“Salò” ovvero l’impotenza del potere anarchico, di Gianfranco Cercone

Riprendiamo da “Notizie Radicali” un’acuta recensione di Gianfranco Cercone sul film Salò o le 120 giornate di Sodoma, tornato nelle sale in versione integrale dopo il restauro curato dalla Cineteca di Bologna ed edito in cofanetto-dvd, in collaborazione con Cinemazero di Pordenone.

“Salò o le 120 giornate di Sodoma” di Pier Paolo Pasolini: alle origini della crudeltà
di Gianfranco Cercone

www.notizie.radicali.it – 25 novembre 2015

A commento di una notizia di cronaca nera, di uno stupro, Pier Paolo Pasolini ricordò una verità forse risaputa, ma proprio per questo trascurata, non ribadita abbastanza: il fatto stesso di commettere una violenza sessuale è una confessione involontaria di impotenza, dell’incapacità di raggiungere quello stato di fusione con la persona amata che è il momento più desiderabile, estatico, del rapporto sessuale (che può verificarsi, certo, soltanto quando quel rapporto è consensuale).
Mi è tornata in mente questa considerazione di Pasolini, rivedendo il suo ultimo film, del 1975, Salò o le 120 giornate di Sodoma, tornato nelle sale, in versione integrale (il film fu bersagliato dalla censura), dopo il restauro curato dalla Cineteca di Bologna che lo ha anche ripubblicato in dvd (insieme a un altro dvd di cortometraggi e documenti sul film).
La storia del film è nota. Al termine della disavventura del fascismo in Italia, nella roccaforte fascista dell’autoproclamata repubblica di Salò, quattro eminenti rappresentanti del regime (un presidente, un’eccellenza, un duca e un monsignore) si recludono in una villa, protetti dai militi in camicia nera, in compagnia di quattro signore assoldate per eccitarli con dei racconti pornografici, e attorniati da ragazze e ragazzi, scelti accuratamente per la loro bellezza: dei quali i “signori” possono fare, in assoluta impunità, tutto ciò che vogliono: costringergli a soddisfare i loro desideri, anche i più turpi, i più ripugnanti; torturarli e ucciderli.
E’ noto che per Pasolini – che aveva tratto questa vicenda da un romanzo del Settecento, Le centoventi giornate di Sodoma del marchese De Sade, insieme a una rievocazione fantastica degli orrori dei lager nazisti – si trattava di un’allegoria del consumismo. E cioè, a suo parere, quel Potere che aveva introdotto o favorito la “rivoluzione dei consumi” in Italia (Pasolini si riferiva in particolare alla fine degli anni Sessanta e agli anni Settanta) aveva allo stesso tempo praticato, attraverso i mass media, una manipolazione della coscienza dei giovani, dei loro comportamenti, dei loro stessi corpi: incruenta, ma, per Pasolini, altrettanto devastante di quella perpetrata dai nazisti nei confronti delle loro vittime.
Assistendo oggi a Salò o le 120 giornate di Sodoma, il legame tra le efferatezze, le violenze, che il film spietatamente illustra, e il consumismo in Italia, io credo che sia svanito del tutto; è rimasto nelle dichiarazioni di intenti dell’autore.

Paolo Bonacelli in "Salò" (1975) di Pasolini
Paolo Bonacelli in “Salò” (1975) di Pasolini

Ma il film è bello, e molto bello, perché cattura una verità interiore profonda, universale, valida in tutti i tempi e in tutti i luoghi. Nelle vaste stanze della villa, fredde, a volte disadorne, in cui i quattro signori si sono reclusi insieme ai loro complici e alle loro vittime; in quel vasto salone in cui tutti i personaggi si riuniscono ogni giorno per ascoltare i racconti osceni delle narratrici, e dove le vittime siedono o giacciono, in silenzio, rassegnate; nella barriera di incomunicabilità che divide i carnefici dalle vittime, e che queste ultime tentano a momenti, timidamente, e inutilmente, di superare; si percepisce quel gelo che è proprio dell’inibizione, che cioè è il contrario dell’eros.
Insomma: il luogo che vorrebbe essere della soddisfazione, la più liberatoria, degli istinti, anche i più repressi dalla società, si rivela in effetti il luogo della frustrazione più disperata, più irredimibile. I quattro signori, protetti dalla loro ricchezza, dalla loro squisita cultura, dall’idea stessa di essere potenti e privilegiati, si ritrovano prigionieri del loro ruolo e, malgrado ogni abuso e violenza, non potranno mai davvero unirsi eroticamente alle loro vittime, come inconsciamente, intimamente, desidererebbero.
Il film è strutturato intorno al principio del crescendo. Ogni capitolo del film è paragonato a un girone dell’Inferno, ognuno più tremendo del precedente. Si può intuire che è proprio l’insoddisfazione profonda che suggerisce ai carnefici pratiche sessuali sempre più estreme, orribili certo, ma anche grottesche. Mentre le loro vittime, in segreto, ritrovano a momenti, tra i loro corpi, la dolcezza, l’armonia dell’eros.