Sullo scaffale. Un saggio di Michela Mastrodonato sulla poesia di Pasolini

Per l’editore Franco Cesati di Firenze è fresco di stampa il libro «Pietà per la creatura!». La durata umanistica e sacrale della poesia di Pier Paolo Pasolini,  tratto da una tesi di dottorato dedicata alla poesia di Pasolini, condotta  a Gerusalemme e discussa all’Università Sorbonne-Paris IV il 9 dicembre 2013. Ne è autrice la studiosa, docente e giornalista Michela Mastrodonato, che  punta a valorizzare il costante dialogo di Pasolini con la tradizione umanistica italiana, evidente in particolare nella sua produzione poetica. Di essa il saggio valorizza tre aspetti:  il cuore umanistico di una poesia che sotto pelle dialoga con i grandi della cultura occidentale, dai quali mutua il valore sacro dell’individuo, la durata creaturale di ogni singola esistenza;la portata eversiva e antiautoritaria di questa umanistica durata creaturale, fonte anche della radicale critica pasoliniana alla società dei consumi; infine, nei limiti imposti dall’ateismo confessato da Pasolini, l’attesa di sacro che affiora nei testi poetici con metafore ricorrenti.
Nell’avvertenza introduttiva al libro, dà conto di  queste prospettive la stessa autrice, che ringraziamo vivamente per la segnalazione del suo lavoro.  

«Pietà per la creatura!». La durata umanistica e sacrale della poesia di Pier Paolo Pasolini
Avvertenza in forma di prologo
di Michela Mastrodonato

Questo libro nasce dal desiderio di risalire alle radici della poesia di Pasolini, dal desiderio di coglierne la bellezza e l’alchimia nascosta. Ed è stato scritto da una lettrice leale di Pasolini. La disposizione d’animo dei lettori leali è simile al deserto interiore degli eremiti: si dilata fino a creare vastità capaci di accogliere parole indifese, vulnerabili, spesso postume, in ogni caso parole che il poeta non può spiegare, precisare o circostanziare. Quella dei lettori leali, insomma, è una dimensione muta, silente, popolata da visioni create unicamente dal disegno della scrittura.
Anche per Pasolini tanti specialisti si sono seduti ed esercitati in questa lealtà. Tuttavia il poeta di Casarsa (che a Casarsa non nacque), il poeta delle borgate romane (che nelle borgate non abitò mai), troppe volte ci sembra irretito nella pania di letture ideologicamente faziose e ingenerose rispetto alla pura bellezza conoscitiva dei suoi versi.
Per fortuna Pasolini è inafferrabile. Ha rischiato di soccombere in vita al conformismo benpensante ed è sempre minacciato post mortem dall’anticonformismo incolto. Ma, come direbbe Dante, grazie al «grande amore e al lungo studio» di moltitudini di lettori che attraverso la sua poesia intendono conoscere, egli continua a sopravvivere indenne a tutte le mode critiche che hanno tentato di consegnarlo ai posteri sotto questa o quella bandiera. Troppo a lungo la sua poesia, per esempio, è stata generosamente interpretata […] alla sola luce della militanza intellettuale e della critica culturale; lontano da qualunque chiarore, diciamo così, metafisico, alla luce del quale osservare le zone umbratili e difficilmente misurabili dell’esistenza umana. Esaltare, cioè, solo la portata filosofico-politica dell’esperienza estetica di Pasolini significa negare la naturale attitudine di Pasolini ad esplorare l’aspetto trasumanato della Storia.
Come tutte le ipoteche anche quella politico-ideologica ha finito, per reazione, per ingenerare pregiudizi inverosimili e nocivi: esoterismo, fascino dell’indicibile, primitivismo, inadeguatezza conoscitiva del medium linguistico, abbandono all’irrazionale come unica via per percepire il mondo, resa al nichilismo di una cultura balbuziente… Invece non bisognerebbe mai perdere di vista il fatto che Pasolini è stato anzitutto un poeta. E che la sua poesia è un prezioso impasto di elementi compositi ma limpidi, nutrita in profondità dalla lettura dei grandi testi della letteratura italiana e latina di cui per tutta la vita fu appassionato frequentatore.

