Commozione per la morte improvvisa di Alessandro Leogrande, giovane scrittore ispirato da Pasolini

Ha suscitato profonda emozione nella comunità culturale italiana la notizia della morte improvvisa dello scrittore e giornalista Alessandro Leogrande, nato a Taranto appena quarant’anni fa.  La sua scomparsa prematura, avvenuta il 26 novembre 2017 a Roma, è stata comunicata dal padre Stefano, che non ha mancato di ricordare l’impegno del figlio, autore di coraggiosi e coinvolgenti reportage narrativi «in difesa degli ultimi e dei ferocemente sfruttati nei più diversi contesti: nell’ambito del caporalato, degli immigrati, dei desaparecidos in Argentina, ed ovunque ci sia stato un sopruso», come dice in un messaggio pubblicato dal sito “La ringhiera” e rilanciato sui social. La cultura del Sud e di tutta l’Italia perde con Leogrande una delle sue giovani intelligenze critiche più acute e profonde, capace di aggiornare in modo nuovo la scrittura d’impegno civile e di fonderla con la partecipazione emotiva e passionale. Ciò sulla scia della testimonianza di Pasolini, che gli ha fatto da modello e di cui, alla sua maniera, Leogrande  poteva dirsi un erede non pedissequo nel terzo millennio. Su www.artribune.com del 27 novembre 2017 ne ricorda l’opera e l’umanità anche il coetaneo Christian Caliandro, brillante storico dell’arte contemporanea. 

Morto a Roma lo scrittore Alessandro Leogrande. Un ricordo
di Christian Caliandro

www.artribune.com – 27 novembre 2017

Sono rimasto a lungo a osservare lo scheletro vuoto
della scuola. Non è rimasta una sola porta, un solo vetro
alle finestre, una sola tazza del cesso, una sola sedia,
una sola lavagna, un solo infisso. Perfino i mattoni
e il ferro sono stati famelicamente strappati.
Alessandro Leogrande, Storia di Taranto, in «Pagina99», gennaio 2016

 

Se ne è andato improvvisamente un grande intellettuale della nostra generazione. Un cervello che funzionava straordinariamente bene, e che era stato in grado di piegare in modo brillante la scrittura a parlare di temi importanti, “scottanti”, in una chiave finalmente non retorica né didascalica. Per Alessandro Leogrande (Taranto, 1977 – Roma, 2017)  l’attualità non era una pellicola da sfiorare appena, ma la sostanza stessa della realtà sociale, il nucleo del nostro tempo da interrogare e indagare senza sosta. La letteratura per lui non è mai stata una forma di ripiegamento narcisistico e in fondo cinico, ma la via più efficace di impegno, di comprensione, di trasformazione della realtà. Del resto, i suoi modelli – primo fra tutti Pier Paolo Pasolini, quasi sempre presente nei suoi interventi come punto di riferimento, insieme certamente a Antonio Gramsci, Carlo Levi e Albert Camus – indicavano già molto bene l’orizzonte solido in cui si muoveva il suo ingegno: uno sguardo che non rinunciava mai alla propria lucidità, in grado di collegare punti e dimensioni della storia anche molto lontani tra di loro, e che faceva del ragionamento la base di una pratica visionaria sempre rivolta al futuro immediato.

"La frontiera" di Alessandro Leogrande. Copertina
“La frontiera” (2015) di Alessandro Leogrande. Copertina

Passione e pensiero
In questo sguardo intellettuale autenticamente realista – capace di unire fulmineamente Salvemini, De Roberto e Philip K. Dick – la questione meridionale aggiornata al XXI secolo, il dramma ambientale e sociale di Taranto, la migrazione analizzata come fenomeno epocale e il caporalato come saldatura tra sistemi ancestrali e nuovi sfruttamenti nel Sud Italia si fondevano in un’unica complessa interpretazione di un presente per molti (quasi tutti oggi, a dire il vero) sempre più indecifrabile. Un’interpretazione che si è declinata in modo informato e coinvolgente – oltre che in innumerevoli articoli per «Il Corriere del Mezzogiorno», «La Lettura», «Pagina99», «Lo Straniero» (di cui è stato vicedirettore), »Internazionale», «il manifesto», «minimaetmoralia» – in libri come Uomini e caporali (Mondadori 2008; Feltrinelli 2016), Il naufragio (Feltrinelli 2011), Fumo sulla città (Fandango 2013) e La frontiera (Feltrinelli 2015). E così, nella sua figura così schiva e nel suo tono così mite si sentiva con sorpresa a tratti rivivere – molto più che in tanti imitatori, del tutto innamorati invece dell’ossessione contemporanea per la “presenza” e infettati dal conformismo – proprio il fuoco interno di Pasolini, quella capacità innata di far convivere benissimo passione e ideologia, emozione e pensiero. Questa acutezza del pensiero si accompagnava a una grande generosità (non comune nel mondo della cultura italiana), alimentata dalla curiosità e dal desiderio di scambiare idee, di esplorare nuovi territori, di scoprire nuovi sguardi.

