Una serata-incontro su Gianfranco Contini in Val d’Ossola

Una serata-incontro su Gianfranco Contini davvero riuscita

27 aprile 2012

da http://pqlascintilla.ilcannocchiale.it

Sala gremita di un pubblico attento fino alla fine, venerdì 27 aprile 2012 alla Fabbrica di Villadossola, per seguire la serata-incontro organizzata dal nostro blog in occasione del centenario della nascita del Prof. Gianfranco Contini.
Tre ottimi interventi hanno delineato la figura dell’illustre filologo, attraverso le sue opere di critico letterario, nella sua dimensione europea e nel suo rapporto con l’Ossola natia, da parte rispettivamente del prof. Antonio Lista, del prof. Raffaele Fattalini e di Giorgio Quaglia.
I figli di Contini, tramite una mail del primogenito Riccardo – rammaricatisi per non aver potuto partecipare al convegno – hanno chiesto di tramettere a tutti il loro saluto nel ricordo sempre presente dei molti amici che hanno riempito per decenni le loro frequentazioni dell’Ossola e ora, come il padre, non sono più fra noi.

foto Contini 3 - Copia
27 aprile 2012, “Contini in Val d’Ossola” da sinistra, i prof.ri Lista e Fattalini, Giuseppe Possa e il prof. Quaglia

Per questo primo resoconto dell’iniziativa – la prima organizzata nel territorio – riportiamo di seguito l’intervento svolto da Giorgio Quaglia il quale fra l’altro lascerà alla famiglia il ritratto del Prof. Contini realizzato a sanguigna, rimasto esposto nell’ambito della XV Mostra del libro degli editori e autori del Verbano Cusio Ossola, dove appunto si è svolta la serata del 27, con il coordinamento del sottoscritto (nella foto sopra con, da sinistra, i prof.ri Lista e Fattalini e, a destra, Quaglia).

Giuseppe Possa

Val d’Ossola: Contini, Pasolini e…

C’è un filo rosso/bianco di vita, di passione, di intelligenza, di morte e nell’insieme di poesia che, nell’arco degli ultimi 150 anni, lega le esistenze e le opere di tre uomini davvero speciali (grandi, ma per singolare caso con un cognome simile nella forma finale riduttiva), che il panorama culturale europeo può annoverare fra le sue menti più alte e illuminate e di cui l’Ossola può vantarne (se pur non tanto e sempre in modo degno e meritevole, anche in una parte di informazione) diciamo un imprinting non solo geografico.
Quando il 24 Aprile 1943, il professore di filologia romanza a Friburgo Gianfranco Contini recensì in modo positivo sul «Corriere di Lugano» un libricino di versi ricevuto dall’amico editore Mario Landi di Bologna, non poteva certo immaginare chi sarebbe diventato e che cosa avrebbe rappresentato quel giovane autore delle Poesie a Casarsa, pur se ne avesse scritto, presentandolo:

L’odore era quello irrefutabile della poesia, in una specie inconsueta, per di più in una di quelle non so se dire quasi-lingue o lingue minori che era mia passione e professione frequentare […] Basti senz’altro raffigurarsi innanzi il suo mondo poetico, per rendersi conto dello scandalo ch’esso introduce negli annali della letteratura dialettale.

Nella notte fra l’uno e il due novembre 1975, Pier Paolo Pasolini fu trucidato sul litorale di Ostia e soltanto pochi mesi dopo il Prof. Contini avrebbe scritto una lettera a noi gruppetto sparuto di giovani ossolani che a pochi giorni dal suo brutale omicidio gli avevamo intestato il neonato Circolo culturale, chiedendo anche al suo primo recensore-scopritore un interessamento:

…Io sono ossolano… e le dico volentieri una parola di incoraggiamento, tanto più che avete voluto mettere sulla vostra bandiera il nome d’un amico che proprio a me toccò ‘scoprire’ più di trent’anni fa, e che vidi per la prima volta in Ossola quando venne a trovarmi, poco dopo la guerra (siccome ricordo di avergli fatto fare un giro per Calice, almeno quella volta Villa da lontano l’avrà vista). Vorrei però dirvi questo: Pasolini era un uomo complicato, che viveva (spesso drammaticamente: parlo della sua vita, e precisamente della sua vita intellettuale, non della sua morte su cui troppi si sono creduti autorizzati a prendere la parola) viveva un nodo di contraddizioni. Richiamarsi perciò a Pasolini importa, mi pare, l’impegno a non interpretarlo dogmaticamente, ma a tener vivo lo spirito critico

e ancora (avendogli noi chiesto un intervento sui dialetti ossolani):

