Sullo scaffale. L’ultima partita di Pasolini, di Salvatore Mugno

L’ultima partita di Pasolini, di Salvatore Mugno

recensione di Angela Molteni
vedi il libro su stampalternativa.it

copertina-lultima-partita

Con due varianti non di poco conto…

Trapani, 4 maggio 1975 – l’autore, dodicenne nel 1975, si reca col padre allo stadio della sua città, Trapani, per assistere alla partita di beneficenza tra attori e giornalisti ma soprattutto per vedere dal vivo il “divo” Franco Gasparri. Ma l’attore non c’è e nemmeno Franco Franchi, dato per certo. La sua delusione viene però attenuata dalla presenza di Pier Paolo Pasolini, che riesce a catalizzare l’attenzione dei 5000 spettatori. La cronaca di quella partita, anche fotografica, unitamente al diario di quelle due giornate trapanesi ci consegna un Pasolini inedito, toccante, antiretorico. Da non perdere per chi lo ama. Salvatore Mugno (Trapani, 1962) è narratore e autore di biografie, inchieste giornalistico-giudiziarie e pubblicazioni su Mauro Rostagno. Per Stampa Alternativa ha curato Lettere a Svetonio di Matteo Messina Denaro (2008).
Ma in effetti – non me ne voglia Salvatore Mugno – per l’ultima partita di calcio giocata da Pier Paolo Pasolini non si trattò di quella trapanese, ma di quella disputata nel Tempio del tifo rosso-blu.

nazionale calcio attori: oltre a Pasolini, si riconoscono Ninetto Davoli, Franco Citti, Mario Valdemarin, Adamo, Fabio Capello.
Nazionale calcio attori: oltre a Pasolini, si riconoscono Ninetto Davoli, Franco Citti, Mario Valdemarin, Adamo, Fabio Capello.

Il 20 novembre 2012 alla Pietraia dei Poeti a San Benedetto del Tronto il maestro Marcello Sgattoni e Francesco Anzivino hanno celebrato i 90 anni dalla nascita dell’intellettuale italiano, a partire dalla sua passione per il calcio. «Il calcio è l’ultima rappresentazione sacra del nostro tempo. È rito nel fondo, anche se è evasione». Francesco Anzivino ricorda (con le parole dell’autore), che proprio l’ultima “sacra rappresentazione” ha visto Pier Paolo Pasolini officiante nello stadio di San Benedetto il 14 settembre 1975. Una parentesi pasoliniana si è tenuta il 17 novembre scorso alla Pietraia dei Poeti, quando il maestro Marcello Sgattoni ha presentato la sua ultima opera dedicata al grande intellettuale italiano, ricordando il loro incontro. Per celebrare i 90 anni dalla sua nascita, Anzivino in collaborazione con Enrico Corinti, ha presentato il reading NovantaPa’ in onore della grande passione di Pasolini, il calcio.
«Di quello che successe al Ballarin quel giorno non c’è molta memoria – spiega Anzivino – L’incontro tra la Nazionale Attori e Cantanti e le vecchie glorie del Bologna tra cui Serafino Traini, e Marcello Flammini primo, Silvio Santi, Filippo Traini, Enzo Ferretti e Dante detto il Dio-Madonna, fu organizzato da Alberto Perozzi al quale la Riviera della Palme deve molto. Pasolini manifestò subito il suo amore per il borgo marinaro di San Benedetto ma già all’epoca criticava la cementificazione continua che stava subendo città. Alla fine della partita gli fu consegnato, proprio da Perozzi, un libro dialettale».

