Il capitolo mancante di “Petrolio” e il falso scoop di Marcello Dell’Utri  (2010)

PAGINE CORSARE

Fondo Angela Molteni

La vita

Martedì 2 marzo 2010 il senatore del Pdl, nonché “noto bibliofilo”, Marcello Dell’Utri dichiarò di essere in possesso delle pagine di un capitolo di Petrolio,  il cui testo risulta effettivamente mancante nel volume pubblicato nel 1992 da Einaudi e anche nel manoscritto originale conservato al Gabinetto Vieusseux di Firenze. Dichiarò anche che avrebbe mostrato la sua clamorosa scoperta alla 21.ma  Mostra del libro antico, aperta al pubblico a Milano dal 12 al 14 marzo 2010, precisando inoltre che quelle carte provenivano “forse” dallo studio di Pasolini dal quale sarebbero state trafugate. Carte che, secondo alcuni, potrebbero rappresentare il movente dell’omicidio del poeta. La notizia ebbe subito una fortissima eco sulla stampa, in cui intervennero vari studiosi di Pasolini e vari sostenitori della tesi politica della sua morte, che invitarono Dell’Utri a esplicitare le fonti di provenienza di quello che comunque, a tutti gli effetti, sarebbe stato un “corpo di reato”.
Va precisato che poi quelle carte misteriose non furono esposte nella mostra milanese, dato che – a detta di dell’Utri – il suo possessore sarebbe stato spaventato dal clamore suscitato dalla notizia e si sarebbe ritirato.
La storia del romanzo
Petrolio e del misterioso  capitolo perduto è stata raccontata nei libri di Gianni D’Elia Il petrolio delle stragi (Effigie, 2006) e di Sandra Rizza e Giuseppe Lo Bianco Profondo nero (Chiarelettere, 2009).
Su questa intricata vicenda, che infittisce di ulteriori ombre il mistero della morte di Pasolini, “Pagine corsare” ha pubblicato alcuni articoli apparsi sulla stampa il marzo e l’aprile del 2010, preceduti da una riflessione di Angela Molteni.

Una riflessione preliminare
di Angela Molteni
marzo 2010

Un essere umano è di tanti tipi: c’è chi parla chiaro, sinceramente e dicendo senza mezzi termini le cose come stanno, chi va sopra le righe magari perché divorato da una passione indomabile, chi semplicemente vive o vivacchia, chi applica una buona dose di ipocrisia per affrontare qualsivoglia questione, chi mente spudoratamente e magari smentisce il giorno appresso con la massima nonchalance se stesso e certe sue affermazioni, chi racconta storie di vita reale, chi inventa un qualsiasi fatto o avvenimento purché ne possa trarre qualche utilità, chi usa un linguaggio accessibile, chi ha sempre e comunque la necessità – stavo scrivendo “il vizio” – di lanciare messaggi oscuri, spesso incomprensibili ai più e in cui si fatichi a riconoscere i destinatari.
Ecco, per esempio, i mafiosi appartengono a quest’ultima tipologia di persone: ciò che dicono può apparire in un primo momento assolutamente estraneo a qualsiasi contesto oppure funzionale a sostenere una determinata tesi, di cui però il più delle volte sfuggono i contenuti. Poi, se le esternazioni vengono approfondite, può essere che se ne scorgano le connessioni, le finalità. O magari soltanto i “pii desideri”, forse le necessità di depistaggio a beneficio di una strategia non esplicitata che, per essere compresa e contrastata, occorre preliminarmente mettere a fuoco.
Infine, ricordo anzitutto a me stessa che una qualsiasi tesi, ipotesi o accusa, sostenuta dalla persona più intellettualmente onesta che esista sulla faccia della terra, deve passare necessariamente dalle forche caudine dei riscontri per trasformarsi in una prova. Anche per gli scrittori è così, ma soltanto loro probabilmente sono in grado di dire quel “qualcosa in più” che spesso precede o annuncia o pretende “la prova” (Pasolini stesso ne è stato un esempio fulgido, e forse proprio per questo ha perso la vita) che spesso concorre perfino a svelare misteri, o meglio indizi che non hanno ancora il crisma della prova ma che possono essere utili ai lettori – che fanno parte di quella pubblica opinione di cui parlava il Poeta:

L’intelligenza non avrà mai peso, mai
nel giudizio di questa pubblica opinione.
Neppure sul sangue dei lager, tu otterrai

da uno dei milioni d’anime della nostra nazione,
un giudizio netto, interamente indignato:
irreale è ogni idea, irreale ogni passione,

di questo popolo ormai dissociato
da secoli, la cui soave saggezza
gli serve a vivere, non l’ha mai liberato […].

Sarebbe sempre auspicabile in ogni caso che si riuscisse a distinguere gli indizi o le ipotesi da ciò che può essere riscontrato: si tratta anche e soprattutto di assumere un comportamento che non conceda spazi agli equivoci o alle strumentalizzazioni. Da quest’ultimo punto di vista il magistrato Vincenzo Calia è stato coraggioso ed esemplare, e al suo stile penso sia opportuno fare riferimento. Soprattutto se qualcuno come Marcello Dell’Utri ci invitasse ad affidarci ai suoi “papelli”, sui quali a mio parere occorrerebbe essere cauti e sulla cui autenticità finora non c’è alcun segnale affidabilmente credibile. Mentre conosciamo, purtroppo, la sua familiarità con l’apocrifo.
In ogni caso, e visto il rilievo che anche lo stesso Dell’Utri assegna alla vicenda delle “misteriose pagine” cui ha fatto cenno con un linguaggio semi-cifrato e contraddittorio, sarebbe opportuno un provvedimento di sequestro di dette pagine da parte della magistratura, cosa che – leggo ora – è stata puntualmente richiesta dall’avvocato Stefano Maccioni, dalla criminologa Simona Ruffini e anche da Gianni D’Elia nel suo articolo odierno sul “Manifesto”.  Non sarebbe che un primo, doveroso passo in direzione di una verità che appare finora non onorata.

