Il delitto PPP. La verità mai verificata di Sergio Citti (8 maggio 2005)

PAGINE CORSARE

Fondo Angela Molteni

La vita

Sergio Citti, grande amico di Pasolini e suo “maestro” per l’accesso al mondo e al gergo delle borgate romane, non ha mai creduto alla tesi per cui l’assassinio di Pasolini fosse imputabile ad una sola persona, in quel caso il “reo confesso” Pino Pelosi. La nuova versione fornita da Pelosi nel maggio 2005 circa la presenza di altri sul luogo del delitto ha spinto Citti a rilanciare la sua verità, che non fu mai verificata dagli inquirenti nemmeno nel 1975, al momento delle indagini per la morte crudele del poeta.
“Pagine corsare” ha pubblicato alcuni articoli e interviste sulle dichiarazioni di Citti usciti l’8 maggio 2005, a ridosso della nuova versione di Pelosi.

“So io chi ammazzò Pier Paolo, non mi hanno mai voluto sentire”
di Anna Maria Liguori

“la Repubblica” – 8 maggio 2005

«Pino Pelosi ha detto tante bugie, bisogna riaprire l’inchiesta. Per fargli dire la verità, tutta fino in fondo, dovrebbe rispondere alle mie domande. Vorrei un confronto con lui. Io so, con esattezza, come sono andati i fatti». Sergio Citti, 72 anni, amico fraterno e stretto collaboratore di Pier Paolo Pasolini, è da anni molto malato. La sua mente però è lucida e al telefono si commuove più volte mentre racconta la sua versione dei fatti, «quella che – dice – doveva venir fuori trent’anni fa».

Perché è così sicuro che Pelosi mente?
Ho parlato con Pier Paolo l’ultima sera, prima che uscisse. Mi disse che andava alla stazione Termini perché aveva appuntamento con un gruppo di ragazzi, non con tre com’è stato detto, ma con cinque, come ho appurato dopo. Non mi nominò mai Pelosi, non disse “vedo un amico” come sempre faceva. Non c’erano segreti tra noi. Queste cose avrei voluto dirle ai giudici, ma non sono stato mai chiamato a testimoniare. A quel tempo la cosa che si temeva di più era fare chiarezza…

La colpa secondo lei è di chi ha fatto le indagini?
I giudici hanno fatto un processo disonesto. Nessuno ha voluto cercare la verità. Io ho filmato i posti dove dicono sia avvenuto il delitto, ho ricostruito minuto per minuto quello che è successo in quelle ore. Avevo una “gola profonda”. Parlavo con una persona che mi ha raccontato di quella sera. Una testimonianza di prima mano, vera, attendibile. Lui ha visto. Io a Pelosi direi solo un nome, quello di questa persona, e lui sarebbe costretto a dire finalmente quel che sa.

Qual è la verità che secondo lei non è mai stata svelata?
Pino Pelosi era solo un ragazzo. Ha fatto da esca a quei cinque. Non erano amici suoi, questo è da sottolineare. Lui non conosceva neppure i loro nomi. L’hanno solo usato, serviva qualcuno a cui accollare il delitto. Pelosi è dovuto stare al gioco di questa gente, gente “rispettabile” che aveva ordinato l’omicidio. Il ragazzo non aveva nessuna possibilità di ribellarsi, anche se avesse voluto. Pier Paolo è stato ammazzato sulla Tiburtina e poi è stato portato a Ostia, dove lo ha trovato la polizia. Sono stati gli altri a metterlo in macchina e a trasportarlo fin lì.

È la tesi del complotto che gli inquirenti hanno scartato.
E hanno commesso un errore. La sua morte è convenuta a tante persone. A chi aveva paura della sua mente, del suo spirito e della sua capacità di essere libero. L’Italia deve molto a Pasolini. Eppure per lui la maggior parte della gente, ora come allora, non prova né odio né amore ma solo morbosità. Nessuno lo conosce davvero. All’estero sì, lo studiano, sanno chi è, ne ammirano la grandezza e ce lo invidiano. E io prima di morire vorrei che si facesse luce sulla sua assurda morte”.