Alberto Perozzi consegna il libro dialettale a P.P. Pasolini
Alberto Perozzi consegna il libro dialettale a P.P. Pasolini

Per alcuni, compresa Laura Betti, l’ultima partita giocata da Pasolini fu invece il 16 marzo del ’75 tra la troupe di Salò o le 120 giornate di Sodoma e quella di Novecento di Bernardo Bertolucci. Pasolini si era stabilito con la sua troupe nella villa di Pontemerlano di Roncoferrato dove si svolgevano le riprese di “Salò o le centoventi giornate di Sodoma”, il suo ultimo film. Poco lontano, nei dintorni di Parma, sua città natale, Bernardo Bertolucci stava girando Novecento. Il 16 marzo, giorno del compleanno di Bertolucci, su entrambi i set le riprese vennero sospese per lasciare la possibilità, alle due compagnie, di allestire ciascuna la propria rappresentativa calcistica.
“Novecento” contro “Centoventi”, dunque. Il luogo dell’incontro fu il campo della Cittadella, poco distante dal Tardini e ancor oggi sede degli allenamenti del Parma. Pasolini, inutile dirlo, per nulla al mondo avrebbe perso l’occasione di prendere parte a quella partita, nel ruolo di ala, come di consueto. Si strinse al braccio la fascia di capitano e con tutta probabilità fu proprio lui a imporre ai suoi le casacche rosso-blu del Bologna. In campo – rispetto a quando ne era fuori – Pasolini si divertiva di più, scherzava più di altri. Pasolini era un leader, un trascinatore, non si arrendeva mai. Lui non giocava le partite, le viveva intensamente. Era uno degli ultimi ad andarsene via dal campo, anche quando vinceva era comunque arrabbiato per un semplice passaggio sbagliato o per un gol subito anche se alla fine non avrebbe cambiato l’esito dell’incontro. Era un perfezionista.

Pasolini e Bernardo Bertolucci nel 1975
Pasolini e Bernardo Bertolucci nel 1975

La funzione dell’arbitro viene spartita e assolta, in ciascuno dei due tempi, da un direttore di gara differente: il primo, se così si può dire, di estrazione “Centoventi”, l’altro “Novecento”. “… quanto alla squadra di Bertolucci le divise erano opera fantastica della costumista di Novecento (un lavoretto in più, da aggiungere ai circa quattromila costumi già elaborati per il film) Gitte Magrini: maglie viola copiativo con le cifre 900 in giallo verticale, calzettoni a strisce multicolori destinati a sviluppare, per il gioco di gambe, un effetto caleidoscopico (e psichedelico) tale da rendere difficile l’individuazione del pallone ai rivali”. Così la cronaca apparsa su «La Gazzetta di Parma» qualche giorno dopo la partita, resoconto aperto da un titolo incentrato proprio sulle fogge inusuali delle uniformi sportive ideate dalla Magrini: Bertolucci batte Pasolini (5-2) grazie ai calzettoni psichedelici.

Il risultato parla chiaro sull’andamento dell’incontro, qualche equivoco nasce invece dalle ricostruzioni a posteriori, in particolare dalla memoria di Bertolucci che riferisce di un 19 a 13 e di un Pasolini che abbandona il campo stizzito per non essere stato coinvolto nel gioco dai compagni più bravi di lui. A portare un chiarimento è la testimonianza di Ugo Chessari, una delle vittime in Salò, reduce, quanto a esperienza calcistica, da una militanza nel settore giovanile della Lazio non molto tempo addietro. Il suo ricordo travalica l’occasione singola e si diffonde sul ruolo egemonico del pallone come svago durante le pause di lavorazione del film, forse una sorta di esorcismo contro la martellante crudeltà delle scene che si rappresentavano: «Si arrabbiò: è vero. E lasciò il campo perché era fatto così, era una sua caratteristica diciamo negativa: ci teneva troppo. Lui non ci stava a perdere, era un intenditore di calcio: la prendeva con serietà, mentre Ninetto Davoli, per esempio, s’ammazzava dalle risate. Tra di noi c’erano cinque-sei giocatori buoni, il resto soltanto molta voglia. Fu un’esperienza bellissima quella di Salò, il pallone non mancava mai, a volte si saltava il pranzo per giocare». [da «La Gazzetta di Parma», 20 marzo 1975]