"Petrolio" di Pier Paolo Pasolini. Copertina
“Petrolio” di Pier Paolo Pasolini. Copertina

1.“Così Dell’Utri «riscrive» Pasolini”
di
Tommaso Di Francesco
“il Manifesto” – 3 marzo 2010

Il senatore Pdl e noto “bibliofilo” Marcello Dell’Utri, nonché condannato per favoreggiamento di mafia e colonna di Berlusconi, ha annunciato di avere in mano una “scoperta” che sarà svelata alla XXI mostra del libro antico, Milano 12-14 marzo: un dattiloscritto di Pier Paolo Pasolini che corrisponderebbe a un capitolo di Petrolio, il romanzo incompiuto uscito postumo nel 1992.
«L’ho letto – ha dichiarato – ma non posso dire nulla. Credo sia stato rubato dallo studio di Pasolini. È inquietante per l’Eni, parla di Cefls, di Mattei e si lega alla storia del nostro Paese».
35 anni fa, il 2 novembre del 1975, Pier Paolo Pasolini veniva assassinato a Ostia. Prima della morte lavorava proprio a Petrolio, un romanzo-inchiesta e insieme profezia concreta di nuove stragi. Di questo scartafaccio conosceva l’esistenza Paolo Volponi – ha scritto Massimo Raffaeli. Lì era raccontata la stagione primigenia dalla quale era nato in Italia quel misto di partecipazione al potere, trasformismo, cinismo e trame criminali di stato.
«È incredibile. Quel capitolo Lampi sull’Eni del romanzo Petrolio, ritenuto dal giudice Calia un documento storico sulle stragi d’Italia, è stato rubato da casa di Pasolini. In termini giuridici è un “corpo di reato”. Pasolini potrebbe averci lasciato la vita per questo. Dell’Utri deve dire come lo ha avuto, chi glielo ha dato, per quali flni», accusa il poeta Gianni D’Elia, collaboratore del “Manifesto” per molti anni, che per primo ha insistito sull’esistenza del capitolo scomparso nel saggio  Il petrolio delle stragi (Effigie 2006).
Appare chiaro che quel furto non è un fatto letterario ma riguarda le responsabilità del potere e che il capitolo diventa ora un’arma di ricatto. E Dell’Utri ci mette la firma. Ricordate quel che Pasolini scriveva solo un anno prima d’essere ucciso: «Io so, io so i nomi dei responsabili di quello che viene chiamato golpe (e che in realtà è una serie di golpes istituitasi a sistema di protezione del potere»).

2.”Vogliamo la verità sull’assassinio di Pasolini
di Carla Benedetti

“Il primo amore” – 3 marzo 2010

Perché il processo non viene riaperto?
Nel 2008  abbiamo consegnato al Presidente della Repubblica un appello [già diffuso nel 2005] per la riapertura del processo Pasolini pubblicato dal “Primo amore” e firmato da un  migliaio di persone in Italia e all’estero. La lunga lista delle adesioni riempiva sei pagine fitte del primo numero della rivista nel 2006.
Ma niente si è mosso.
Eppure, molti nuovi elementi sono emersi negli ultimi cinque anni e tali da aprire interrogativi inquietanti, tuttora sospesi. La versione ufficiale  sull’assassinio di Pasolini (rissa sessuale tra due persone), che è circolata per tanto tempo, troppo, e di cui molti si sono finora accontentati, appare ormai sempre più chiaramente come una messa in scena servita a sviare le indagini e a coprire un altro tipo di omicidio.
Prima c’era stata la dichiarazione pubblica di Pino Pelosi, che dopo aver scontato la pena, ha sostenuto di non essere lui l’assassino di Pasolini e di essersi accusato dell’omicidio perché sotto minaccia. Poi è stata diffusa la testimonianza filmata del regista Sergio Citti, da cui emergevano incongruenze e negligenze degli inquirenti. Poi la notizia, anch’essa comparsa sui giornali, che Pelosi già conosceva e frequentava Pasolini  prima della notte dell’omicidio (come si legge in un articolo del “Messaggero”). Per non parlare della lunga serie di testimonianze e di indizi trascurati.
Ma nonostante questo il processo non fu riaperto.
Oggi una nuova notizia, sconcertante. Il senatore Marcello dell’Utri, condannato per concorso esterno in associazione mafiosa, dichiara di essere in possesso di un capitolo di Petrolio, presumibilmente trafugato dalla casa di Pasolini. Si tratterebbe della parte intitolata Lampi sull’Eni. Nell’edizione Einaudi di Petrolio di quel capitolo era rimasto solo il titolo. Gli eredi di Pasolini negano però che vi sia stato, nei giorni dell’omicidio, alcun trafugamento di carte dalla casa dello scrittore. Quale sarà la verità? Da chi Dell’Utri ha avuto quelle carte?
Riproponiamo qui sotto il testo dell’appello del “Primo amore, sperando che il Presidente della Repubblica voglia farsi carico di questa urgenza di verità sentita già da tempo da tanti cittadini e da molte voci della cultura italiana e internazionale, e oggi non più eludibile.

Anche noi parte offesa: riaprire il processo Pasolini (testo dell’appello 2005)
A trent’anni dalla morte, non sappiamo ancora da chi è stato ucciso Pasolini e perché. Questo suo assassinio va ad allungare la lista impressionante di omicidi, attentati, sparizioni, finti suicidi e finti incidenti di cui è costellata la storia d’Italia dal dopoguerra a oggi e che, a decenni di distanza, non sono stati ancora chiariti. Responsabili e mandanti impuniti, verità sottratte per decenni non solo ai tribunali ma anche al discorso pubblico.
Noi non sappiamo se a far tacere uno degli artisti più fervidi e una delle voci più scomode e tragiche di questo paese sia stata una decisione politica. Quello che però sappiamo – come lo sa chiunque abbia prestato attenzione alla vicenda – è che la versione blindata della rissa omosessuale tra due persone non sta in piedi. Sappiamo che essa è stata solo una copertura servita a sviare le indagini e a coprire un altro tipo di delitto. Quella versione, del resto, non ha mai retto, nemmeno per il tribunale di primo grado, che infatti condannò il diciassettenne Pino Pelosi assieme a ignoti. Ma oggi, dopo che il reo confesso ha dichiarato pubblicamente di non essere l’assassino di Pasolini e di essersi accusato dell’omicidio perché sotto minaccia, e dopo la diffusione della testimonianze del regista Sergio Citti, sono ancora più evidenti le negligenze e le coperture che hanno accompagnato fin dall’inizio quell’atroce vicenda.
In seguito alle dichiarazioni di Pelosi, la Procura di Roma ha riaperto e subito richiuso – per mancanza di riscontri – il fascicolo sul delitto Pasolini. Questa nuova inchiesta è stata archiviata ancor prima di iniziare! Eppure non si sono sentite molte voci indignarsi per questa reiterata non-volontà di fare chiarezza su quella morte. Uno strano silenzio ha circondato la notizia, e questo proprio mentre ricorreva il trentennale della morte di Pasolini e dappertutto fervevano le celebrazioni del poeta, dell’artista, dell’intellettuale che pure tanti fanno mostra di rimpiangere.
Dopo quanto è successo, non possiamo più accontentarci della versione ufficiale, perché significherebbe diventare complici degli assassini di Pasolini. Chiediamo perciò che vengano finalmente svolte le indagini che non si sono mai volute fare e che venga detta finalmente la verità su quel delitto.
Ci sono cose di cui, come scriveva Pasolini, è impossibile parlare senza indignazione, senza cioè far capire l’enormità di ciò che è avvenuto. Il più atroce assassinio di un poeta dell’età contemporanea, più turpe dell’assassinio di García Lorca, un vero massacro di gruppo, è avvenuto a Roma, in Italia, per mano di italiani. E invece, per trent’anni, sono state cancellate prove, sono stati ignorati indizi, testimonianze e documentate contro-inchieste di giuristi e intellettuali italiani. In una situazione simile, spetta in prima persona agli scrittori, ai poeti, agli artisti, agli intellettuali, ai giornalisti, e a tutte le persone libere che hanno a cuore la verità, chiedere (come ha già fatto il Comune di Roma, che si è costituito parte offesa) la riapertura del processo e l’accertamento della verità.
Ci sembra questo il modo migliore di ricordare Pasolini a trent’anni dalla sua tragica morte.
[L’intera lista delle adesioni, raccolte durante diversi mesi in Italia e all’estero, è stata pubblicata sul N.1 della rivista “Il primo amore”].

