Per un “ritratto critico” di Edoardo Sanguineti, di Angelo Petrella

Biagio Cepollaro, poeta originario di Napoli, si è fatto promotore nel marzo 2017 della ripubblicazione online in tre puntate su “La nazione indiana” di un penetrante saggio dello scrittore Angelo Petrella sulla poesia di Edoardo Sanguineti, già uscito nel 2005 sulla rivista “Belfagor” (n.359).  Vi si sbalza un acutissimo “ritratto critico” di Sanguineti, il grande avversario poetico di Pasolini che qui è indagato nell’evoluzione del suo radicale  sperimentalismo formale,  prima e dopo l’adesione al Gruppo 63, e collocato nel contesto della crisi della cultura borghese e, in essa, della progressiva ridicolizzazione della stessa figura del poeta.

Ritratto critico di Edoardo Sanguineti
di Angelo Petrella

www.nazioneindiana.com – 1, 8, 15 marzo 2017

1.Triperuno: l’avanguardia e il suo superamento
La prima raccolta poetica di Edoardo Sanguineti può ben essere accolta come metafora della personalità dell’autore: una pulsione anarchica distruttiva puntualmente corretta da un vigile razionalismo progettuale. Non a caso, la carriera accademica di Sanguineti comincia, grazie a Giovanni Getto, poco dopo la pubblicazione dell’opera prima Laborintus. A più riprese, proprio la partecipazione ai lavori della Neoavanguardia creerà complicazioni nel mondo universitario. Il percorso intellettuale sanguinetiano risponde in effetti a quest’esigenza ribelle e antagonista, ma da praticarsi attraversando e utilizzando l’istituzione, in tutti i campi. Lo testimonia, ad esempio, la sua militanza comunista di non iscritto al partito pur ricoprendo diversi incarichi politici, prima come consigliere comunale e poi come deputato al parlamento; il tentativo di chiusura con l’ermetismo teso a rivalutare la linea crepuscolare della lirica italiana; non ultima, l’ostentata proposta di un anti-canone nella celebre antologia Poesia italiana del Novecento.

Edoardo Sanguineti
Edoardo Sanguineti

Il nome di Sanguineti è indissolubilmente legato all’esperienza del Gruppo 63, di cui fu uno degli ideologi e promotori, sebbene la sua prima produzione poetica indichi la necessità di un rinnovamento senza ancora aver coscienza dei futuri esiti neoavanguardistici. Laborintus viene dato alle stampe nel 1956 per l’editore Magenta, grazie all’interessamento di Luciano Anceschi: le reazioni del pubblico saranno poche e non molto lusinghiere, almeno fino alla pubblicazione dell’antologia I Novissimi nel 1961 (Andrea Zanzotto parlò addirittura di «sincera trascrizione di un esaurimento nervoso»). Eppure, la prima raccolta sanguinetiana contiene elementi di grande novità non solo per la rottura con le linee dominanti della poesia italiana, ma anche per i modelli culturali e letterari europei a cui si riferisce. Gli anni Cinquanta sono anni in cui accanto al neorealismo in declino dominano la linea ermetica, quella montaliana e quella sabiana: Sanguineti vuole appunto chiudere con queste esperienze e, in definitiva, con la lirica, ovvero con il modello poetico per eccellenza della poesia borghese. Ma come metterlo in discussione? La via d’uscita è fornita dall’esempio delle avanguardie storiche, che rappresentano il punto massimo di contraddizione cui giunge la cultura borghese: solo attraversandole sarà possibile far esplodere dall’interno quelle contraddizioni e, con esse, il linguaggio tout court.
Questa tensione non è solo letteraria, ma innanzitutto culturale: al caos del mondo in preda alle trasformazioni sociali successive al dopoguerra corrisponde il caos linguistico e informale a cui tentare di dar forma. La sistematizzazione del disordine è la spinta propulsiva iniziale del progetto di Laborintus, che pure è consapevole dell’impossibilità di redimere il mondo attraverso il linguaggio: l’opera è tutta protesa verso la conquista di un significato assoluto, di una junghiana coincidentia oppositorum, di una palingenesi rivoluzionaria che viene però continuamente rimandata. Non resta che una realtà in frantumi, così come accadeva per gli autori del grande modernismo. Ma con una differenza fondamentale: se il frammento linguistico eliotiano serve a tentare di puntellare e sorreggere le rovine, se il plurilinguismo poundiano risponde alla tensione titanica di riassumere il mondo, il sanguinetiano «viaggio nell’inferno borghese serve solo a rivelare che nel suo orizzonte non si dà salvezza» (Romano Luperini 1981, 835). La frammentarietà di Laborintus comincia dalla materia dell’espressione e investe addirittura il piano visivo del segno linguistico: punteggiatura, numeri e disposizione grafica del testo appaiono esplodere e dilatarsi, quasi mossi da paura di annientamento. Il verso viene assemblato in modo asintattico, scardinando la regolarità in funzione di un ritmo tutto singhiozzante, ironico e corrosivo, ricco di figure del significante:

