In scena al Parenti di Milano “La nebbiosa” di Pasolini (febbraio 2017)

Dall’8 al 19 febbraio 2017,  al Teatro Franco Parenti di Milano, è annunciato  lo spettacolo La nebbiosa, liberamente ispirato all’omonima sceneggiatura di Pasolini del 1959. Ideato dal regista Paolo Trotti e Stefano Annoni, vede in scena  lo stesso Annoni e Diego Paul Galtieri. Questa la scheda dello spettacolo che compare sul sito del produttore “ Linguaggi Creativi” e alla quale aggiungiamo una acuta riflessione di Mauro Novelli sul testo pasoliniano, recentemente edito da il Saggiatore, per la cura di Graziella Chiarcossi.

La nebbiosa" in versione teatrale. Gli interpreti
“La nebbiosa” in versione teatrale. Gli interpreti

www.linguaggicreativi.it

Una città. Milano.
Strade e paesi galleggiano nella nebbia.
Moltitudini di goccioline inspessiscono l’aria.
Moltitudini di personaggi la abitano e nella nebbia sguazzano.
Come i Ragazzi di vita, i Teddy Boy di Pasolini, cercano di sopravvivere. Galleggiando.
Non sono ancora la mala, ma i suoi figli più piccoli, bande di ragazzi che vedono nei jeans e nei giubbotti di pelle, un atto di rivolta, come oggi possono essere i pantaloni a vita bassa e i cappelli da rapper.
I Teddy Boy sono espressione del disagio giovanile degli anni Sessanta. La rivolta contro la società ma anche l’abbandonarsi al languore delle giornate passate al bar, senza studiare, senza lavorare, con la rabbia contro i padri e i lavori dei padri ritenuti troppo umili.
I Teddy Boy compiono piccoli furti, inseguono una “bella vita” che non arriverà mai, frequentano i night club, simbolo della mala di quegli anni, a Milano. Sul palco appariranno Gimkana, il Rospo, il Teppa, il Contessa, il Toni, Mosé, la ragazza del night, la Pupetta e il Cino. Personaggi che per emergere, ieri come oggi, vessano i più deboli rimanendo vittime di se stessi.

" La Nebbiosa" di Pasolini, Il Saggiatore (2013)
” La Nebbiosa” di Pasolini, Il Saggiatore (2013)

La Milano nera di Pasolini
di Mauro Novelli

www.treccani.it

Pasolini e Milano: una coppia decisamente male assortita, se si accostano la sensibilità e gli interessi dell’intellettuale friulano all’atmosfera di una città ai tempi rapita dalle sirene del miracolo economico. Eppure su Milano Pasolini scelse di concentrarsi in un momento cruciale della sua carriera, scrivendo nel 1959 La Nebbiosa, una sceneggiatura che solo oggi vede la luce nella sua interezza. Il film che ne venne ricavato, Milano nera, fu un fiasco al botteghino e del resto le corrisponde solo in parte. Pasolini si era intanto accordato con la rivista “Filmcritica” perché pubblicasse qualche scena. Ma il copione venne perduto e ritrovato fortunosamente solo negli anni Novanta.
La Nebbiosa nacque da un’idea semplice: trasporre nelle brume ambrosiane lo schema narrativo collaudato con successo nella Notte brava da Mauro Bolognini, per il quale Pasolini aveva firmato soggetto e sceneggiatura, ingaggiato in qualità di esperto del sottoproletariato giovanile romano. Fedele al realismo documentario che lo obbligava a un’accurata mimesi dei comportamenti e del gergo, lo scrittore avviò febbrili ricognizioni di Milano, alternando le bettole ai night, le periferie alle vie della moda. Ad accompagnarlo un manipolo di teddy-boys, che gli vennero presentati da Umberto Simonetta, il quale sul medesimo canovaccio imbastì il suo capolavoro, Tirar mattina. Varrebbe anzi la pena di condurre un confronto puntuale con La Nebbiosa, per accorgersi di come i due lavori condividano scenari, protagonisti e il regolare corredo di rock’n’roll, motociclette, pellicce, liquori esteri. Ma Pasolini punta con risolutezza verso la tensione drammatica: l’etichetta di teddy-boy allora richiamava – prima che amene canzonette – i promotori dei riots londinesi del 1958.
Il Rospo, il Gimkana, il Teppa, il Contessa e gli altri comprimari della Nebbiosa ne combinano di tutti i colori. Nelle loro picaresche scorribande, durante una notte di capodanno, razziano una chiesetta di campagna, rovinano un elegante veglione, umiliano «ambigui» (cioè omosessuali), devastano una villa mentre i proprietari non sono in casa (l’appuntamento è rimandato a Teorema), combinano un’orgia con tre “sciore” prima inorridite, poi disposte ad apprezzarne il focoso ardore (secondo lo stereotipo misogino, che prevale sulla satira sociale); infine si apprestano a una serenata, impedita dal colpo di pistola che chiude il film nel segno della tragedia.
La giovanile baldanza a conti fatti è l’unico versante su cui si intravede qualche simpatia dell’autore per le sue creature, così diverse dai ragazzi di vita, ma anche dai ciclisti, garzoni e proletari di barriera ritratti in quegli anni da Giovanni Testori. Pasolini individua nei teddy-boys il principio dell’entropia che corrode dall’interno il nuovo benessere; insofferenti, qualunquisti, annoiati, ai suoi occhi rappresentano il risultato dell’educazione gretta impartita da una borghesia satolla, repressa, reazionaria, antropologicamente fascista. In questo terreno affonda le radici la violenza di pagine che sembrano anticipare Arancia meccanica, o meglio ancora i lividi noir di Giorgio Scerbanenco.
D’altra parte l’uso spinto dell’aspro dialetto milanese riporta a un’altra suggestione, ovvero l’espressionismo di Delio Tessa, nei cui versi Pasolini aveva riconosciuto «il più bituminoso Kokoschka». Non stupisce trovare incastonati nel testo brani tolti da La poesia della OlgaLa mort della GussonaFinester e altri componimenti in cui Tessa aveva contemperato letteratura e ricerca sul campo, fascino e sgomento verso una città in perenne trasformazione. E ciò che più rimane impresso, della Nebbiosa, sono i fondali notturni delle avventure: vecchi trani, catapecchie, sterri in mezzo a cui si stagliano i profili dei grattacieli, sfolgoranti «di luci come giganteschi diamanti, come colossali fantasmi pietrificati».