3.“Cinema Italia”
di Oliviero Beha
“Il Fatto Quotidiano” – 3 marzo 2010

Troviamolo in fretta, e assegniamogli ad honorem e per acclamazione l’Oscar per la migliore sceneggiatura. Il film come sapete si chiama “Italia 2010” ed è frutto di una regia collettiva. O meglio, di un certo numero di persone. Sembra un film a episodi, tipo I mostri o I nuovi mostri di tanti anni fa e non certo l’ultimo orrendo remake. In realtà è davvero quella che si dice una pellicola corale. Mi limito qui a segnalarne alcuni spunti, per invitarvi a non perderlo. Anche perché è già uscito nelle sale, è in tv, su Internet, sui giornali, e temo che, se non state attenti, oltre ad “uscire” se ne andrà proprio per conto suo svicolando la coscienza del pubblico cui è dedicato. Intanto, in un giorno di tensione per il bavaglio all’informazione politica, i talk-show Rai sospesi, l’attentato alla democrazia e simili, esce la notizia che è stato ritrovato qualcosa a quel che sembra importante circa il romanzo postumo di Pier Paolo Pasolini.
E chi annuncia il ritrovamento? Alberto Asor Rosa? Tullio De Mauro? Ninetto Davoli? Macché. Dall’Ansa di ieri: «Il senatore del Pdl Dell’Utri ha annunciato la scoperta di un dattiloscritto scomparso di Pasolini sui misteri dell’Eni. “L’ho letto ma non posso ancora dire nulla – ha detto Dell’Utri – è uno scritto inquietante per l’Eni”.
Meraviglioso: lui, il noto bibliofilo non ci dice nulla che lo riguardi e che lui conosca da vicino, quelle cosucce simpatiche e un po’ mafiosette per cui è già stato pluricondannato in un paio di gradi di giudizio, nulla – che so – sulla massoneria deviata o rientrante di questo paese. Ma ritrova lo scritto di uno che, se fosse ancora in vita, gli sarebbe saltato metaforicamente al collo.[…]

"Petrolio". Una pagina manoscritta
“Petrolio”. Una pagina manoscritta

 4.“Ma Dell’Utri che c’entra?”
di Giuseppe Lo Bianco e Sandra Rizza
“Il Fatto Quotidiano” – 3 marzo 2010