Il rapporto PIIIL
Nell’ultimo anno, Leogrande era stato molto impegnato – insieme a Francesco Cascino, Michele Trimarchi e Guido Guerzoni – nell’elaborazione dell’innovativo rapporto PIIIL Cultura in Puglia (il piano strategico della Regione), per il quale era relatore del tema “Identità”. Queste le sue parole per uno degli ultimi editoriali scritti per il «Corriere del Mezzogiorno»: «Non tutta la Puglia è stata raccontata. C’è ancora una Puglia dimenticata, scartata. È dal suo recupero, da una sua nuova illuminazione, che può nascere una nuova progettualità culturale per il XXI secolo. Oggi che assistiamo al grande successo della storia (come dimostrano anche le lezioni laterziane), ci sono tracce di identità “materiale” e “immateriale” che vanno raccontate sotto una nuova luce, e offerte al dibattito culturale globale. Tracce “materiali” come Castel del Monte o Canne della Battaglia. Tracce “immateriali” come la vita e le opere dei grandi pugliesi del Novecento (ad esempio, Salvemini, Carmelo Bene, Pino Pascali, Giuseppe De Nittis, Andrea Pazienza, lo stesso Moro), la cui opera non solo è parte integrante del passato regionale, non solo offre un continuo cortocircuito con l’immagine più ossidata e codificata dell’identità pugliese, ma va oggi sistematicamente presentata e comunicata su scala internazionale» (L’identità pugliese guarda al futuro, «Il Corriere del Mezzogiorno»,, 14 novembre 2017).
Che fare? Oltre a piangere la perdita prematura di uno scrittore scomparso ad appena quarant’anni, a leggere, rileggere e studiare le sue opere, forse provare in ogni modo a sviluppare e realizzare – anche per resistere a un tempo crudele che sembra deciso a divorare i suoi figli – la visione ambiziosa che ci lascia in eredità. Non solo per l’identità culturale della Puglia, ma dell’Italia e dell’Occidente.

Christian Caliandro, classe 1979, storico dell’arte contemporanea, studioso di storia culturale ed esperto di politiche culturali, insegna storia dell’arte presso l’Accademia di Belle Arti di Foggia. È membro del comitato scientifico di «Symbola Fondazione per le Qualità italiane». Ha pubblicato La trasformazione delle immagini. L’inizio del postmoderno tra arte, cinema e teoria, 1977-’83 (Mondadori Electa 2008), Italia Reloaded. Ripartire con la cultura (Il Mulino 2011, con Pier Luigi Sacco) e Italia Revolution. Rinascere con la cultura (Bompiani 2013). Cura su «Artribune» le rubriche inpratica e cinema; collabora inoltre regolarmente con «La Gazzetta del Mezzogiorno», «minimaetmoralia», Èche-Fare». Ha curato mostre personali e collettive, tra cui “The Idea of Realism // L’idea del realismo” (2013, con Carl D’Alvia), “Concrete Ghost // Fantasma concreto” (2014), entrambe parte del progetto “Cinque Mostre” presso l’American Academy in Rome; “Amalassunta Collaudi. Dieci artisti e Licini” presso la Galleria d’Arte Contemporanea “Osvaldo Licini” di Ascoli Piceno (2014); “Sironi-Burri: un dialogo italiano (1940-1958)” presso lo spazio CUBO (Centro Unipol Bologna, 2015); “RIFTS_Abate, Angelini, Veres” (Artcore, Bari 2015); “Opera Viva Barriera di Milano” (Torino 2016); “La prima notte di quiete” (i7-ArtVerona, 2016).