciliana
Manoscritto BWV 1001. “Siciliana” di Bach

Ecco il ricordo di Pompeo Oliva: «A distanza di trent’anni dalla morte di Pasolini non è facile rievocare, e rivivere, quel turbinio di sentimenti, di passioni e di forti contrapposizioni che quella morte fece divampare in Italia. Pasolini in realtà divide anche oggi, ma è curioso che, mentre a sinistra c’è chi ne prende le distanze, considerandolo cantore di una realtà radicata nella cultura contadina e in definitiva portatore di valori antimodernisti, in altri versanti culturali – in qualche caso di opposta tendenza – si scopre il grande significato della sua produzione artistica. Ciò – spiega Oliva – vale per dire che anche l’episodio di cui mi viene chiesta una diretta testimonianza, dopo venticinque anni, può ben essere storicizzato ed essere collocato nel suo giusto contesto temporale. L’iniziativa che, dettata non solo da ragioni ma anche da un forte impulso emotivo, Barnaba Maj e io prendemmo in aperto contrasto con un articolo di Nino Calarco apparso sul quotidiano messinese – continua – rispondeva soprattutto al desiderio di testimoniare una nostra solidarietà commossa a favore di un poeta brutalmente assassinato, e non fu certamente quella che si dice un’iniziativa di tipo politico. Giusta o sbagliata, di fatto nessun effetto sul piano pratico si produsse, né questo in realtà ci interessava; quella nostra azione servì ad aprire una discussione che già allora non aveva, neanche nella nostra città, schieramenti politicamente omogenei».
Ma cosa scrisse il direttore della “Gazzetta del Sud”? «Conobbi Pasolini in Calabria, molti anni fa. Gli avevano conferito un premio. Era già iscritto al Pci, nonostante il fratello, partigiano, fosse stato “infoibato” dai “titini” del Friuli materno per la sola colpa di essere italiano. Tornatosene a Roma, scrisse un pezzo ingiusto per la regione che gli aveva reso omaggio. Restammo urtati dall’incomprensione del marxista e del letterato che intascava il milione di lire elargitogli dalla comunità. Sollevammo la questione “morale” e a Pasolini non andò l’allora cospicuo assegno». Lo scritto, poi, entra nello specifico: «Sin da allora – l’artista è fuori discussione – l’uomo politico, il moralista, il giornalista si cominciò a delineare nella sua esatta dimensione di “violento” e di “perverso”, causa ed effetto di alquanto cerebralismo. Ecco perché la sua scontata morte non ci turba, né ci commuove, né ci emoziona. La pagina quattordici del giornale di oggi – continua – è piena di epitaffi, retorici e falsi. Chi li ha profferiti, quasi tutti letterati sensibili alla pubblicità e al conformismo ignorava i fatti. I fatti – ammoniva Lenin – sono testardi. Pasolini non cessò mai di rinunciare alla sua “euforia vitale” espressa in autentiche notti di violenza psicologica e fisica, come era abbastanza noto a tutti e come confermato dal “fatto” del suo ultimo incontro».
Il direttore Nino Calarco, poi, entra nel cuore del problema: «È bene premettere subito che non rifiutiamo acriticamente l’omosessuale. L’omosessualità nei suoi vari aspetti distinti (omofilia, invertiti, pederastia, sodomia, travestiti) è un problema che interessa il dieci per cento dell’umanità. Quello che non accettiamo è l’omosessuale “perverso” come Pasolini, cioè colui che si fa non solo apologista di un costume “contro la storia” (ci sarebbe stato il 1975 se nella notte dei tempi invece di Adamo ed Eva la terra fosse stata popolata dai Pasolini?) ma al servizio di questa sua “diversità” impone grazie al successo ed alla notorietà la sua falsa scienza e la sua falsa psicologia, spingendosi per opportunismo commerciale fino all’ignominia della propaganda politica che in Italia aggiunge confusione a confusione».