Adesso lo scoop letterario di Marcello Dell’Utri può diventare un input giudiziario, provocando la riapertura dell’inchiesta sull’uccisione di Pier Paolo Pasolini, assassinato all’Idroscalo di Ostia la notte tra l’1 e il 2 novembre del 1975. E’ l’avvocato Stefano Maccioni (che un anno fa, assieme alla criminologa Simona Ruffini, depositò alla Procura di Roma un’istanza per riaprire le indagini sulla morte del poeta) a chiedere oggi ai magistrati il sequestro del misterioso dattiloscritto in possesso del senatore bibliofilo.
Secondo Dell’Utri, si tratta di quindici pagine che costituirebbero un sunto di Lampi
sull’Eni: il capitolo scomparso del romanzo Petrolio, l’ultima opera letteraria di Pasolini, pubblicata postuma da Einaudi nel 1992. E’ il romanzo che per la prima volta denuncia con illuminante chiarezza le origini della strategia della tensione in Italia, culminata nella stagione delle stragi impunite, orchestrata e finanziata – secondo Pasolini – da potentati economici, in un gioco perverso tollerato persino dai più alti rappresentanti delle istituzioni. Un romanzo che Pasolini non riuscì a terminare proprio perché fu assassinato e che potrebbe costituire addirittura la ragione della sua eliminazione. «Riterrei necessario – annuncia Maccioni – che il pm Diana De Martino provvedesse al sequestro del manoscritto, poiché tale documento potrebbe costituire il movente dell’omicidio di Pier Paolo Pasolini».
Un omicidio, con ogni probabilità, di chiara matrice “politica”. Perché il capitolo misteriosamente scomparso è così importante? Lampi sull’Eni potrebbe costituire proprio il cuore di Petrolio, spiegando tutti i retroscena della morte del presidente dell’Eni Enrico Mattei, precipitato nelle campagne di Bascapé in seguito a un attentato camuffato da incidente aereo nel 1962. Quell’incidente che Amintore Fanfani definì «il primo gesto terroristico del nostro paese». Sostiene ora Dell’Utri, l’unico che ha in mano quelle pagine e che le ha lette in attesa, come dice, di ricevere l’intero capitolo di 78 pagine: «Parlano  dell’Eni, di loschi intrecci, di particolari sulla morte di Mattei. Contengono feroci accuse a Cefis. E’ più di un giallo, perché si collega ad altri enigmi. La morte di Mauro De Mauro, quella dello stesso Pasolini».
Che significa tutto ciò? Per l’ex pm di Pavia Vincenzo Calia, che negli anni passati ha indagato sulla fine di Mattei, l’attentato di Bascapé sarebbe il frutto di un complotto tutto italiano, orchestrato «con la copertura degli organi di sicurezza dello Stato» e poi occultato in un intreccio di omertà e depistaggi pronti a ricompattarsi ogni volta che, nella storia del paese, qualcuno minaccia di rivelarne il segreto. Per questo motivo sarebbe morto, nel 1970, Mauro De Mauro, il giornalista dell’”Ora” di Palermo,  impegnato a scavare sulla morte del presidente dell’Eni mentre scriveva la sceneggiatura del film di Francesco Rosi sul caso Mattei. Per lo stesso motivo, Pasolini, ucciso ufficialmente in un’assurda lite tra “froci”, potrebbe essere rimasto vittima di un agguato studiato a tavolino. In Petrolio, infatti, lo scrittore alludeva a pesanti responsabilità di Eugenio Cefis, successore di Mattei alla presidenza dell’Eni e poi presidente di Montedison, alla scomparsa del suo predecessore. Alle stesse conclusioni, a quanto pare, era giunto pure De Mauro, che, per raccogliere notizie sulla fine di Mattei, si era rivolto all’avvocato Vito Guarrasi, l’uomo di Cefis in Sicilia.
Ma chi era Cefis? Dal dopoguerra in poi è stato il grande vecchio della finanza italiana, protagonista di un sistema che, secondo Massimo Teodori, componente radicale della Commissione sulla Loggia P2, «diviene progressivamente un vero e proprio potentato, che, sfruttando le risorse imprenditoriali pubbliche, condiziona pesantemente la stampa, usa illecitamente i servizi segreti dello Stato a scopo di informazione, pratica l’intimidazione e il ricatto, compie manovre finanziarie spregiudicate oltre i limiti della legalità, corrompe politici, stabilisce alleanze con ministri, partiti e correnti”. Ma non solo. Secondo una nota del Sismi, «la loggia P2 è stata fondata da Eugenio Cefis, che l’ha gestita fino a quando è rimasto presidente della Montedison».
Nelle pagine di Petrolio, proprio Cefis appare come un protagonista. Nel romanzo, infatti, compaiono sia Mattei sia Cefis, rispettivamente con i nomi di fantasia di Bonocore e Troya. E, in un appunto, Pasolini è più che esplicito: «Troya (!) sta per essere fatto presidente dell’Eni, e ciò implica la soppressione del suo predecessore». Ecco perché, nella sua complessa inchiesta giudiziaria sulla fine di Mattei (conclusa con un’archiviazione), il pm Calia ipotizza un legame tra le morti del presidente dell’Eni, di De Mauro e di Pasolini. Ed ecco perché le quindici pagine affidate a sorpresa a Marcello Dell’Utri possono fare paura a molti. Da dove provengono? Il senatore del Pdl, dopo aver svelato che è stato “un privato” a mettere a disposizione il capitolo mancante di Petrolio, si è affrettato a precisare: «Sia chiaro che questo documento riguarda un periodo lontano, quindi parla di un Eni che non c’entra con l’attuale. Dico questo perché non si pensi a manovre».
Ma Gianni D’Elia, autore de Il petrolio delle stragi (Edizioni Effigie, 2006), tra i massimi studiosi dell’opera di Pasolini, non ci crede: «Quel capitolo, ritenuto un documento storico sulle stragi in Italia, è stato rubato da casa di Pasolini. In termini giuridici è un corpo del reato. Se è vero, Dell’Utri deve dire come lo ha avuto, chi glielo ha dato, per quali fini». E ancora: «Ho scritto che c’era una continuità tra il potere proto-piduista di Cefis e il potere attuale, ma mai avrei creduto che un’eredità culturale e politica contemplasse anche il ricevere quelle carte». D’Elia ricorda che «una delle tante società offshore della Edilnord era intestata al padre dell’avvocato Previti e si chiamava, con poca fantasia, Cefinvest». E conclude: «Mi chiedo: chi vogliono colpire? Quali traffici ci sono ora con l’Eni? Questa è una storia che non finisce qui».
Sono molti, infatti, i punti da chiarire sulla improvvisa ricomparsa del capitolo mancante di Petrolio: perché spunta proprio adesso? Chi lo ha tenuto nascosto fino ad oggi? E perché arriva proprio a Dell’Utri, il cui padre Alfredo, deceduto nel 1971, fu socio di Vito Guarrasi, l’uomo di Cefis in Sicilia (come è scritto nella scheda biografica dell’avvocato palermitano redatta dalla Dia e agli atti del processo De Mauro in corso a Palermo) dal 1948 al 1950 nella società per azioni Ra.Spe.Me. per la vendita di prodotti medicinali?