Pasolini, nessuna nuova inchiesta, ma la parte civile non ci sta
redazionale

“la Repubblica” –  8 maggio 2005

La Procura di Roma ha ribadito oggi di non voler riaprire le indagini sull’omicidio Pasolini. Malgrado le ultime dichiarazioni di Pino Pelosi, che per la prima volta ha detto di non essere lui il colpevole della morte dello scrittore, che invece sarebbe stato vittima (secondo la sua nuova ricostruzione) di una spedizione punitiva compiuta da tre persone. Secondo quanto è trapelato da Palazzo di giustizia, i magistrati riterrebbero insufficienti i motivi per riprendere il mano l’indagine sull’omicidio, avvenuto il 2 novembre 1975. I legali della famiglia, però, non ci stanno: l’avvocato di parte civile, l’avvocato Nino Marazzita, domani depositerà una memoria contenente i nuovi elementi, come lui stesso ha annunciato oggi. Un modo per spingere la Procura a indagare di nuovo.
Marazzita ha precisato che l’iniziativa è stata decisa in seguito alle «nuove tracce investigative fornite dalle dichiarazioni rilasciate da Pino Pelosi in tv e dal regista Sergio Citti sulla stampa». Si tratterebbe, secondo il legale, di «tracce che vanno solidificate da un punto di vista giudiziario: dovrà quindi essere aperto un nuovo fascicolo».
Intanto anche Citti, amico fraterno di Pasolini – e da sempre sostenitore della tesi che lo scrittore fu vittima di una vera e propria esecuzione -, oggi ha ribadito di voler essere sentito dai magistrati, cosa che non avvenne ai tempi dell’omicidio. Il regista, 72 anni, malato, da alcuni mesi costretto su una sedia a rotelle, ha ricordato i giorni precedenti l’omicidio. Fornendo anche un possibile movente.
«Fecero un furto della pellicola del film Salò alla Technicolor – ha raccontato -. Il giorno dopo venne uno da me, che conoscevo, e mi disse: “Sergio, vogliamo parlare con Pasolini per il materiale che hanno dei ragazzi, che vogliono dei soldi, 2 miliardi”. Telefonai a Pasolini ed andammo dal produttore, Grimaldi, che mi disse “posso dare al massimo 50 milioni”. Quell’uomo tornò da me e mi portò al bar dove si aggirava Pelosi. Io aspettai fuori, lui andò dentro: qualcuno gli disse “No, non accettiamo”».
Poi Citti ha proseguito nel suo racconto: «Questi volevano il numero di Pasolini. La sera prima di partire per Stoccolma Pier Paolo, io e la mia ex moglie abbiamo cenato assieme a Pasolini e a Ninetto Davoli a Ostia. Pasolini mi disse che un ragazzo gli aveva telefonato, che non volevano più una lira e che gli volevano riconsegnare il materiale. Pier Paolo allora disse: “Domani vado a Stoccolma, quando torno li vedrò, mi hanno detto ‘Ci dispiace’ , vogliamo ridarti tutto”».
«Tanto è vero – prosegue Citti – che quando tornò gli telefonai, dicendogli: Pier Pa’, ci vediamo? ma lui rispose: “No, Sergio, stasera devo andare a mangiare con Ninetto e poi devo andare da questi ragazzi”. Così fece, non dicendo nulla a Ninetto, andando poi alla stazione Termini, dove c’era Pelosi, e restandoci venticinque minuti. Qui Pelosi telefonò, non so a chi, e qualcuno gli disse: “A mezzanotte e un quarto vieni e gli diamo la roba”. Allora Pasolini ha aspettato, è andato lì e invece, così mi fu raccontato, lo hanno aggredito, è scappato, l’hanno ripreso e bastonato, fece finta di essere svenuto. Qualcuno all’Idroscalo vide ciò che accadeva, ma non ha mai testimoniato».