Messina. Panorama
Messina. Panorama

“Pier Paolo Pasolini, trent’anni dopo”
A distanza di tre decenni, il rapporto tra l’intellettuale più contemporaneo d’Italia e l’Isola
è più vivo che mai.
 Un amore cominciato ascoltando Bach

Centonove, n. 42, 4 novembre 2005

Lontano dall’Idroscalo di Ostia (luogo della morte), da Pino “la Rana” (condannato per l’omicidio), dal furto delle pizze di Salò (ultimo film girato) e dalle indagini e immagini sul “caso” di Sergio Citti, che è scomparso poco prima dei trent’anni dal delitto del suo maestro (così come, anni fa, Laura Betti, Natalia Ginzburg e tanti altri compagni di viaggio), il rapporto di Pier Paolo Pasolini con la Sicilia è un segmento con due estremi antitetici, al di là della geometria: delazione di routine, tutta racchiusa nel termine “arruso” (frocio), e difesa della memoria con una vicenda giudiziaria nata all’indomani dell’omicidio e finita con un’assoluzione.
Una denuncia esplosa nella meno sonnolenta Messina degli anni Settanta, che rientra nell’elenco dei processi che riguardarono l’intellettuale direttamente e indirettamente, prima e dopo la morte.
In mezzo ai due estremi, il legame tra Pier Paolo Pasolini e la Sicilia si sviluppa nella parola, nella musica, nei libri, nei metri di pellicola dei suoi film, primo fra tutti quel Comizi d’amore (1964-65) che svelò il rapporto tra i palermitani e la sessualità.
«Le parole greche acuiscono la realtà denudandola, cioè spogliandola del caduco. Nefelh è la nube bella. Nube, per noi, è concetto confuso, e mescola l’oscuro ad una perfezione di bianchezza e di forme. Tra udwr e acqua; tra Sikhlia e Sicilia; tra nektare nettare… c’è la medesima differenza. I nomi greci hanno luce, i romanzi colore; i greci suono, i romanzi melodia; i greci perfetti, i romanzi perplessi; i greci sereni, i romanzi annuvolati. Aqua, Sicilia, nectar latini sono pagani e perciò vicini ai greci, ma hanno meno fantastica somiglianza con la cosa reale». L’amore e l’interesse dell’intellettuale per l’Isola e le sue origini possono essere intuiti da questa frase tratta da I nomi o il grido della rana greca, mentre l’inevitabilità di mettersi in relazione con i suoi abitanti è metaforicamente tratteggiata ne Il sogno del Centauro (a cura di Jean Duflot, Editori Riuniti, Roma, 1983):

Sono nato in una famiglia tipicamente rappresentativa della società italiana: un vero prodotto dell’incrocio… un prodotto dell’unità d’Italia. Mio padre discendeva da un’antica famiglia nobile della Romagna, mia madre, al contrario, viene da una famiglia di contadini friulani che si sono a poco a poco innalzati, col tempo, alla condizione piccolo-borghese. Dalla parte di mio nonno materno erano del ramo della distilleria. La madre di mia madre era piemontese, ciò non le impedì affatto di avere egualmente legami con la Sicilia e con la regione di Roma.

Nella visione di Pasolini, non vi è differenza tra l’Isola e il resto dell’Italia, almeno sotto taluni punti di vista, come si evince da alcune notazioni a Le radici del Luglio [in “Vie Nuove”, Roma, 29 ottobre 1960]:

Se riscrivessi ora sullo stesso argomento [il 1960, il governo Tambroni, ndr], non potrei non tenere conto, certamente, del significato di questa estate politica: del fatto cioè che quella mia indignazione, che io credevo ristretta a pochi memori, è invece condivisa da una grande maggioranza di italiani, tra cui soprattutto, i giovani: quelli di Genova, quelli di Reggio, quelli di Roma, quelli di Palermo. Ciò non significa che mi abbandonerei a un facile ottimismo: questo mai. Né credo potrei mai cancellare in me l’impressione che quello che hanno fatto i fascisti e i nazisti nel mondo è stato così disumano, da presentarsi come una piaga di non facile guarigione nel corpo dell’intera umanità.