Il poeta Gianni D'Elia
Il poeta Gianni D’Elia

5.“Ladri di «Petrolio»”
di Gianni D’Elia
“il Manifesto” – 4 marzo 2010

Uno straccio di verità: sono ormai 35 anni che sul delitto di Pasolini in molti la chiediamo,
da Gianni Borgna a Carlo Lucarelli, a Carla Benedetti a tanti altri. Ora arriva la notizia che qualcuno ha messo le mani sopra un capitolo scomparso di Petrolio, con un lancio d’agenzia in cui il sensazionale e il superficiale ci sgomentano, ad aggiungere nuova nebbia al nebbione corrotto in cui siamo. E lo sgomento cresce di ora in ora, perché quel qualcuno che ha messo le mani su questo capitolo del romanzo incompiuto di Pasolini si chiama Marcello Dell’Utri.
Ossia qualcuno che è quanto più lontano da un antifascista come Pasolini si possa immaginare; e dico antifascista, perché per la denuncia del nuovo fascismo Pasolini è stato assassinato il 2 novembre del 1975, schiacciato come un cane all’Idroscalo di Ostia. Il nuovo fascismo era per Pasolini il nuovo potere economico del consumismo e del trasformismo politico, che dal delitto di Enrico Mattei del 1962 arriva alle stragi del “doppio Stato”, passando per la loggia P2 fondata da Eugenio Cefis e lasciata per paura al duo Gelli-Ortolani, fino a una delle società nascoste della Edilnord Centri Residenziali (già Edilnord s.a.s. di Silvio Berlusconi & c.), con sede a Lugano, dell’avvocato Umberto Previti, padre di Cesare, cui hanno dato il pittoresco nome di Cefinvest.  Un’eredità non dissimulata?
Pasolini stava addosso a questa guerra del potere per il petrolio pubblico e privato, scriveva un romanzo complesso e dirompente, che se fosse uscito in quegli anni, in traduzione mondiale, avrebbe svelato l’economia politica delle stragi, che derivava da quel primo delitto fondativo del marcio italico che è l’attentato contro Mattei.
Vengono i brividi a sentire che il berlusconismo si è impossessato anche di questo reperto:
«un dattiloscritto sui misteri dell’Eni, rubato dallo studio di Pasolini». Si tratta dunque di un oggetto di reato, per pura ammissione, che dunque non potrebbe essere esposto in nessuna mostra. Dell’Utri dica subito da chi, come e quando l’ha avuto. Perché, quando abbiamo denunciato e raccontato della scomparsa di un capitolo di Petrolio, intitolato Lampi sull’Eni, nel libello il Petrolio delle stragi (Effigie, 2006) nessuno si è fatto avanti? Perché arriva adesso? Per attaccare chi? Il giudice Vincenzo Calia per primo ha indicato, nella sua inchiesta sul delitto Mattei, le carte di Pasolini, svelando la fonte del romanzo in Questo è Cefis. L’altra faccia dell’onorato presidente edito dalla Agenzia Milano informazioni nel 1972, ad opera di tale Giorgio Steimetz, alias Corrado Ragozzino (un altro libro scomparso, fatto sparire in fretta, introvabile persino alla Biblioteca Nazionale di Roma e Firenze, presente in catalogo, ma assente dallo scaffale).
Ora, questo inedito pasoliniano, così bellamente sbandierato a una mostra del libro antico in programma a Milano dal 12 al 14 marzo, non potrà essere mostrato, perché prima che di documento letterario si tratta di reperto di un delitto, oggetto di reato di furto o sottrazione, di cui ignoriamo tutto, ma non il fatto materiale che i manoscritti non hanno gambe, e non si trovano per la strada.
All’uscita della mia piccola inchiesta sul romanzo postumo come prova del delitto politico di Pasolini, già anticipata per tratti sintetici dal mio precedente e collegato saggio, L’eresia di Pasolini (Effigie, 2005), a parte una coraggiosa incursione di Paolo Di Stefano sul “Corriere della Sera” (Il Petrolio al veleno di Pasolini. Il caso Mattei, i sospetti su Cefis e la morte violenta del poeta, 7 agosto 2005), si è assistito al dubbioso ripudio di molti, a partire dagli eredi, nei confronti di quel manoscritto e paragrafo scomparso, di cui resta solo il sunto con lo schema del potere italiano di allora in guerra: «Cefis (Fanfani, fisicamente) – Monti (Andreotti, fisicamente)». Così sta scritto, e quello che manca lo ha fatto riapparire il mago dell’Utri. Si tratta di Lampi sull’Eni? Si tratta di quel capitolo, che Pasolini chiama paragrafo?
Ora Dell’Utri accenna a un privato anonimo come elargitore, e conferma: «Sono 78 pagine e si intitola Lampi suil’Eni». Se esiste ora quel capitolo, o paragrafo, se è quello di cui si parla da anni, non può e non potrà essere lasciato nelle mani di chi è già condannato per mafia, e ha tra i suoi più cari amici e capi i piduisti iscritti a quell’albo nero della Repubblica. Pasolini non merita questo.
Chiedo alla magistratura (a Roma c’è un fascicolo riaperto sull’omicidio di Pasolini) di farsi consegnare il dattiloscritto per esaminarlo, convocando magari il giudice Calia che ne sa  l’importanza, perché si configura il reato di cosa rubata e ricettata messa in circolo senza spiegazioni, con l’arroganza di sempre, con cui si tiene il presente e il passato in scacco continuo in questo pericolosissimo paese.
Penso a tutti gli amici di Pasolini, ai lettori del mondo di questo poeta senza giustizia, alla beffa che in questo momento sentiamo aleggiare anche su questa ferita. Che quel capitolo esistesse, lo sentivamo, col cuore, con gli occhi e con le orecchie; col cuore dei compagni; con gli occhi dei lettori di Petrolio: «Per quanto riguarda le imprese antifasciste… ne ho già fatto cenno nel paragrafo intitolato “Lampi sull’Eni”, e ad esso rimando chi volesse rinfrescarsi la memoria» (Appunto 22a, p.97); con le orecchie dei testimoni: «Mia cugina Graziella mi telefonò: “Sono venuti i ladri in casa, hanno rubato della roba, gioielli e carte di Pier Paolo”». Era passato forse un mese dal delitto, come ci disse Guido Mazzon, cugino di Pasolini e grande tromba jazz, a Pavia, il 24 ottobre 2005.
Chiediamo il sequestro cautelativo della memoria di Pasolini, insieme alla mobilitazione di chi si sente offeso, a partire dai morti a catena: Mattei, il suo pilota, il reporter americano, il giornalista Mauro De Mauro, il giudice Pietro Scaglione, fino a Pasolini, tutti sulle tracce di Cefis e della prima P2.

"Questo è Cefis" di Giorgio Steimetz. Copertina
“Questo è Cefis” di Giorgio Steimetz. Copertina

6.”«Petrolio», il mistero in mostra”
di Paolo De Stefano
“Il Corriere della Sera” – 12 marzo 2010