Sergio Citti
Sergio Citti

Sergio Citti, l’amico regista chiede di parlare con i giudici
redazionale
“Il Giorno” –  8 maggio 2005

La Procura di Roma ribadisce di non voler riaprire le indagini sull’omicidio Pasolini. Secondo quanto si è appreso rimane invariata la posizione della Procura della capitale, come già era trapelato ieri, anche dopo che è stata trasmessa in televisione l’intervista a Pino Pelosi e pubblicate dalla stampa le dichiarazioni del regista Sergio Citti.
Secondo quanto è stato possibile appurare, in Procura verrebbero ritenuti insufficienti i motivi addotti per ottenere che nuove indagini vengano compiute sul caso dell’omicidio del regista, avvenuto il 2 novembre 1975.
Nonostante ciò, in qualche modo, in attesa di sviluppi, non è da escludere che a piazzale Clodio domani la vicenda possa essere comunque esaminata. Soprattutto dopo che il legale di parte civile, l’avvocato Nino Marazzita, avrà depositato una memoria contenente i nuovi elementi, come lui stesso ha annunciato oggi.
Sergio Citti, amico fraterno e collaboratore di Pier Paolo Pasolini, ha ribadito oggi di voler essere sentito dai magistrati, cosa che non avvenne, ha ricordato, ai tempi dell’omicidio, al fine di «far emergere tutta la verità». «Già allora subito dopo il delitto, sui giornali, lo dissi: io so chi ha ucciso Pasolini e come avvennero i fatti – ha ripetuto oggi nella sua casa in riva al mare a Fiumicino – Non sono mai stato chiamato per testimoniare. Hanno chiamato altri che non c’entravano niente».
Citti, 72 anni, malato, da alcuni mesi costretto su una sedia a rotelle, con accanto il fratello Franco, protagonista di Mamma Roma e altri film dello scrittore-regista ucciso all’Idroscalo di Ostia, è tornato con forza a chiedere di «poter essere chiamato per fornire una testimonianza», convinto «che si debba riaprire l’inchiesta». Poi Citti ricorda quei giorni.
«Fecero un furto della pellicola del film Salò alla Technicolor – racconta – Il giorno dopo venne uno da me, che conoscevo, e mi disse: “Sergio, vogliamo parlare con Pasolini per il materiale che hanno dei ragazzi, che vogliono dei soldi, 2 miliardi”. Telefonai a Pasolini ed andammo dal produttore, Grimaldi, che mi disse “posso dare al massimo 50 milioni”’. Quell’uomo tornò da me e mi portò al bar dove si aggirava Pelosi. Io aspettai fuori, lui andò dentro: qualcuno gli disse “No, non accettiamo”».
Citti prosegue il racconto: «Questi volevano il numero di Pasolini. La sera prima di partire per Stoccolma Pier Paolo, io e la mia ex moglie abbiamo cenato assieme a Pasolini e a Ninetto Davoli ad Ostia. Pasolini mi disse che un ragazzo gli aveva telefonato, che non volevano più una lira e che gli volevano riconsegnare il materiale. Pier Paolo allora disse “Domani vado a Stoccolma, quando torno li vedrò, mi hanno detto ‘Ci dispiace, vogliamo ridarti tutto’”. Tanto è vero – prosegue Citti – che quando tornò gli telefonai, dicendogli: Pier Pa’, ci vediamo? ma lui rispose: “No, Sergio, stasera devo andare a mangiare con Ninetto e poi devo andare da questi ragazzi”. Così fece, non dicendo nulla a Ninetto, andando poi alla stazione Termini, dove c’era Pelosi, standoci venticinque minuti. Qui Pelosi telefonò, non so a chi, e qualcuno gli disse: “A mezzanotte e un quarto vieni e gli diamo la roba”. Allora Pasolini ha aspettato, è andato lì ed invece, così mi fu raccontato, lo hanno aggredito, è scappato, l’hanno ripreso e bastonato, fece finta di essere svenuto. Qualcuno all’Idroscalo vide ciò che accadeva, ma non ha mai testimoniato. Pelosi è stato l’esca giusta, perché a Pasolini piaceva quel tipo di ragazzo. Ad Ostia Pasolini ci è stato portato con l’inganno, perché dovevano ridargli la pellicola».
Citti racconta anche di «aver girato un filmato nelle ore dopo il ritrovamento del cadavere. Ripresi le scie delle gomme della macchina, con cui quelli, non Pelosi, buttando giù un palo di cemento lo investirono, così come mi fu raccontato». «Vorrei essere faccia a faccia con Pelosi – conclude il regista di Casotto – La morte di Pasolini è convenuta a tante persone».

