A gennaio 2018 esce “Lo scrittore al tempo di Pasolini e oggi”, edito da Marsilio/Centro Studi PPP di Casarsa

Nel mese di gennaio 2018 sarà in uscita il volume Lo scrittore al tempo di Pasolini e oggi. Tra società delle lettere e solitudine che, per la cura di Angela Felice e Antonio Tricomi, raccoglie gli atti dell’omonimo convegno organizzato dal Centro Studi Pier Paolo Pasolini di Casarsa nei giorni 11 e 12 novembre 2016 e porta a otto i numeri della collana “Pasolini.Ricerche” edita da Marsilio in collaborazione con il Centro.
Il volume, che gode anche del patrocinio della Fondazione per la Critica Sociale di Firenze, riflette a più voci sulla condizione e sulla funzione dello scrittore nell’età contemporanea attraverso il confronto tra due momenti storici che hanno conosciuto forti cambiamenti nella  fisionomia della proposta letteraria e nel sistema culturale italiano. Sotto indagine sono dunque, da un lato, il secondo Novecento, l’epoca che conobbe l’impegno di Pasolini, entro il  vivace dibattito che animò allora la repubblica delle lettere, attraverso costanti occasioni di discussione, e, dall’altro, il tempo presente, in cui  gli autori si confrontano perlopiù con la realtà virtuale della rete o con il mercato editoriale, e nella scrittura sembrano atteggiarsi alla rottura con la tradizione e alla ricerca solitaria di vie nuove di rappresentazione del reale. Articolano il discorso i contributi critici di Marco Antonio Bazzocchi, Francesco Bellusci, Giampaolo Borghello, Roberto Chiesi, Andrea Cortellessa, Angela Felice, Filippo La Porta, Mario Pezzella e  Antonio Tricomi, cui si uniscono le testimonianze degli scrittori Edoardo Albinati, Tullio Avoledo, Rino Genovese, Renzo Paris, Nadia Terranova.
Qui di seguito si riporta la premessa al volume stesa dai curatori per dar conto delle intenzioni che sorreggono il libro e della organizzazione che ne articola l’analisi a più voci secondo un indice sistematico.

"Lo scrittore al tempo di Pasolini e oggi" (Marsilio, 2017). Copertina
“Lo scrittore al tempo di Pasolini e oggi” (Marsilio, 2017). Copertina

Un convegno, un libro, un viaggio nella letteratura italiana della modernità
di Angela Felice e Antonio Tricomi

Per la gran parte, questo libro scaturisce dal convegno cui anche deve il titolo: “Lo scrittore al tempo di Pasolini e oggi, tra società delle lettere e solitudine”, tenutosi l’11 e 12 novembre 2016 e organizzato dal Centro Studi Pier Paolo Pasolini di Casarsa della Delizia. Con l’aggiunta di qualche altro contributo richiesto dai curatori a saggisti in varia maniera interessati all’opera del poeta delle Ceneri, esso ospita infatti le relazioni dei critici intervenuti in quell’occasione e i lavori della tavola rotonda tra scrittori con cui le due giornate di studio si conclusero.
Le intenzioni del convegno erano perciò le stesse che animano il presente volume. Tentare, da un lato, una ricognizione della società letteraria italiana del secondo Novecento dalla quale potesse, e quindi possa, emergere la fitta rete di rapporti tessuta da Pasolini con molti tra i migliori autori del suo tempo. Chiedere, dall’altro lato, ad alcuni scrittori in attività, appartenenti a generazioni diverse, di confrontarsi con l’eredità del pedagogo “luterano”, per poi dire la loro sullo stato di salute e sul ruolo, oggi, della letteratura, come pure su quelle tendenze documentarie, o comunque ibride, che sembrano attualmente ispirare una quota assai significativa della produzione romanzesca non solo nazionale.
Ebbene, aver fatto dialogare l’opera di Pasolini con quelle di Carlo Levi o Fortini o Bassani e, più in genere, di autori che, nella maggioranza dei casi, sono stati già da tempo canonizzati quali ultimi, compiuti maestri della tarda modernità o dell’appena incipiente postmodernità italiane, ha permesso anzitutto di constatare, una volta di più, che comune, a questi scrittori, era la medesima consapevolezza precocemente espressa dall’intellettuale “corsaro” in una missiva a Luciano Serra dell’agosto 1943. Che toccasse cioè a ciascun vero letterato in quanto tale e alla comunità intera dei romanzieri, poeti, saggisti (purché disposti a interloquire gli uni con gli altri respingendo, però, la tentazione del lobbismo) adempiere «una missione non di potenza o di ricchezza, ma di educazione, di civiltà», in un’Italia chiamata, dapprima, a sconfiggere il fascismo e, subito dopo, a convertirsi, da repubblica formalmente vigente, in democrazia effettiva. Una missione della quale, almeno fino agli anni Sessanta, essi poterono complessivamente ritenersi all’altezza sia perché figli, custodi e interpreti di una tradizione culturale già in declino, ma non ancora socialmente marginale, sia perché in larga misura propensi, come Pasolini, a presentarsi non semplicemente al pari di letterati, bensì alla stregua di poligrafi, capaci di frequentare, e di intersecare nei propri testi, le più varie pratiche espressive, i più diversi saperi. D’altro canto, «I primi che si amano sono i poeti e i pittori della generazione precedente» – come si legge in Teorema, il romanzo pasoliniano del 1968 –, vale a dire si crede per sé irrinunciabile un’educazione alle arti tutte e a conoscenze non esclusivamente specialistiche, solo quando si è convinti di poter essere davvero scrittori se non ci si riduce a meri artigiani delle forme letterarie, e invece si ambisce al rango di coscienze critiche, e dunque di analisti non precipuamente settoriali, della propria società.