"Pietà per la creatura!" di Michela Mastrodonato. Copertina
“Pietà per la creatura!” di Michela Mastrodonato. Copertina

Dunque, anche per un discorso che risalga alle fonti dell’ispirazione poetica pasoliniana e per così dire alla preistoria delle sue soluzioni estetiche, sarebbe bene cominciare dal principio, e volgere la nostra attenzione al dialogo instancabile che egli intrattenne con le humanae litterae che furono il nutrimento essenziale del suo percorso intellettuale. Scopriremo, così, una vigorosa attitudine all’ascolto de La poesia della tradizione (testo tra i più ispirati dell’ultima raccolta Trasumanar e organizzar).
Naturalmente i sentieri creativi di Pasolini sono sempre originali, audaci, taglienti, ma spesso si trascura il fatto che egli non è mai solo nella sperimentazione dei suoi linguaggi poetici e nella formulazione dei suoi interrogativi radicali: Pasolini scrive conservando negli occhi la lezione di chi prima di lui ha esplorato l’esistenza umana con la speranza di approdare a una dimensione più vivibile e libera. In tutte le sue poesie egli rivive la lezione di maestri che hanno avuto l’ambizione di penetrare, attraverso l’umanissimo strumento conoscitivo della poesia, le zone più opache e dolenti dell’animo.
In fondo, a chi sappia riconoscerlo, la poesia di Pasolini – come direbbe Thomas S. Eliot – è «esistenza simultanea di tutto un ordine culturale», «unità vivente di tutta la poesia che sia stata mai scritta (1)». Egli era, infatti, sensibilissimo alla voce penetrante dei Classici; i quali d’altronde esistono proprio perché l’arte dei loro approdi ideali penetra a tal punto nella nostra memoria nazionale (2), come la chiamava Contini, da conferire a quella memoria i caratteri della cultura.
Parliamo dunque di padri, che per Pasolini furono, più dei Simbolisti, i poeti come Petrarca (con buona pace di chi (3) crede che Pasolini sia uno dei maggiori antipetrarchisti del Novecento), e i poeti della tradizione che da Petrarca approda a Tasso e si snoda fino a Leopardi. Ma soprattutto, e destinato a crescere vertiginosamente con gli anni, tra i padri di Pasolini c’è Dante Alighieri, che reca con sé il testimone ricevuto da Virgilio. E ancora, a ritroso verso la letteratura paleocristiana, c’è Sant’Agostino (che Pasolini citava a memoria), fino a San Paolo e ai testi sacri vetero-testamentari. Insomma, per esprimere i suoi approdi ideali, la lingua di Pasolini risale alle radici più nobili della nostra cultura, e queste radici nutrono una visione intimamente umanistica del mondo.
Questo libro, dunque, vorrebbe insinuare il sospetto che il retaggio più autentico e il significato più puro dell’esperienza di Pasolini non si annidino nella sua cultura antagonista (prediletta dalla Sinistra radicale); non nel cupio dissolvi di un’idea irrazionale della Storia e dell’esistenza (tanto caro al pensiero di Destra); non nel mistero assurdo della sua orrenda morte, e neanche nella sua omosessualità o comunque nell’idea che il corpo sia il luogo privilegiato della conoscenza del mondo (nuova voga che al centro dell’ispirazione pasoliniana mette l’erotismo).
Queste dimensioni, infatti, abitano a pieno titolo l’esperienza estetica pasoliniana, ma nessuna di esse definisce questa esperienza tout court. Il retaggio più vero del poeta, infatti, sopravanza la politica, mette in secondo piano la primazia del corpo, supera l’omosessualità, si lascia alle spalle la tormentata biografia e fa perfino dimenticare, per poco e con dolore, la ferita dal suo brutale assassinio. Pasolini, insomma, resiste indenne e non consumato solo grazie alla bellezza della sua parola poetica, che ci raggiunge ancora fresca e chiara a quarant’anni dalla morte grazie al riverbero infinito generato da una moltitudine segreta di lettori muti: da una «ressa di ignoti» (come direbbe lui) che senza clamore attraverso le sue poesie conoscono.
La grandezza di Pasolini, Classico egli stesso, ha a che fare con questa straordinaria capacità di distillare come Petrarca e di sognare come Dante una lingua emozionata e colta che accetta la sfida della realtà. Tuttavia, anche se fresca e chiara, quella di Pasolini non è una scrittura semplice. La chiarezza è un dono prezioso che appartiene a un’esigua schiera di creature. Appartiene ai bambini che esprimono in modo sempre nuovo ciò che hanno capito lentamente e con immensa fatica. E poi la chiarezza appartiene agli artisti, ai poeti, a tutti gli ingegni che come i bambini nella lentezza restano operosi e curiosi anche in età mature: animi in cui la ragione adulta è illuminata dalla infanzia creatrice, che avvertono il mondo come un’apparizione prodigiosa da decifrare con nessi simbolici inediti, con nuove vie di senso, con visioni cui nessuno aveva pensato prima e che con prodigiosa naturalezza prolungano la creatività della natura grazie all’arte.
Ebbene la lingua di Pasolini è una lingua chiara ma non semplice. Non è cioè una lingua che ammanta pensieri facili o verità da consumare alla prima lettura. È una lingua che sembra semplificare e invece complica. Le parole sono accuratamente ponderate, soppesate, ricercate, talvolta torturate. Spesso sono parole correnti, che si espongono alla contemporaneità accogliendo la sfida dell’attualità, parole intolleranti a sistemi stilistici rigidi. Eppure le parole di Pasolini hanno una storia, numi tutelari, riferimenti culturali precisi e una vitalità metaforica che gareggia con la migliore tradizione letteraria.
Con questi maestri Pasolini dialoga, con essi s’interroga sulla fuggevole esistenza umana e sulla sua struggente bellezza, in una conversazione fuori da tempo e spazio che si cala nelle zone liminari dell’animo umano e le rischiara. Questo dialogo è l’esperienza che i grandi, da Petrarca a Machiavelli a Leopardi a Pascoli (su cui Pasolini scrisse la sua tesi di laurea), chiamano studium: cimento intellettuale totalizzante, isola in cui sprofondare e respirare, in cui quietare il timore del dolore, della povertà, luogo di eterna fratellanza spirituale, esperienza somma in grado di lenire la paura della morte.
Sebbene soggettivo, parziale, spesso sfuggente, lo studium, luogo della mitopoiesi, è cura suprema capace di allontanare l’angoscia della fine, la brutalità della «selva oscura», la sofferenza della perdita di sé: cura prestata agli uomini, secondo Pasolini, dalla «mitezza» e dalla «conoscenza», i due «più sacri incanti» dell’uomo. In questo luogo, nello studium, hanno dunque abitato i «grandi letterati di tutti i tempi» e profuso le loro migliori energie. Questo percorso conoscitivo per Pasolini è sacro, e la sacralità della ricerca conoscitiva umanistico-letteraria risuona in ogni sua opera: dalla poesia al teatro, dalla prosa alla critica letteraria, dalla saggistica al cinema.
Egli «abbandonò gli studi per girovagare per le periferie e per girare films» e «ciononostante gli studi erano in lui» (4). Fu cioè un «estremista» che dialogava con i «grandi letterati» del passato per dare un nome a quell’incantevole impasto di luci e ombre che è l’esistenza umana.
Così, dopo la metallica ideologia delle letture storico-politiche e la miseria spossata delle letture erotico-corporali, è forse tempo di fare ingresso nella dimensione appassionata, mite e chiara di Pasolini umanista; come lui stesso avrebbe voluto essere ricordato.  Ecco perché, in fondo, questo libro è stato scritto.

