Nel 1976 il Friuli riscopre il suo Pasolini ma ci vollero anni per uscire dall’ombra

Giuseppe Mariuz, storico, giornalista e scrittore sanvitese, più di ogni altro si è dedicato alla valorizzazione delle vicende friulane legate a Pier Paolo Pasolini. Dall’esperienza pedagogica-poetica dell’Academiuta di Lenga Furlana alle lotte contadine per l’applicazione del Lodo De Gasperi dell’immediato dopoguerra, che Pasolini ha mirabilmente raccontato nel romanzo Il sogno di una cosa.
Lo ha fatto raccogliendo la memoria e i ricordi dei tanti, spesso sconosciuti, protagonisti di quelle lontane esperienze in volumi che oggi rivelano tutta la loro importanza. Da La meglio gioventù di Pasolini (Campanotto editore, 1993 e nuovamente nel 2015) a La corda rotta (Astrea, 1994), fino a Luogo assoluto dell’universo (Biblioteca dell’immagine, 1995). Ricerche che coincidono temporalmente con la nascita del nucleo originario del Centro Studi Pier Paolo Pasolini, che troverà solo una decina di anni dopo una formalizzazione istituzionale.
Per questi motivi riprendiamo volentieri lo scritto pubblicato oggi, 5 luglio, sulle pagine del quotidiano Messaggero Veneto con il titolo Nel 1976 il Friuli riscopre il suo Pasolini  ma ci vollero anni per uscire dall’ombra, che ripercorre puntualmente questi avvenimenti.

 

Nel 1976 il Friuli riscopre il suo Pasolini ma ci vollero anni per uscire dall’ombra

Dal convegno con Davoli e Zigaina all’apertura di Casa Colussi
Libri, documentari ed eventi pubblici ma mancavano i fondi

Quando il mattino del 2 novembre 1975 il mondo conobbe la tragica fine di Pier Paolo Pasolini, ben pochi sapevano quanto fosse stato importante per la sua formazione culturale e umana il Friuli e il paese materno Casarsa, dove aveva trascorso tutte le vacanze estive della sua infanzia e un lungo periodo durante il peggior periodo bellico, dal marzo 1943 al gennaio 1950. Era invece molto noto come poeta, polemista e soprattutto come regista cinematografico, con fama estesa a molti paesi europei, soprattutto Francia, Germania, Belgio.

In un precedente articolo, Paolo Medeossi ha ricordato la riunione per la costituzione di un Centro studi a lui intitolato, tenuta a Casarsa nel 1976 in Comune, cui dettero l’adesione molti intellettuali, ma che rimase per anni solo tra le buone intenzioni, ammesso che ci fossero. In quell’anno, il Pci organizzò in suo onore la festa dell’Unità di Casarsa, con una conferenza in cui feci da moderatore, alla quale parteciparono fra gli altri Ninetto Davoli, Giuseppe Zigaina, il segretario del Pci casarsese del dopoguerra Giuseppe (Bepi) Susanna (che fece la tessera a Pasolini e gli consegnò la segreteria), il ricercatore universitario Giampaolo Borghello e molti compagni e amici di gioventù di Pasolini. Esponemmo anche i famosi manifesti murali scritti in italiano e in friulano da Pasolini nel 1948-49 come segretario di sezione del Pci, che in parte avevo pubblicato nell’Unità del 9 novembre 1975. In quel periodo una troupe della Rai, con la regia di Francesco Bortolini, girò un film documentario “Il sogno di una cosa. Pasolini in Friuli 1943-1949”, che per la prima volta fece conoscere al grande pubblico i suoi anni giovanili, l’importanza della sua scoperta della lingua friulana e la passione politica sorta con le lotte contadine. Sempre nel 1976, Gianfranco Ellero pubblicò in collaborazione col Comune di Casarsa il libro “Pasolini in Friuli” con interessante materiale inedito.

Il Centro studi di Casarsa però non riusciva a decollare, mancavano un riconoscimento giuridico, una visione politica convinta e condivisa e di conseguenza i fondi pubblici. Materiale venne depositato dall’erede Graziella Chiarcossi al gabinetto Viesseux a Firenze, mentre a Roma Laura Betti si impegnava per la valorizzazione della sua opera complessiva. Furono gli anni della fama postuma e internazionale del poeta e regista, ma il Friuli pasoliniano continuava a rimanere in ombra.

La biblioteca civica di Casarsa, diretta da Paolo Garofalo e poi da Marco Salvadori, ebbe il merito di creare nel suo ambito una sezione come Archivio Pasolini e sostenne varie iniziative, pur nella ristrettezza dei mezzi a disposizione e con un modesto contributo della Provincia di Pordenone. Venni chiamato a collaborare per vari anni e con più amministrazioni comunali. Ritenevo che fosse importante raccogliere i documenti locali e le voci di quanti avevano conosciuto Pasolini negli anni friulani ed erano poi rimasti in ombra e dimenticati, pur potendo testimoniare come suoi allievi, compagni di lotta e di balere. Gioventù che aveva popolato le sue poesie e il romanzo “Il sogno di una cosa” e serbava di lui un ricordo limpido e incontaminato.

Fu così che nacque il mio libro “La meglio gioventù di Pasolini”, pubblicato da Campanotto nel 1993 in collaborazione col Comune, riedito e ampliato nel 2015 nel quarantennale della morte (e abbinato a cinque quotidiani fra cui il Messaggero Veneto). Seguì nel 1994 “La corda rotta” (ed. Astrea) assieme a Tito Maniacco e con fotografie di Danilo De Marco che riprese gli allievi dopo mezzo secolo. Nel 1995 uscì “Luogo assoluto dell’universo”, in cui presentai la topografia dei luoghi amati sottolineando anche le trasformazioni antropologiche e paesaggistiche intervenute nel frattempo. Infine, nel maggio 1998, uscì il docufilm da me curato, coprodotto dalla Rai con lo stesso titolo delle prime testimonianze raccolte (“La meglio gioventù di Pasolini”) che stranamente non è stato più riproposto, nonostante riepiloghi gli anni friulani di Pasolini e presenti visivamente personaggi fondamentali e di grande impatto come il corista e amico Gigion Colussi, l’alunno prediletto Tonuti Spagnol, la musicista Pina Kalz, la cantante nelle sagre Pia Paron, il compagno di lotte Dino Peresson. Tutti personaggi che oggi non ci sono più ma meritano ancora di essere ascoltati.

Va ricordato altresì che in quegli anni non mancò mai in Friuli il sostegno fondamentale e la presenza fisica di Nico Naldini, a cui fu affidato anche il convegno di Villa Manin del 1995, nel ventennale della morte, articolato in due sezioni, “Viers Pordenon e il mont” e “Il maestro delle primule”, i cui atti vennero pubblicati dalla Provincia di Pordenone. Fu un faticoso inizio che negli anni seguenti, attraverso l’apertura della Casa Colussi e la costituzione giuridica del Centro studi Pasolini con intervento della Regione, aprì la strada a un nuovo corso, a copiosi finanziamenti, nonché a interferenze politiche.