Italo Calvino e Pier Paolo Pasolini
Italo Calvino e Pier Paolo Pasolini

Per quanto concerne poi la funzione attribuita oggi alla letteratura o la condizione attualmente vissuta da chi la fa, l’impressione è che non si tratti né di limitarsi a prendere atto di una qualche profonda crisi di talenti né di accusare la presunta apoliticità della maggioranza, quasi assoluta, degli scrittori contemporanei. Viceversa, la questione parrebbe essere – in Italia, certo, ma forse nell’intero Occidente – che l’industria culturale e, prima ancora, la società stessa sembrano non prevedere più la presenza, l’una, né lamentare conseguentemente la scomparsa, l’altra, di quella specifica tipologia di autore incarnata, nel recente passato, non soltanto da Pasolini. Che, del resto, aveva perfettamente intuito quale sorte il nostro tempo avrebbe riservato a figure di intellettuali di estrazione umanistica assimilabili, in un modo o nell’altro, alla sua. In un verso di Coccodrillo – componimento, esso pure del 1968, in cui si immagina morto e che dunque presenta quale proprio medaglione commemorativo –, egli infatti preconizza una collettività tutt’altro che affranta per la sua dipartita: «non lasciò rimpianto dietro di sé». Il che potrebbe però anche non essere un dato del tutto negativo.
È un ritornello che sentiamo spesso: la nostra letteratura avrebbe oggi bisogno proprio di autori come Pasolini, se non addirittura di lui. Parole all’insegna della più scontata ipocrisia, perché, se poi scrittori di quel genere vi fossero, se Pasolini tornasse miracolosamente in vita, la nostra società, che si è preoccupata già da tempo di delegittimare simili profili di intellettuali, di ridurre violentemente al silenzio il poeta delle Ceneri, non riconoscerebbe al lavoro né degli uni né dell’altro alcun imprescindibile ruolo etico-pubblico. Se allora la smettessimo, tutti quanti, di fingere o di modulare inutilmente un rimpianto per Pasolini che, perciò, o si dimostra uno stucchevole esercizio di falsa coscienza o rischia di somigliare a un alibi, magari anche nobile, per le proprie inefficienze, e iniziassimo o tornassimo, ciascuno per la sua parte, a sondarne con spirito sempre critico l’opera, evitando così di feticizzarla, potremmo senza dubbio scorgervi qualche credibile antidoto, non necessariamente di più, contro l’asfissia del pensiero che caratterizza il presente.
Rileggere umilmente Pasolini, e gli autori tutti del suo tempo, in quest’ottica, sarebbe già molto. Anche per gli scrittori dei nostri anni. I quali, tramontata ormai ogni autentica repubblica delle lettere, sembrano, perlopiù, infidamente abbandonati, o colpevolmente abbandonarsi, a un destino di solitudine, o cinismo, in rarissimi casi ben ricompensato dal sistema.

NOTA  REDAZIONALE
Il volume riorganizza e riposiziona secondo un indice sistematico le relazioni prodotte durante i lavori del convegno “Lo scrittore al tempo di Pasolini e oggi, tra società delle lettere e solitudine”, tenutosi a Casarsa della Delizia l’11 e 12 novembre 2016. Ad esse si sono aggiunti i contributi di altri quattro studiosi (Francesco Bellusci, Giuseppe Condello, Marco Gatto, Andrea Rondini) che sono parsi coerenti con l’impostazione della ricerca proposta dal volume e utili ad arricchirne e completarne la panoramica con sguardi e visioni ulteriori.
Tre sezioni scandiscono la pubblicazione, articolandone il percorso secondo un trittico sorretto da una prospettiva anche di allusività diacronico-storica. La prima raccoglie dieci saggi attenti a ricostruire la rete delle fitte relazioni intessute da Pasolini con gli scrittori, i poeti e gli intellettuali del suo tempo, all’interno di una repubblica delle lettere dinamica e funzionale almeno fino all’altezza degli anni Settanta. Un dialogo da primus inter pares che, nel volume, compone anche una mappa del mosaico geografico italiano e delle sue tante anime e tradizioni, allora particolari e ben distinte,  in un itinerario ideale dal sud al centro e infine al nord del Paese.
La seconda sezione fa isola a sé, comprendendo il solo lungo saggio di Andrea Cortellessa, che, per la sua ricerca specifica nel territorio degli incroci tra l’arte figurativa e l’opus pasoliniano, si spinge fino a lambire i confini delle espressioni performative dell’estetica moderna.
La terza sezione si apre infine alla contemporaneità, accogliendo gli autoritratti di cinque scrittori oggi in attività e contestualizzandoli alla conclusione-consunzione della letteratura italiana dal secondo Novecento e a fronte delle prospettive di un secondo Millennio refrattario al magistero della tradizione umanistica.
La premessa, a cui si rinvia, precisa la provenienza delle frasi che sono poste a titoli delle tre sezioni e che, come citazioni d’autore, sono estrapolate dall’opera dello stesso Pasolini, al quale, in questo libro che ne studia la dialogante, e perduta, vitalità letteraria, si è preferito cedere l’ultima parola.

*Fotografia in copertina: Eugenio Montale, Alberto Moravia e Pier Paolo Pasolini durante il premio letterario “Viareggio” nella città della Versilia, 1968. Foto di Antonio Sansone / Università di Parma.