Morto Lawrence Ferlinghetti, simbolo della Beat Generation che tradusse le poesie di Pasolini

E’ morto all’età di 101 anni Lawrence Ferlinghetti, leggendario esponente della Beat Generation: poeta, pittore, traduttore italo-americano, un simbolo della controcultura che scoprì Jack Kerouac e pubblicò L’Urlo di Allen Ginsberg sfidando la censura. Avrebbe compiuto 102 anni il prossimo 24 marzo.
Ferlinghetti viveva a San Francisco, dove nel 1953 ha fondato la storica libreria indipendente e casa editrice “City Lights”, un luogo di aggregazione per la contro-cultura alternativa degli anni Cinquanta e Sessanta e un punto di partenza per la diffusione del pensiero beat, diventando un simbolo della cultura alternativa.
Ha battezzato gli esordi di Jack Kerouac, Allen Ginsberg, Gregory Corso, e tutti gli altri. Ferlinghetti è il padre della Beat Generation senza mai essere stato un “beat” ed è l’interprete di una controcultura non soltanto americana di questo e lo scorso secolo.
Nel 1958 pubblica A Coney Island of the Mind, la sua opera più celebre, nonché a detta dei critici una delle raccolte poetiche più significative del Novecento. Irriverenti, psichedeliche, libertarie, queste quarantanove poesie nascono dalla volontà di rappresentare «senza censure le tragicomiche pagliacciate di quelle creature bipedi note col nome di esseri umani». E scavando nel significato delle piccole cose comuni ricompongono nel loro insieme ciò che annuncia il titolo: una “Coney Island mentale”, un luna-park dell’anima.

“City Lights” , San Francisco (1963)

Traduttore squisito, ha fatto un accurato lavoro di edizione e traduzione delle poesie di Pier Paolo Pasolini nel volume bilingue Roman Poems, Pocket Poems Number 41 – Pasolini (City Lights Books, 1986). In una recente intervista pubblicata sul Corriere della Sera aveva dichiarato tutta la sua stima per Pasolini: «Considero Pier Paolo Pasolini il più grande intellettuale del Ventesimo secolo».
Concetto già espresso in precedenza, come nella bella intervista pubblicata nel 2012 sull’Unità: «La poesia per me è sempre stata sinonimo di anarchia, di quell’anarchia vissuta e creata giorno dopo giorno. Ed è sempre stata rivoluzionaria. Pochi giorni fa, il 2 novembre, è stato l’anniversario della morte di Pier Paolo Pasolini, secondo me il più grande poeta italiano del secondo Novecento, che ho avuto la fortuna di tradurre per City Lights, come il mio amico Jack Kerouac. Ricordo ancora il Festival di Castelporziano, nel 1979, a pochi metri dal luogo del delitto Pasolini. Credevamo di essere stati invitati a una riunione tra pochi intimi, e invece venimmo investiti da microfoni e telecamere che ci chiedevano della sua morte. Rispondemmo che era stato un delitto fascista, e Alberto Moravia, che pure era stato suo grande amico, come gli italiani ben sanno, in quell’occasione non ebbe lo stesso coraggio. Ecco, per me Pasolini è stato un poeta rivoluzionario e anarchico, nel senso che intendo”.

“Roman Poems” – Pocket Poets Number 41 – Pier Paolo Pasolini (1958)