Pino Pelosi durante un sopralluogo all'Idroscalo di Ostia (1976)
Pino Pelosi durante un sopralluogo all’Idroscalo di Ostia (1976)

Parla l’amico regista oggi settantaduenne
di Roberta Bottari

“Il Messaggero” –  8 maggio 2005

«So chi ha ucciso Pasolini, in quale modo e anche perché». Lo afferma Sergio Citti, amico fidato e collaboratore del regista-scrittore ucciso all’Idroscalo di Ostia nel 1975. E aggiunge: «È arrivata l’ora di riaprire l’inchiesta».

Sergio Citti, chi ha ucciso Pierpaolo Pasolini? 
Erano in cinque, compreso Pelosi. Di più non posso dire.

Perché?
Non ho le prove.

Ne ha parlato con i giudici?
No. E non a causa mia.

Cioè?
Due giorni esatti dopo la morte di Pier Paolo, rilasciai un’intervista proprio al “Messaggero” , in cui affermavo la stessa cosa che dico oggi, cioè che so chi ha ucciso Pasolini. Eppure, nessuno mi ha chiamato a testimoniare. Potevo dare un contributo, se non molto di più: non le pare?

E come mai non l’hanno cercata? 
Non ne ho idea, ma mi sembra strano. È uno dei tanti, troppi misteri intorno a questo caso.

Come fa a sapere chi è l’assassino? 
Mi è stato raccontato da due testimoni: a distanza di molto tempo mi hanno detto le stesse, identiche cose. Uno, un pescatore, mi ha riferito che Pier Paolo strillava tanto. Gli ho chiesto di venire con me a testimoniare, mi ha risposto: “Io ci tengo alla vita”. In più, involontariamente, anche Pasolini stesso mi ha fornito un versione che collima con quella dei testimoni.

Cosa vuole dire? 
Il giorno dell’omicidio Pier Paolo mi aveva telefonato, dicendomi che si sarebbe incontrato con quattro persone di cui diffidava: erano i suoi assassini.

Cosa pensa di quello che ha dichiarato Pelosi? 
Gli credo: non è stato lui a uccidere Pasolini. Quel ragazzo c’era, ma era soltanto un’esca, benché scelta bene. Probabilmente Pelosi in questo momento è a caccia di pubblicità, ma va bene lo stesso, se può servire a far riaprire il processo. Mi piacerebbe avere un confronto con lui.

Cosa vorrebbe dirgli? 
Siamo due borgatari, ci riconosciamo, non mi mentirebbe facilmente. Vorrei domandargli per quale motivo andarono a Ostia e non sulla Tiburtina dove i due si erano incontrati. Se Pier Paolo voleva fare l’amore con Pelosi, perché percorrere 120 chilometri tra andata e ritorno, con tutti i prati che ci sono vicino alla Tiburtina? E poi gli chiederei: chi altro se non Pelosi ha detto agli assassini dove trovarlo? Dopo la scoperta dell’omicidio ho filmato tutto in quel posto, le uscite possibili, dove è stata trovata la camicia con il sangue e il resto: perché i giudici non hanno mai voluto vedere il mio video?

Per quale motivo, secondo lei, Pasolini è stato assassinato? 
Accusava la Democrazia Cristiana, la Cia, parlava senza mezzi termini della strage di piazza Fontana e non solo: non si sarebbe fatto corrompere e, per toglierlo di mezzo, lo dovevano uccidere. Con la sua morte, ha fatto vivere tanta gente, persone che hanno scritto, filmato e lucrato su di lui. La sua perdita è più grave di quello che sembra: non manca solo a me, manca ai giovani, anche se non lo sanno. Per questo ho un appello da fare: mi rimane poco da vivere, riaprite il processo, fate presto.