Quando Pasolini chiese il voto a Quasimodo per paura di Tomasi

di Lorenzo Catania da La Repubblica, edizione di Palermo, 12 febbraio 2020.

 

«Adesso non faccio altro che studiare e leggere. Ho letto Le Occasioni di Montale che mi è piaciuto ma non mi ha entusiasmato, entusiasmato mi ha invece la traduzione di Quasimodo di lirici greci». «Ho una voglia immensa di leggermi tutto Quasimodo, il cui tono mi sembra più valido e duraturo della nostra poesia contemporanea per la sua maggior misura classica».
A dispetto di queste affermazioni, che si leggono in due lettere all’amico Franco Farolfi, datate rispettivamente settembre 1940 e 20 agosto 1941, Pier Paolo Pasolini non amava Salvatore Quasimodo. È noto, infatti, che dopo l’assegnazione del premio Nobel al poeta siciliano, Pasolini scriveva questo epigramma: «Prima del Nobel c’era su di te un silenzio sepolcrale: oggi di te un po’ si parla: ma solo per dirne male». Le stroncature antiquasimodiane di Pasolini sono però di antica data e sono state raccolte e riassunte nel 2001 da Plinio Perilli nel saggio Quasimodo: dal Nobel alla gogna senza fine: «Pasolini esordisce nel ’43 con una cordiale stroncatura della antologia anceschiana dei Lirici nuovi (e in essa della poesia di Quasimodo, vista come «il comune denominatore dell’antologia» per poi indirizzarsi nel ’53 in un saggio sulla poesia religiosa contro Quasimodo sfottuto come «terzo ermetico», «nel suo estenuato scheletrito decadentismo»).

Nel ’54 parla come stilema deprecabile di «“un Ungaretti stinto in Quasimodo”». Infine nel 1975 sul periodico “Gente” del 17 novembre, Pasolini, «interrogato drasticamente su chi siano “I grandi poeti” sfiora l’invettiva antiquasimodiana: «In Italia il più grande poeta è Sandro Penna, mentre uno dei peggiori è Salvatore Quasimodo». Alla luce di questi giudizi estemporanei su Quasimodo, insolito appare il biglietto che Pasolini inviò il 16 giugno del 1959 al poeta de L’isola impareggiabile, affinché votasse per il romanzo Una vita violenta, candidato al Premio Strega di quell’anno, poi assegnato postumo a Giuseppe Tomasi di Lampedusa, autore de Il Gattopardo: «Caro Quasimodo, sono qui in lotta, puramente meccanica, preda di un automatismo letterario-mondano in cui mi muovo assurdamente, a darmi da fare per il premio Strega. È già impegnato il Suo voto? Posso sperare che lo dia al mio libro? Mi perdoni – e dimentichi subito questo biglietto! – I più cari saluti dal tuo Pier Paolo Pasolini».
Biglietto insolito, imbarazzato nel chiedere e soprattutto insincero in quel “tuo” finale, che nel manoscritto è corretto su un precedente “Suo”. Ma anche in una certa misura disperato, poiché dettato dal fatto che Pasolini nel 1959, non ancora pienamente affermato e desideroso perciò di vincere il riconoscimento letterario più ambito del Paese e incassare il sostanzioso assegno di un milione di lire, aveva intuito che, forte del vasto consenso del pubblico incontrato da Il Gattopardo, il romanzo del principe Tomasi di Lampedusa minacciava di vincere facilmente e di umiliare così i suoi avversari, che temevano perciò di essere emarginati dalla macchina pubblicitaria dello Strega, che svolgeva una notevole funzione promozionale ed era in grado di orientare il mercato librario soprattutto per la narrativa.

«Assetato di voti», impegnato in «mille telefonate», Pasolini nel giugno del 1959 aveva inviato «due dozzine» di missive agli amici letterati come Luciano Anceschi, Alessandro Bonsanti, Vittorio Sereni, chiedendo di essere sostenuto «non tanto per vincere quanto per evitare una magra figura». La sua previsione da lì a poco sarà confermata. Il 21 giugno, una prima votazione a casa Bellonci, destinata a selezionare la cinquina dei finalisti, assegnava 92 voti a Tomasi di Lampedusa, 61 a Mario Praz, autore de La casa della vita e 47 a Pasolini. Entrato nella cinquina dei finalisti, il 7 luglio del 1959 Il Gattopardo vinceva il Premio Strega con 135 voti. Il secondo posto andava a Praz con 98 voti. Terzo si classificava Pasolini con Una vita violen ta (70 voti). Aggiudicandosi il premio Strega, Il Gattopardo, pubblicato dalla giovane casa editrice Feltrinelli, dopo essere stato rifiutato dagli editori Mondadori ed Einaudi, creò scompiglio nella corporazione dei letterati. Fra questi non erano pochi quelli che in maniera superficiale accusavano l’opera del coltissimo principe siciliano di reazionarietà e di arretratezza, senza rendersi conto che in ritardo sui tempi era l’Italia, non Il Gattopardo. Ma questa è un’altra storia.

Lettera di Pasolini a Quasimodo (16 giugno 1959) – Fondazione Quasimodo