A me, come a Pasolini, ovviamente piacevano molto i valori espressivi dei dialetti, tanto da provocare una vera e propria nostalgia della ‘vita dialettale’. Tuttavia bisogna rendersi conto che essa era strettamente legata a una società agricola e che il processo di industrializzazione contiene una fatale minaccia ai dialetti, sentimentalmente magari deplorevole, ma razionalmente oggetto di necessaria constatazione. Il consumismo, che ci ha avuto tutti autori e vittime, ha certo gli aspetti odiosi denunciati da Pasolini…che provocano una spaccatura fra ‘cervello’ e ‘cuore’ da lui vissuta per conto suo, magari dissimulandosi l’ampiezza della lacerazione, ma di cui un intelletto chiaro non può non riconoscere il carattere di aporia.

Gianfranco Contini
Gianfranco Contini

Un anno dopo, in un memorabile incontro, a Firenze in visita alla mostra del pittore messicano Siqueiros (accessibile per il professore, come scriverà con il solito ‘fulminante’ giudizio in un’altra lettera, nel piccolo formato, come per Rubens: il mezzo autoritratto, i Cristi indi e negri, certi paesaggi…), con l’amico veneto Ubellino Cecchinato super affamato ma costretto a subire il menù di un ristorante cinese prescelto da Contini (episodio che provocò per giorni e giorni una persistente ilarità in seguito alle visioni laceranti di “polenta e usei” avute da Ubellino durante il frugale e indigesto pasto), ricevetti questa volta un rimprovero verbale molto forte: “ma come, lei è ossolano e non conosce i dialetti? Male signor Quaglia, molto male!” Comunque, l’inedita notizia (a quel tempo) della visita di Pasolini a Domodossola, “folgora” con intima tristezza il nostro giovanile entusiasmo mentre la risposta di incoraggiamento da parte di chi era considerato uno dei massimi critici letterari non solo dell’epoca, ci sprona a proseguire tanto da far nascere il giornaletto «La Scintilla», antesignano dell’omonimo nostro blog. Di Pasolini, avrò modo con immensa soddisfazione di parlare con il Prof. Contini negli incontri che – tramite l’amicizia in comune con Paolo Bologna e appunto Ubellino – dal 1976 all’80 avverranno sia a San Chirico (dove quand’era stagione aspettava con golosità culinaria le ‘prelibatezze’ dei funghi porcini, mentre io mi inebriavo delle sue parole e del pensiero di quella lontana incredibile visita) – sia in Firenze a Pian dei Giullari nella stupenda casa che fu abitata anche dal Guicciardini (un altro eccelso ‘ini’) e dalla quale lo studioso sarebbe stato anche sfrattato, facendolo “ingrullire”; di quella indimenticabile giornata toscana, se ne può leggere sul blog «La Scintilla» un toccante ricordo di Rita Barberis (insieme a tutte le lettere ricevute dal Professore).

Di lei, Contini scriverà:

Alla sua, di moglie, dica che non la limito al ruolo di cordon bleu, per quanto eccezionale, ma che ho riconosciuto la sua intelligenza generale (ce n’è, nonostante Alfieri, – è vero che si può dubitare se l’Ossola sia Piemonte, persino in quella che lui chiamava la ‘Beozia d’Italia’; si vede che io ho avuto più fortuna di lui nei miei incontri).

Quel giorno, a casa nostra, in una cena pantagruelica tutta a base di funghi, il figlio Riccardo lo redarguì: “Papà! Se vai avanti così scoppi!” e lui, alzando gli occhi e una mano al cielo, con la sua vocina esile esclamò: “Aaah! Sarebbe un bel morire!”
Chi abbia conosciuto e frequentato il professore, credo sia sempre riuscito a percepire l’inatteso contrasto fra la consapevolezza reverenziale di trovarsi di fronte ad una personalità di enorme livello e fama, e la giovialità, l’affabilità, il rispettoso garbo, nonché la chiara ironia che invece da quella figura e da quella bocca emanavano e si irradiavano all’interlocutore (forse anche per l’esilità poco formale della persona, per gli occhi quasi sempre accesi e sorridenti e, negli ultimi tre lustri, per una oralità smorzata ma non vinta dalla malattia). Era uno stile – si può dire – che ben emerge anche e proprio dalle lettere “comuni” e che nei rapporti colti penso ne costituisse comunque l’ossatura, nonostante le amicizie del “lei”, molte delle sue migliori, come gli avrebbe confidato Pasolini stesso con la parola del poeta trovatore francese Jaufré Rudel – “de lonh” – e come ricorderà Contini nella sua cara testimonianza dell’amico scomparso sulla rivista «Il Ponte» del 1980, ripreso poi in Ultimi esercizi ed elzeviri (Einaudi, 1968-1969). E del poeta delle “lucciole scomparse”, mi scriverà anche in una successiva lettera di fine 1976, come risposta – negativa – alla richiesta di prefazione per un volumetto di versi in pubblicazione (poi uscito presso Rebellato editore di Venezia col titolo Poesie e il commento dell’amico Cecchinato):