Il capitolo scomparso di Pasolini ritirato dalla manifestazione milanese.
Questa è la strana storia di gente che dice e non dice, che afferma e poi si tira indietro, che allude e si guarda bene dal confermare, che ricorda e poi perde la memoria. Tanto che anche chi non avesse nessuna tendenza al complottismo a tutti i costi, alla fine qualche brutta idea se la fa venire per forza. Per esempio: il senatore Marcello Dell’Utri annuncia, in coda a una conferenza stampa di presentazione della Mostra del Libro Antico (martedì 2 marzo), che (probabilmente) verranno esposti i famigerati fogli di Petrolio, l’ultimo romanzo (rimasto incompiuto) di Pier Paolo Pasolini, misteriosamente scomparsi dopo la sua morte. Annuncio clamoroso. I giornali ovviamente si scatenano e, a poco a poco, col passare dei giorni, la notizia perde credibilità: sì, forse, ma… e alla fine non se ne fa niente. La Mostra si inaugura (oggi 12 marzo 2010 alla Permanente di Milano) [in effetti l’inaugurazione è avvenuta ieri 11 marzo, da oggi – e fino al 14 marzo – la mostra è aperta al pubblico, ndr] e i fogli non ci sono: «La persona che me li ha promessi è scomparsa ». Ma lei li ha visti? «Li ho avuti tra le mani per qualche minuto, sperando di poterli leggere con calma dopo». Che fisionomia avevano? «Una settantina di veline dattiloscritte con qualche appunto a mano». Poi si preciserà che sono esattamente 78 «di un totale di circa duecento». Potrebbe essere il famoso capitolo mancante, intitolato Lampi sull’Eni? Risposta: «Più esattamente Lampi su Eni». Che la preposizione sia semplice o articolata, si tratterebbe, dunque, delle pagine del famoso Appunto 21 che nel romanzo coincidono con un foglio in bianco e che, secondo alcuni, dovevano contenere il racconto “sconvolgente” della scalata di Cefis all’ente petrolifero italiano e forse il mistero della morte di Mattei. O più probabilmente rivelazioni sull’oscuro passato partigiano dello stesso Cefis in val d’Ossola.
Ma è cosa che già non si sappia? E cosa che non sia contenuto in un libro, Chi è Cefis? L’altra faccia dell’onorato presidente, firmato con lo pseudonimo Giorgio Steimetz, pubblicato nel ’72 dall’Ami (Agenzia Milano Informazioni) e fatto immediatamente sparire dalla circolazione? Pamphlet di cui – è acclarato – Pasolini possedeva una delle rarissime copie sopravvissute e a cui lo scrittore attinse a piene mani per costruire il suo romanzo. Quel che rimane del presunto documento destinato alla Mostra sono esili tracce: sarebbe stato proposto a Dell’Utri da una persona di Roma che, spaventata dal rumore seguito all’annuncio, avrebbe pensato bene di tirarsi indietro (dopo aver offerto il libro di Steimetz, che invece è regolarmente esposto, accanto a un altro volume raro, intitolato L’uragano Cefis, a cura di Laura Betti, Giovanni Raboni e Francesca Sanvitale, pubblicato sotto la sigla editoriale EGR e privo di data).
Insomma, tanti condizionali d’obbligo, a questo punto, se non si riesce neppure a capire come mai sia stato dato l’annuncio del sorprendente ritrovamento (sia pure in forma dubitativa) quando ancora
l’acquisizione per la Mostra non era certa. Mistero gaudioso. O doloroso, a seconda dei punti di vista.
Ora, la soluzione più comoda sarebbe quella di tagliare la testa al toro e sentenziare che quel testo non è mai esistito e che si tratta solo di ipotesi fantasiose di impenitenti dietrologi, allineandosi così tranquillamente alle dichiarazioni degli eredi Pasolini. I quali hanno sempre escluso recisamente che dopo il 2 novembre 1975 sia avvenuto un furto in casa dello scrittore (peraltro smentiti dalla testimonianza di Guido Mazzon, un altro cugino di Pasolini). Affermazione che non basta, perché quelle carte potrebbero, eventualmente, essere state sottratte secondo modalità “lecite”, magari in seguito a sopralluoghi delle forze dell’ordine (fatto di cui la famiglia non ha più memoria). È questa un’altra ipotesi che circola presso ambienti universitari. Alessandro Noceti, che ha curato l’esposizione pasoliniana alla Mostra milanese, conferma che quelle pagine ci sono e non dispera che vengano fuori nei prossimi giorni. Ma rimane tutto appeso ai condizionali, come l’intera vicenda.
Il dato di fatto, interno al testo, è che all’Appunto 21 (quello mancante) viene fatto esplicito riferimento nel capitolo successivo come a un brano già compiuto: «Per quanto riguarda le imprese antifasciste, ineccepibili e rispettabili, malgrado il misto, della formazione partigiana guidata da Bonocore, ne ho già fatto cenno nel paragrafo intitolato “Lampi sull’Eni”, e ad esso rimando chi volesse rinfrescarsi la memoria ». (In Petrolio, Mattei viene chiamato Bonocore, mentre a Cefis spetta il cognome, non proprio lusinghiero, di Troya). Ora, è pur vero che il romanzo si presenta in forma di brogliaccio, ma proprio per questo l’autore avrebbe dovuto sorvolare sui nessi interni quando ancora non erano certi, per precisarli in una fase successiva. Del resto, è lo stesso Pasolini a confessare: «Il mio non è un romanzo “a schidionata”, ma “a brulichio” e quindi è comprensibile che il lettore resti un po’ disorientato». Forse non avrebbe immaginato che il disorientamento sarebbe stato accresciuto trentacinque anni dopo da troppe omertà. O dall’uso strumentale cui si presta un’opera ancora dolorosamente attuale.

[NOTA di Angela Molteni: Sul libro di Giorgio Steimetz (Questo è Cefis. L’altra faccia dell’onorato presidente) c’è da dire che effettivamente il libro scomparve e non risulta presente neppure nelle principali biblioteche pubbliche italiane, ma da un anno è stato pubblicato a puntate nel blog di Giovanni Giovannetti (DireFareBaciare – Luogo di sconfinamenti) che ha annunciato recentemente che sarà ripubblicato da Effigie in settembre 2010. Ecco tra l’altro ciò che scrive Giovannetti il 10 marzo con il titolo Nasi rossopalla e parrucche multicolore: «”L’ho letto, è inquietante, parla di temi e problemi dell’Eni, parla di Cefis, di Mattei e si lega alla storia del nostro Paese”. Così parlò Marcello Dell’Utri il 2 marzo scorso, annunciando che di Lampi sull’Eni – il capitolo mancante di Petrolio, il mutilato romanzo di Pier Paolo Pasolini – proprio di quelle pagine proprio lui, beffardamente, era entrato in possesso. Una notizia clamorosa due volte: perché l’amico dello stalliere di Arcore stava dando (inconsapevolmente?) una “notizia di reato” e perché, nonostante Dell’Utri, ci saremmo trovati di fronte a pagine di rilevante interesse sia storico che letterario. Ma l’uomo è quello che è: uno che colleziona libri, un collezionista più bibliofobo (altra cosa è leggerli, i libri) che bibliofilo: colto, sì, a pisciare fuori dal vaso, e subito chiamato a correggere il tiro: “in realtà non l’ho letto… me ne hanno riferito un sunto… sembra che in quelle pagine Pasolini parli … parli dell’Eni … di Cefis … di Mattei…”. È di queste ore un nuovo colpo di scena: “Speravo di avere il capitolo scomparso di Petrolio per la mostra ma a questo punto non credo che faremo in tempo”. Il motivo? “Chi me l’ha proposto è poi sparito. Forse il clamore che ne è seguito lo ha spaventato”. Insomma, una buffonata. Allora Dell’Utri dismetta per un momento il naso rosso a palla e la parrucca multicolore, e ci dica da chi avrebbe avuto quelle carte, senza tuttavia provare ad ammansirci con l’esposizione dell'”introvabile” Questo è Cefis di Giorgio Steimetz (il probabile interfaccia di Lampi sull’Eni, che da oltre un anno è accessibile in questo stesso blog, nonché scaricabile gratuitamente anche dal sito “Il primo amore”) e delle “70 fotografie inedite”, inedite solo agli occhi dell’intrepido peracottaro Marcello Dell’Utri».
Aggiungo che, in effetti, la sezione della mostra dedicata a Pasolini contiene un irresistibile deja-vu di 72 fotografie pasoliniane, per le quali l’editore (Biblioteca di via Senato, presidente Marcello Dell’Utri) di Immagini corsare (titolo del “catalogo della mostra”) dice di rendersi “disponibile a regolare eventuali diritti per immagini o testi di cui non sia stato possibile reperire le fonti”. Lo stesso presidente/bibliotecario dichiara infine: «Le fotografie contenute in questo catalogo sono tutte originali e fanno parte della collezione della Libreria Carattere di Milano di Alessandro Noceti»].

