Fernando Bandini. Un ricordo.

Si è spento nel giorno di Natale a Vicenza, dov’era nato nel 1931, il poeta, scrittore e docente Fernando Bandini, già Presidente del Centro Studi Pier Paolo Pasolini di Casarsa nel triennio 2006-2008. Presidente dell’Accademia Olimpica sino al 2011, già docente di Filologia Romanza e poi di Stilistica e Metrica Italiana, all’Università di Padova, e ancora di Letteratura italiana moderna e contemporanea in quella di Ginevra,  Bandini aveva iniziato l’attività di scrittore nel 1962 con l’opera In modo lampante, uscita per i tipi di Neri Pozza.
Seguirono tante altre sillogi, quali Per partito preso, Memoria del futuro, La màntide e la città, Il ritorno della cometa e nel 1998 Meridiano di Greenwich. L’ultimo lavoro, Dietro i cancelli e altrove, edita nel 2007 da Garzanti, segna il culmine dell’esperienza poetica di Fernando Bandini, coronata nello stesso anno dal Premio di Poesia “Dino Campana”, che si è aggiunto a tanti altri prestigiosi riconoscimenti, come nel 2012 il Premio Librex Montale. Studioso, scrittore trilingue (in italiano, latino e dialetto vicentino), anche pregevole traduttore, Bandini consegna proprio alla summa dell’ultima raccolta il senso profondo della sua voce di poeta, “eccezionale tra pacatezza e meditazione”, come ha detto di lui Andrea Zanzotto. Dietro i cancelli e altrove riprende infatti  i temi di mezzo secolo di attività lirica, e contemporaneamente li approfondisce fino ad un punto di non ritorno.

La poesia di Bandini gravita innanzitutto intorno a un luogo preciso, la città di Vicenza, nominata con il palindromo Aznèciv: è il luogo della vita, ma anche il suo doppio, il luogo cui lo sguardo ritorna dopo aver spaziato oltre le mura, dopo aver esplorato un “altrove” che è insieme storia e sogno. Così s’intersecano e si frangono piani diversi dell’esperienza, per condensarsi in immagini, trovare forme rigorose ma anche sbriciolarsi in modi variegati e apparentemente divergenti. E infatti, attraversato il Novecento, con la sua feroce distruzione e ricostruzione di mondi, è arduo trovare le parole capaci di restituire i nodi dell’esistenza con essenzialità e precisione. Ecco dunque, tra fedeltà e interferenze, che la lingua si incrocia e si rispecchia  con il dialetto e il latino, e con loro rinvia alla nostalgia di un’epoca in cui la parola poetica poteva avere ancora la forza delle cose e della verità. Il confronto aperto con la realtà, e con le sue convulsioni, e insieme il suo conflagrare con il dato autobiografico e quotidiano trovano un contrappunto nell’osservazione e nella puntigliosa nominazione della natura. Ciò non come pulsione regressiva verso un edenico stato naturale, ma proprio nella sforzo di fissare valori simbolici a cospetto della modernità che li assedia e li sfrangia in emblemi d’estraneità e di vie di fuga bloccate. Modulato sul motivo costante di una struggente malinconia e di una disincantata ironia, a far da contrappeso alla visione disperata dell’uomo, Dietro i cancelli e altrove traccia così una sorta di bilancio di un uomo, d’una intera generazione poetica e delle fedi e delle speranze che li hanno animati. Quasi un punto d’arrivo, dal quale i posteri, ora orfani, possono forse provare a ripartire.

Amnesia

Giorno per giorno qualche nome si eclissa
dalla mia lingua e dalla mia memoria,
usuali parole come sedia bottiglia.
Oh, trafelate corse per riprenderne
possesso! Annaspo naufrago
in un mondo che sempre più smarrisce
i suoi eoni, balbetto
come Mosè presso il roveto ardente.

E con nervoso tremito pronuncio
casa farfalla mela
per esorcizzare la buia notte
che si avanza a grandi passi;
ma poi casa precipita, farfalla
si polverizza in porpora,
mela mi è tolta divorata dal verme
che abita il mio cervello.

Come mi muoverò, poeta senza
gli amati nomi succo delle cose,
tra i buchi d’un saccheggiato universo?

da La màntide e la città (1979)