premetto che non mi riesce di far prefazioni a nessuno, ai tempi della “Capra marcia” di Bologna non ero ancora così – come suona la parola di moda – ‘alienato’ dalla mia situazione… pensi che ho dovuto dir di no anche ai famigliari di Pasolini e a Bellezza.

I giudizi saranno lusinghieri da una parte: “mi capirà a volo se le dichiaro che la ‘paurosa eleganza’ dei ramarri o anche ‘la completezza/ di quei petali mai nati’ sono autentiche trovate” trancianti e senza rimedio dall’altra: “se tutto il fascicolo o un’intera poesia salissero a questo livello, non ci sarebbe problema; il limite è costituito dalla necessità di quello che i critici di una volta chiamavano lo sfogo.”

Al di là di quell’autorevole parere, prezioso per il solo fatto di averlo ricevuto ma che mi terrà invece lontano per venticinque anni dalle intime velleità poetiche prima di azzardare una seconda pubblicazione (Le stagioni del cuore a cura di Contro Corrente, Milano 2003) incline almeno nelle intenzioni a far tesoro di quei particolari consigli (“se può alla ‘rabbia’ preferisca la parola, quella che le fa dire ‘i miei giorni d’attore’, ‘il saltuario e diverso richiamo’, ‘la cara tensione della giovinezza’”), al di là di questo – dicevo – l’annotazione continiana più importante della lettera è ancora e sempre appunto riferita a Pier Paolo non collocato fra i poetes maudits (poeti maledetti), lui così “tanto posseduto da una voglia vorace di gioia”, preciserà (facendo il paio con la precedente missiva in cui stigmatizzava i “troppi sulla cui morte si sono creduti autorizzati a prendere la parola”).

Le lettere, oltre certo ai saggi superlativi (che delineano nel tempo un vero e proprio specifico “sistema dialettico” nell’ambito della critica letteraria), sono in ogni caso lo strumento più rivelatore del vero Contini e chi se ne volesse rendere conto, il carteggio con Gadda e Montale fanno al giusto caso (così come sarà di certo per quello con l’amico poeta novarese Sandro Sinigaglia, di futura pubblicazione), mentre davvero molto utile – per un’indagine analitica non superficiale e per restare ad un territorio da parecchio tempo avaro, distratto e inadeguato -, risulta il numero monografico su Contini di «Microprovincia» del 1997, coraggiosa rivista dell’amico Franco Esposito, una vera e propria “perla di rarità” nel campo della promozione e divulgazione culturali, non solo nel Verbano Cusio Ossola.
Anche se questa serata non fosse a cavallo della Festa della Liberazione, sarebbe irrinunciabile il dovere di riferirsi – come componente importante della sua poliedrica personalità – anche al Contini politico (pure e soprattutto d’azione, non solo per l’adesione all’omonimo partito) e al Contini resistenziale (come peraltro era previsto facesse e ha fatto – al meglio come al solito – il Prof. Antonio Lista).

In tutto questo, certo, gli ossolani non si condussero secondo il leggendario figurino dell’italiano furbo, dall’astuzia millenaria con un non-si-sa-mai sempre in serbo; quel figurino machiavellico inattuale e criminoso che abbandoniamo volentieri agli esteri stranieri sul tipo di Stendhal, e che intanto hanno incominciato gli ossolani a distruggere, sulla frontiera più settentrionale della patria. Diciamo di più: gli ossolani non si sono comportati da ‘politici’; ma il futuro non appartiene ormai più agli specialisti della politica, agitazione o combinazione che sia; e il politico che non si renda conto che il mondo moderno sarà degli extrapolitici, è un cattivo anacronistico politico.