"La tromba a cilindri" "2008) di Guido Mazzon. Copertina
“La tromba a cilindri” (2008) di Guido Mazzon. Copertina

7.“Sull’appunto trafugato parla Guido Mazzon, cugino dello scrittore”
di Mariella Radaelli
“Il Giorno” – 13 marzo 2010

«Io avrei potuto dirlo se si fosse trattato di un originale. Se quelle veline fossero riapparse… Certo, sarebbe stato fantastico poter riavere l’ Appunto 21 di Petrolio, quel capitolo intitolato Lampi sull’Eni, sottratto nello studio di Pasolini dopo la sua morte»: questo il commento di Guido Mazzon, cugino del grande scrittore, in visita ieri pomeriggio, alla Permanente, alla esposizione dedicata a Pasolini nell’ambito della XXI Mostra del Libro Antico. Mazzon (trombettista jazz d’avanguardia, molto stimato a livello internazionale, anche compositore), accompagnato dall’amico regista Federico Bruno, che sta per realizzare un film sul grande intellettuale, di cui firmerà la colonna sonora, aggiunge subito: «Pier Paolo aveva quella grafia che esprimeva l’urgenza di dire. E lo ammazzarono per quell’urgenza. Per quella sua incredibile capacità di fare connessioni e di analizzare lucidamente la realtà». Poi, lui quella calligrafia se la ricorda così bene: da bambino, dai cinque ai diciotto anni, nello studio di Pier Paolo, a Casarsa, nel Friuli mitizzato dal poeta.
«Si farebbe un grande omaggio a Pasolini ritrovando l’ Appunto 21. Mia cugina Graziella Chiarcossi, (erede universale di Pasolini e co-curatrice di Petroliondr) telefonò a mia madre, dopo un po’ di giorni dalla morte di Pier Paolo, per dirle del furto subito. Non era tanto preoccupata per i gioielli mancanti, cosa di poco conto». Ma lei nega quell’episodio. L’ho cercata, ma non si fa viva. Non c’è dialogo, non c’è mai stato tra di noi. Aveva la gestione della casa e della madre di Pasolini. Lui era immerso nell’arte». Mazzon, che vive nell’Oltrepo Pavese, nasce a Milano nel 1946, in viale Montenero, e cresce in via Cagliero. Per un po’ di tempo vive in via Canonica. Frequenta le medie e il liceo Parini, dove incontra Quasimodo. Per molti anni divide la sua attività di musicista con quella di insegnante «al Manzoni, poi al Vittorio Veneto».
Nel libro La tromba a cilindri – La musica, io e Pasolini, edito da Ibis nel 2008, scritto in collaborazione con Guido Bosticco, racconta anche di quella volta in cui Pasolini arriva a Casarsa, nell’estate del 1957. Mazzon sta scrivendo un nuovo libro, Clangor tubae, espressione latina per Squillo di tromba, una riflessione sull’improvvisazione musicale. Ma per amore della verità, quella che piaceva a Pasolini, continua a parlare di lui E lo farà il 19 marzo alla biblioteca civica d’Arezzo, tra note jazz e reading corsari.

8. Cefis, Pasolini e l’Italia dei misteri. Torna il libro scomparso di Steimetz 
di Luigi Mascheroni
“Il Giornale”  – 7 aprile 2009

La storia dei libri è piena di roghi, distruzioni, censure. Ci sono autori e titoli pericolosi: idee sulle quali (per qualcuno) è meglio stendere un velo di silenzio. Cancellarle per dimenticarle. Far calare il buio.
Fra questi libri “maledetti”, uno particolarmente scomodo e curioso, del nostro recentissimo passato, s’intitola Questo è Cefis. L’altra faccia dell’onorato presidente. Fu scritto da un ‘enigmatico’ Giorgio Steimetz (in realtà pseudonimo di Corrado Ragozzino), fu pubblicato nel 1972 dall’Agenzia Milano Informazioni (finanziata da Graziano Verzotto, uomo di Enrico Mattei nonché informatore di Mauro De Mauro, il giornalista dell'”Ora” di Palermo ucciso dalla mafia nel 1970) e venne subito – misteriosamente – ritirato dal mercato e da tutte le biblioteche italiane, sparendo di fatto dalla circolazione. Perché tanta paura? Cosa contengono quelle pagine? Parecchie cose. Interessanti ancora oggi, a quasi quarant’anni di distanza. Ma andiamo con ordine.
Il libro Questo è Cefis è una sorta di biografia, ovviamente non autorizzata e con parecchie rivelazioni scottanti, di Eugenio Cefis (1921-2004), dirigente d’azienda e imprenditore italiano, consigliere dell’AGIP, presidente dell’Eni nel 1967 e poi presidente della Montedison, nel 1971. L’autore lo descrive come un temuto e vorace uomo di potere, un “burattinaio” che trama nell’ombra per ottenere la presidenza dell’Eni e neutralizzare l’azione fortemente indipendente di Mattei per ricondurre l’Italia nell’orbita atlantica, con una politica gradita alle multinazionali angloamericane del petrolio. Non solo. Steimetz/Ragozzino avanza l’ipotesi che Cefis abbia avuto un ruolo nella tragica fine di Mattei – a cui succedette alla guida dell’Eni – morto il 27 ottobre 1962 precipitando con il suo aereo nelle campagne di Bascapè, vicino Pavia. Incidente sul quale non è mai stata fatta completa chiarezza.

