Auspicio di Silvio Cappelli per una dedica viterbese al ricordo di Pasolini

Su www.tusciaweb.eu del 20 novembre 2016 Silvio Cappelli continua a lanciare il suo appassionato appello affinché il territorio del viterbese dedichi un luogo alla memoria di Pasolini, che nella parte finale della sua vita amò vivere e lavorare nella solitudine della torre di Chia, esaltata anche in alcuni versi friulani della Nuova gioventù.

Contadini di Chia! Centinaia di anni o un momento fa, io ero in voi ….
di Silvio Cappelli

www.tusciaweb.eu – 20 novembre 2016

I viterbesi dovrebbero dedicare una via, un luogo, una piazza a Viterbo in ricordo di Pier Paolo Pasolini, uno tra gli intellettuali più importanti del Novecento, ucciso prematuramente al lido di Ostia in circostanze poco chiare quarantuno anni fa.
Il poeta, regista e scrittore, quella domenica 2 novembre 1975, era atteso a Chia, frazione di Soriano nel Cimino, in Provincia di Viterbo, dove aveva scelto di abitare da circa cinque anni. E’ stato un uomo di grandissima cultura e aveva scelto il nostro territorio per vivere e lavorare. Come aveva già fatto in precedenza il premio Nobel per la letteratura Luigi Pirandello che, come lui, veniva spesso in visita a Soriano nel Cimino (sono sue la poesia Pian della Britta e le novelle Canta l’epistola e Rondone e Rondinella).
Pier Paolo Pasolini, tra i suoi tanti lavori e testimonianze, ci ha lasciato alcuni versi scritti in dialetto friulano e riguardanti il territorio di Chia. Alcuni li possiamo rileggere anche nella raccolta La nuova gioventù pubblicata da Garzanti nel 1975.
Trascritti in lingua italiana ci dicono: “Il sole indora Chia con le sue querce rosa, e gli Appennini sanno di sabbia calda […]. Contadini di Chia! Centinaia di anni o un momento fa, io ero in voi. Ma oggi che la terra è abbandonata dal tempo, voi non siete in me. Qualcuno sente un calore nel suo corpo […]. Quelli che vanno a Viterbo o negli Appennini dov’è sempre Estate, i vecchi, mi assomigliano: ma quelli che voltano le spalle, Dio!, e vanno verso un altro luogo… Dio, lasciano la casa agli uccelli, lasciano il campo ai vermi, lasciano seccare la vasca del letame, lasciano i tetti alla tempesta, lasciano l’acciottolato all’erba, e vanno via, e là dov’erano, non resta neanche il loro silenzio […]. Il sole taglia la vallata piena di querce di un rosa di paradiso; i due piccoli fiumi che si riuniscono in fondo mormorano come spiriti beati. Anche il verde del vischio qua e là, è un verde di paradiso. [versi della poesia Ciants di un muàrt, ndr.]. Qua io sono il padrone di una torre e di un bosco […]. Cosa gridano a Chia?” [versi della poesia Lengas dai frus di sera, ndr.]

La torre di Chia
La torre di Chia

Lo scrittore sosteneva spesso che, all’interno della sua torre fortificata, protetta dalla cinta muraria, dagli strapiombi, dai fossi, dalla natura selvaggia, i sogni del passato potevano conservarsi più a lungo: «Quel mondo mi appare non solo morto, ma addirittura remoto. Parlo di un mondo agricolo, coi boschi e i boscaioli, il mangiare “schietto”, l’interpretazione estetica classica, i tempi lenti dell’esistere, le abitudini ripetute indefinitamente, i rapporti duraturi e assoluti, gli addii strazianti, gli strabilianti ritorni in un mondo immutato, dove i ragazzi fanno ancora i cacciatori di frodo e le madri cucinano cose buone in vecchie locande familiari nella stessa aria, nello stesso odore, nello stesso sole. Tutta questa ritualità si decompone al di là di un limite già lontano…».
Anche per queste sue importanti testimonianze mi permetto di insistere nel dire che sarebbe un bell’atto di riconoscenza dedicare a questo grande intellettuale una via, una piazza viterbese o un luogo, magari in una borgata, come sarebbe piaciuto a lui.