Era il 21 Marzo del 1945 e da Bellinzona, in Isvizzera, dove era sfollata gran parte della popolazione ossolana dopo la caduta della Repubblica, e sul giornale «Il Dovere» – con questi “appunti di un testimone” riproposti poi nel 1995 nel volume Domodossola entra nella storia dell’editore Grossi – il Prof. Contini si rivolge ai colleghi politici (si può dire e capire meglio ora più che allora) di tutta Italia, non immaginando però il dominio assoluto che la politica e i partiti avrebbero invece assunto nei decenni a venire (dopo la Liberazione), ma al tempo stesso, con drammatica premonizione, evidenziandone l’estrema negatività e di riflesso i guasti devastanti (per giunta con la contropartita di un montante ma pretestuoso e becero populismo antipolitico e autonomista che in parte ebbe origine proprio nella nostra valle).
Il filo rosso/bianco infine sta per chiudersi in cerchio, a “col-legare” la terza figura che in modo ideale non va disgiunta dalle precedenti, in particolare per una similare visione laico-sacrale della vita e dell’arte (in tutte le sue espressioni). E non stiamo parlando della volontà, a periodi ricorrenti in modo maldestro emersa (col pretesto di frasi o posizioni estrapolate da interviste o saggi), di accaparrarsi l’anima e le spoglie del compianto Contini o di accreditarne l’immagine di estemporaneo, riflesso quasi ascetico non tanto o solo di una certa filosofia confessionale, ma delle istituzioni religiose da essa scaturite (mentre per Pasolini appare molto più azzardato prescindere da molti suoi scritti e dalla sua complessiva opera).

Ritratto del filosofo Antonio Rosmini (di F. Hayez)
Ritratto del filosofo Antonio Rosmini (di F. Hayez, 1853)

E’ un fatto che un altro assassinio storico impunito, indagato qualche anno fa, in rapporto al lungo e sofferto processo di beatificazione della vittima, ma mai ammesso, avesse stroncato la vita di colui che in non pochi aspetti avrebbe poi contribuito a contaminare la formazione del giovane Contini, illuminandola nella maturità della stessa poco imitabile intelligenza critico-analitica espressa da quella stessa figura. Nell’autunno del 1854 era infatti morto Antonio Rosmini, ecco il terzo cognome col “diminutivo”, (avvelenato, sì avvelenato, come ricorderà nel 1963 nel suo libro sul filosofo il reverendo Giovanni Pusineri, noto studioso del Rosmini e fondatore del Bollettino dell’Ordine Charitas, riprendendo la rivelazione già fatta in un volume del 1896 da Angelo Maria Cornelio, nipote dell’abate Antonio Stoppani, che fu amico del maestro e suo grande discepolo) e proprio nel Collegio omonimo fondato a Domodossola l’alunno Gianfranco aveva mosso i primi già precoci ‘passi’ scolastici.
Così confesserà a Ludovica Ripa di Meana nella lunga viscerale intervista di Diligenza e voluttà, pubblicato da Mondadori nel 1989:

Io frequentai molto la biblioteca del Calvario…e allora lì, mi pareva di vedere i princìpi coporei, gli angeli. Una volta credetti proprio di avere la visita di un angelo, passeggiando su questo Calvario. Naturalmente pensavo a quel tanto di teosofia rosminiana che mi era stata insegnata dai Padri. E ricordo di averlo detto a Pasolini, pensando appunto che potesse capirlo. Insomma: l’idea dell’angelo da me visto lo seduceva.

In cuor suo, per suggestione e contaminazione culturali e spirituali, forse Contini più avanti negli anni o anche allora avrà pensato per un attimo che quell’angelo fosse Rosmini medesimo o un suo emissario. Per quanto mi riguarda, scevro da richiami religiosi e valutando il grande e sofferto rammarico per non essere riuscito a concretizzare il forte proposito di incontrare Pasolini (incontro prospettato poco prima della sua scomparsa), mi sono convinto che la straordinaria e particolare occasione, nonché l’onore e il privilegio, di aver potuto conoscere e frequentare chi invece – dopo avergli dato la primogenitura come letterato – lo ebbe in affettuosa amicizia (pur avendolo incontrato poche volte), abbia rappresentato un modo altrettanto trascendentale per acquisirne meglio la conoscenza e l’idealità e credo che il nostro professore si fosse reso conto (prima di me quindi) di costituire uno speciale trait d’union. Considerarli ora davvero come angeli dunque no, ma è bello, magari per magia, immaginare i pensieri di queste persone virtuose – i pensieri di Rosmini, Contini e Pasolini – che vagano insieme nell’Ossola, a cercare o aspettare qualcuno (in più) che voglia e sappia farli propri con gioia e passione.

Giorgio Quaglia