Enrico Mattei
Enrico Mattei

Il libro, come detto, sparisce ben presto dal mercato. Addirittura risulta irreperibile nella Biblioteca nazionale di Roma e in quella di Firenze (alle quali, per legge, deve essere inviata una copia di ogni libro stampato in Italia). Ma ora – questa è la notizia – sta per ritornare. Una piccola casa editrice, guarda caso di Pavia, Effigie, dell’editore e fotografo Giovanni Giovanetti (uno dei pochi possessori di una copia superstite), sta pensando di rimetterlo in commercio. Intanto da qualche giorno lo sta ripubblicando, a puntate, capitolo per capitolo, sul sito www.sconfinamenti.splinder.com. Una scelta che coincide (un caso?) con un’altra notizia: lo scorso 27 marzo l’avvocato Stefano Maccioni e la criminologa Simona Ruffini hanno depositato alla Procura di Roma un’istanza di riapertura delle indagini sulla morte di Pier Paolo Pasolini, ucciso all’Idroscalo di Ostia nella notte fra il 1° e il 2 novembre 1975. L’istanza si basa su dichiarazioni rese lo scorso 12 settembre da Pino Pelosi – come è noto, condannato in via definitiva per l’omicidio dello scrittore – il quale, per la prima volta dopo più di trent’anni dal fatto, ha ammesso che quel giorno non era solo con Pasolini a Ostia, e che altre tre persone, siciliani a suo dire, avevano partecipato al massacro. «Quello che abbiamo richiesto agli investigatori – ha detto l’avvocato Maccioni – può essere riassunto in due punti. Anzitutto analizzare compiutamente quanto contenuto nelle indagini svolte dal pm Vincenzo Calia in relazione alla morte di Enrico Mattei, in particolare quanto emerso con riferimento al manoscritto Petrolio di Pasolini e al libro Questo è Cefis di Giorgio Steimetz; ovvero la tesi secondo la quale lo scrittore ucciso sarebbe venuto a conoscenza dei mandanti dell’omicidio Mattei indicandoli nel proprio romanzo Petrolio; ed accertare pertanto se sussista un collegamento tra gli assassini di Mattei, De Mauro e Pasolini».
Quando viene ucciso, infatti, Pasolini sta lavorando sugli stessi temi del libro di Steimetz- Ragozzino (testo che ben conosce), ossia il ruolo oscuro di Eugenio Cefis nella politica italiana e gli ambigui rapporti tra Stato e potenze occulte. Nel ’75 [in realtà aveva iniziato a progettare il romanzo prima di quell’anno, Ndr.] comincia a scrivere Petrolio, il suo grande romanzo sul Potere (preannunciato di 2000 pagine e destinato a rimanere incompiuto, sarà pubblicato postumo da Einaudi nel 1992, 17 anni dopo la sua morte): un romanzo che scava dentro il rapporto tra economia e politica, le bombe fasciste e di Stato e le società “segrete”, a partire da Eugenio Cefis, che in Petrolio viene ribattezzato “Troya”. Petrolio è il profetico e incompiuto romanzo-verità sull’Italia del doppio boom: sviluppo e bombe. Quello “Stato nello Stato” che – secondo alcuni, non sempre da condannare come dietrologi – ha deciso la sorte di Mattei, di De Mauro e dello stesso Pasolini.
Da ricordare, tra l’altro, che dopo la morte violenta di Pasolini si scopre che parte di un capitolo di Petrolio è sparito: quello intitolato Lampi sull’Eni, dove si ipotizza che Cefis-Troya avesse avuto un qualche ruolo nello stragismo italiano legato al petrolio e alle trame internazionali. E proprio indagando sulla morte di Mattei, presidente dell’Eni prima di Cefis, un giudice pavese – Vincenzo Calia – ha constatato la lucidità dello scrittore “corsaro” nel ricostruire il degrado e la mostruosità italiana identificando il burattinaio principale in Eugenio Cefis, affarista e “liberista” tanto quanto Enrico Mattei era utopista e “statalista”. «Forse Pasolini non è stato ucciso da un ragazzo di vita perché omosessuale, ma da sicari prezzolati dai poteri occulti in quanto oppositore a conoscenza di verità scottanti», ipotizza Giovanni Giovannetti. Sta di fatto che Calia legge Petrolio, e poi riesce fortunosamente a reperire una copia anche del libro misterioso Questo è Cefis. E per primo coglie tutte le analogie e le simmetrie tra il testo di Steimetz/Ragozzino e il romanzo incompiuto di Pasolini.
Di questo e di molto altro ancora si parla ne Il petrolio delle stragi di Gianni D’Elia, un saggio-inchiesta pubblicato nel 2006 dalle stesse edizioni Effigie, ora ripreso – insieme al dossier di Carlo Lucarelli e Gianni Borgna Così morì Pasolini pubblicato sul numero 6 di “Micromega” del 2005 – da Giuseppe Lo Bianco e Sandra Rizza in Profondo nero (Chiarelettere, 2009), lo stesso titolo dato a uno dei capitoli dell’inchiesta di D’Elia.
A margine di tutto ciò, vale infine segnalare che in base a un appunto del Sismi rintracciato dallo stesso Calia, la Loggia P2 sarebbe stata fondata in realtà da Cefis, che l’avrebbe diretta sino a quando fu presidente della Montedison; poi sarebbe subentrato il duo Umberto Ortolani-Licio Gelli… E qui le “trame” d’Italia si ingarbugliano ulteriormente, forse troppo.
Per fortuna, comunque, ancora tanto si continua a parlare di Pasolini, probabilmente l’ultimo vero grande “intellettuale” nel senso vero e positivo della parola che l’Italia abbia avuto. Mentre Garzanti da qualche mese sta ripubblicando in un’apposita collana tutti i titoli più importanti dello scrittore-poeta-regista (finora sono apparsi Una vita violenta, Ragazzi di vita, L’odore dell’India, Scritti corsari, Passione e ideologia, Le ceneri di Gramsci, Il sogno di una cosa e Teorema) arriva la notizia che Massimo Ranieri sarà il protagonista di un film intitolato Pasolini, la verità nascosta diretto da Federico Bruno, sceneggiato da Massimiliano Moccia e incentrato proprio sulla stesura del libro incompiuto Petrolio. Sarà girato in larga parte nella torre medievale di Chia, frazione di Soriano nel Cimino, in provincia di Viterbo (acquistata dallo scrittore nel 1970 e trasformata nella sua seconda residenza), dove Pasolini avrebbe dovuto incontrarsi con alcuni amici la mattina del 2 novembre 1975. Il giorno della sua morte.