I libri del Centro Studi in tour

Si infittiscono le occasioni nazionali di presentazione delle pubblicazioni pasoliniane progettate dal Centro Studi Pasolini di Casarsa insieme all’editrice Marsilio.  Martedì 13 maggio, alle ore 17.30, nella prestigiosissima Aula Stabat Mater dell’Archiginnasio, cuore dell’Università di Bologna, sarà infatti al centro della riflessione accademica il volume “Pasolini e l’interrogazione del sacro”, edito nel 2013  e curato da Gian Paolo Gri e Angela Felice, che ne perlustrerà le tematiche insieme a Marco Antonio Bazzocchi, ordinario di letteratura italiana dell’Ateneo bolognese, Paolo Pullega, docente di Filologia Moderna a Bologna, e Roberto Chiesi, responsabile dell’Archivio Pasolini della Fondazione Cineteca della città. Accanto a loro, anche la poetessa, traduttrice e  saggista  Francesca Tuscano, cui si deve lo studio “La Russia nella poesia di Pier Paolo Pasolini”  (Book Time, 2010), nel quale sono messi in rilievo i numerosi riferimenti che Pasolini fa nella sua opera poetica alla Russia e alla cultura millenaria di quel grande Paese.

Con l’occasione di questo incontro, sarà presentato appunto anche il numero della rivista curata dalla Tuscano  “In forma di parole”, che presenta alcuni saggi di studiosi russi su Pasolini, tradotti per la prima volta in italiano, e fa il punto del rapporto dell’autore col mondo russo, a partire dal suo viaggio in Urss nel 1957.  Altrettanto importante è l’appuntamento nel Castello di Soriano del Cimino, a un passo dalla Torre di Chia cara a Pasolini, dove domenica 1^ giugno, alle ore 18, all’interno degli appuntamenti pasoliniani del viterbese, sarà presentato il volume “Pasolini e il teatro”, edito nel 2012 come raccolta dei lavori del convegno omonimo tenutosi a Casarsa e a Bologna nel 2010. Per il coordinamento dell’attore-regista Aldo “Paco” Milea del  Gruppo Roccaltìa, si addentreranno nelle tematiche del libro i co-curatori Stefano Casi, Angela Felice e Gerardo Guccini, per esplorare la fertilità provocatoria della proposta drammaturgica pasoliniana di un “teatro di parola” e la sua ipoteca di rappresentabilità sempre aperta al futuro. L’iniziativa si colloca a latere della mostra fotografica “L’Oriente di Pasolini”, firmata da Roberto Villa che fu sul set yemenita e persiano del film Il fiore delle Mille e una notte. A conferma dell’interesse scientifico delle pubblicazioni casarsesi impegnate a studiare l’opera pasoliniana, vanno segnalate anche le recensioni critiche, come quella firmata dallo studioso giapponese Hideyuki Doi circa il volume Pasolini e il teatro e apparsa nel n.4 (2013) della rivista “Antropologia e teatro” dell’Università di Bologna. Qui di seguito riportiamo il testo di questo intervento critico.

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Dopo il volume dedicato alla televisione spetta ora al teatro il compito di tenere attiva la collana “Pasolini. Ricerche”. Come nel primo caso – uno strumento unico, destinato anche al recupero di alcuni repertori difficilmente accessibili quali la versione integrale del dialogo tra Ezra Pound e Pasolini del 1968 – la seconda miscellanea della serie marsiliana nasce da due convegni realizzati tra Bologna e Casarsa, due luoghi ormai profondamente legati alla figura di Pasolini grazie alla presenza dei due centri studi consacrati al poliedrico poeta. Oggi più che mai il teatro di Pasolini suscita una marcata attenzione, anche relativamente a tutti generi in cui l’autore si è cimentato, se pensiamo al fatto che nell’arco di dieci anni (l’ultima realizzazione è dell’aprile 2013) il regista giapponese Takeshi Kawamura ha portato in scena tutte e sei le piècesfondamentali (cosiddette “borghesi”) del Pasolini maturo: tale esempio costituisce un unicum, pari solo agli audaci e intensi lavori di reinterpretazione condotti da Mario Martone. Tutto inizia dal teatro e da Bologna: sappiamo che il sedicenne Pasolini, liceale nella città felsinea, presenta al concorso di scrittura drammatica dei Ludi Juveniles La sua gloria, uno dei primi esperimenti di scrittura artistica; le prime considerazioni critiche attorno al teatro pasoliniano, aspetto rimasto a lungo sconosciuto, si devono alla monografia di Stefano Casi, attivo a Bologna (Pasolini: un’idea di teatro del 1995), e al dossier di «Rendiconti» (n. 40, marzo 1996) elaborato da Roberto Roversi e Gianni Scalia, due compagni dell’«Officina» bolognese. Ora con questa rassegna, Pasolini e il teatro, giovandosi anche delle competenze di Casi (reduce dall’esperienza del successivo, e più cospicuo, I teatri di Pasolini del 2005), Angela Felice e Gerardo Guccini offrono un contributo decisivo per completare questo ciclo di lavori sempre più vasto e differenziato. L’intento dei curatori si dimostra “definitivo”, quanto esaustivo nell’esaminare anche i primi versi di Pasolini (es. La Domenica Uliva e i Dialoghi editi e inediti), contemplando la possibilità di riscontrarvi alcuni spunti teatrali. Rispetto al divario tra teoria e prassi teatrale, da sempre al centro di un acceso dibatto, il volume è così decisivo che il paradosso (quello originato dall’arcinoto Manifesto per un nuovo teatro del 1968) viene affrontato da Casi e Guccini nelle rispettive relazioni in questi termini: il primo afferma che «il Manifesto potrebbe essere interpretato in un certo senso non come un rilancio dell’impegno teatrale, ma come il preludio all’abdicazione da quel mondo […]» (p. 187). Dunque un altro esempio del suo “abiurare” a un determinato genere, che culmina nel 1975 con quella sconfessione del cinema noto come “Trilogia della vita”. Riportando poi il Manifesto al clima di allora e riassociandolo più strettamente alle teorie avanzate dai drammaturghi contemporanei di Pasolini, Guccini, da parte sua, lo elegge a ragione «straordinario elaboratore di idee fulmineamente raccolte» (p. 217), un giudizio del resto già diffusamente esposto a proposito dell’approccio semiologico-strutturalista degli anni precedenti alla stagione “teatrale”. Registi e attori attivi nel panorama contemporaneo rispondono (cfr. gli ultimi due capitoli) continuando a riscoprire le opere di Pasolini che vanno oltre al Manifesto, il quale grazie a questo lavoro non viene più trattato come un “enigma”, ma come un documento da esaminare autonomamente, in modo ben distinto dalle pièces, tra i saggi critici dell’Opera omnia (Saggi sulla letteratura e sull’arte, 1999) “

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