Note
1 Cfr .T.S. Eliot, Che cos’è un classico, in Opere 1939-1962, a c. di R.Sanesi, Bompiani, Milano, 1993.
2 Cfr. G.Contini, Un’interpretazione di Dante, in Un’idea di Dante, Einaudi, Torino,  2001 [1970].
3 Cfr. A.Berardinelli, Il fantasma di Petrarca, «Nuovi argomenti», 16, Ott-Dic 2001, 276-83.
4  P.P.Pasolini, Coccodrillo, vv. 72-73, pubblicato per la prima volta ne Il sogno del centauro, a c. di J.Duflot, Editori Riuniti, Roma, 1983, ora in Appendice a «Trasumanar e organizzar».

[info_box title=”Michela Mastrodonato” image=”” animate=””]romana, sposata, madre di Costanza e Octavia, giornalista professionista, docente di Italiano e Latino al Liceo “Maria Montessori” di Roma, dedica a Pasolini il suo Dottorato alla Sorbona di Parigi. Ha lavorato per l’agenzia di stampa REUTERS, Euronews, il programma Moby Dick di Michele Santoro, «La Stampa», RaiNews24.  È stata finalista al “Premio Calvino” col romanzo Delle nostre parole, corrispondente da Gerusalemme per RadioMontecarlo, «Lettera Internazionale», «Il Messaggero» e la Televisione della Svizzera italiana (RSI). Tra le sue ossessioni, oltre alla didattica, c’è il retaggio dantesco e umanistico che si muove nella letteratura otto-novecentesca.[/info_box]