Ma è nell’immaginazione di un laureando Pasolini che la Sicilia entra, ancor prima che lo stesso ne conosca gli abitanti. Succede a Casarsa, dove l’intellettuale si reca sempre più spesso da Bologna e dove conosce una violinista slovena, Pina Kalc, che comincia a impartirgli lezioni di violino e lo introduce a Janácek e a Bach, le cui musiche saranno ricorrenti sin dal primo film, Accattone (1961):

Era soprattutto il Siciliano che mi interessava – racconta Pasolini – perché gli avevo dato un contenuto, e ogni volta che lo riudivo mi metteva con la sua tenerezza e il suo strazio, davanti a quel contenuto: una lotta cantata impassibilmente tra la Carne e il Cielo, tra alcune note basse, velate, calde, e alcune note stridule, terse astratte. Come parteggiavo per la Carne! Come mi sentivo rubare il cuore per quelle sei note, che, per un’ingenua sovrapposizione di immagini, immaginavo cantate da un giovanetto siciliano dal petto bronzeo e ardente. E come invece sentivo di rifiutarmi alle note celesti!.

E il rapporto tra Pasolini e la musica si concretizza sempre in Sicilia, con il progetto di Sylvano Bussotti di mettere in musica la poesia Alla bandiera rossa (dalla raccolta La religione del mio tempo), che trova una effettiva realizzazione nell’opera intitolata In memoria, che il musicista fiorentino presenta per la prima volta a Palermo nel 1962.

"Comizi d'amore".Un'immagine
“Comizi d’amore”.Un’immagine

Per il regista, l’Isola è un set privilegiato e anche di più, come per Comizi d’amore (1964-65), girato anche a Palermo e Cefalù, e con un intervento, fra gli altri, del poeta Ignazio Buttitta:
«E quando compare nelle prime inquadrature a domandare ai giovani borgatari di Roma e Palermo le loro esperienze in tema d’amore e sesso, sappiamo che si sta portando a compimento la parabola iniziata ne La ricotta: Orson Welles/il regista spegne le luci del set e abbandona la storia di Cristo, per dedicarsi alla propria storia. Getta la maschera di lattice per mostrarci il volto di Pier Paolo che vi era sotto» (da Luigi Pingitore, Pasolini. Il cinema della poesia).
Nel 1964, per Il Vangelo secondo Matteo, Pasolini inserisce fra le location la Valle dell’Etna, che si ritrova anche in Teorema (1968), Porcile (1968-69, riprese anche a Catania) e I racconti di Canterbury (1971-72). In relazione ad alcune visite di Pasolini a Palermo proprio per quest’ultimo film, nel 2000 Ciprì e Maresco girano Arruso, che inizia con una frase di Pasolini («Ho bandito dal mio vocabolario la parola speranza») e si compone di interviste immaginarie ad alcuni personaggi locali che si presume abbiano avuto dei rapporti omosessuali con il regista. I due registrano le testimonianze, talora affettuose altre meno, di chi ebbe modo di incontrarlo e conoscerne le tendenze in occasione di quel viaggio.
E in Sicilia si chiude, anticipandola, la parabola di Pasolini, con il lavoro per Petrolio (pubblicato postumo), che prende le mosse dal delitto Mattei, e con un poema incompiuto: «È agghiacciante, ma insieme comico “alla Kafka”, che abbia immaginato come autore dell’opera incompiuta, La Divina Mimesis, cioè se stesso, uno scrittore morto ucciso a colpi di bastone a Palermo, “l’anno scorso”: e lui, nella finzione, ne risulta il filologo. Ricorda Roncaglia che nelle Lettere luterane Pasolini ha scritto: «non c’è niente di più allucinatorio del verificarsi, in atto, di qualcosa che si era prevista e descritta come … possibilità»  (Federico De Melis, “il Manifesto”, 25 ottobre 1992).
Il rapporto tra Pasolini e la Sicilia continua ultimamente grazie all’opera del regista Antonio Latella, che ha messo in scena Pilade, Porcile e Bestia da stile, ritenute non rappresentabili, ma che oggi varcano i confini per andare nei teatri d’Europa.
Tra i contributi post mortem alla Sicilia, l’adrenalina che l’omicidio dell’intellettuale produce a Messina. All’indomani della notizia, infatti, il direttore della “Gazzetta del Sud” scrive un commento sulla morte che, per reazione, determina una denuncia a suo carico da parte di Barnaba Maj e Pompeo Oliva. Il processo finisce in assoluzione, ma entra a pieno titolo nei procedimenti aperti contro Pasolini, o a lui legati, che, con continuità, corrono dal 1949 in avanti.