tu e tu mio spazioso corpo
di flogisto che ti alzi e ti materializzi nell’idea del nuoto
sistematica costruzione in ferro filamentoso lamentoso
lacuna lievitata in compagnia di una tenace tematica

Con Opus metricum (Rusconi e Paolazzi, 1961) Sanguineti ripubblica i testi di Laborintus assieme a quelli del nuovo ciclo Erotopaegnia. Questa seconda raccolta fa da contrappunto dialettico alla prima: la pulsione alla sublimazione diventa qui una descrizione eroicomica e grottesca di atti fisici ed erotici, dove ossessivamente ritornano temi inerenti alla nascita, alla penetrazione, alla maternità. Ciò che colpisce a una prima lettura è innanzitutto il recupero di un certo grado di narratività, dall’ictus molto reiterato, anche se continuamente frustrata da interruzioni. Questo movimento spezzato lascia intuire già quale sarà il percorso di ricerca successivo di Sanguineti: inserti, parentesi, finte esclamazioni, invocazioni, ricordi improvvisi e stralci di conversazione cercano di costruire un discorso comunicativo ma criticamente distanziato. In secondo luogo, nei testi di Erotopaegnia si nota un certo lirismo di stampo crepuscolare, ma abilmente camuffato dall’abbassamento ironico e dallo straniamento (questi sono gli anni in cui, d’altronde, Sanguineti lavora ad alcuni dei saggi che nel 1965 confluiranno in Tra liberty e crepuscolarismo). Quando però la lirica viene esibita esplicitamente e senza interruzioni, la poesia si trasforma in inno alla materialità dell’esistenza caricandosi di tensione oppositiva.
Nel 1964, sotto il titolo di Triperuno, Feltrinelli ripubblicherà le raccolte precedenti aggiungendovi il terzo ciclo di Purgatorio de l’Inferno: il titolo, tratto da una presunta e inedita opera di Giordano Bruno, allude a una tentativo di riscatto e di redenzione dal magma pullulante dell’esperienza umana e avanguardistica. Dopo aver toccato il fondo paludoso del linguaggio e della cultura borghese, alla ricerca insoddisfatta dell’utopia, è ora di «lasciarsi il fango alle spalle» e iniziare a ricostruire da capo la realtà. Cosa è accaduto rispetto alle prime due raccolte poetiche? Innanzitutto, il convegno di Palermo del 1963 ha decretato la nascita della Neoavanguardia: ed è singolare notare come la costituzione del Gruppo 63 sia cronologicamente posteriore al superamento sanguinetiano della fase anarchica e distruttiva. Nello stesso anno, infatti, Sanguineti pubblica sulla rivista “Il Verri” il saggio Per una nuova figurazione, celebrando il neofigurativismo dell’amico Enrico Baj e del gruppo dei pittori nucleari. Ci troviamo di fronte al compimento del progetto di trasformazione dell’avanguardia in arte da museo: il problema «era quello di capire quale tipo di comunicazione fosse possibile, una volta raggiunta la soglia del silenzio: abbandonare la scrittura o esplorare altre strade?» (Fabio Gambaro 1993, 79). Alla scelta rimbaudiana Sanguineti preferisce la seconda opzione, dedicandosi pertanto a sondare ogni terreno possibile a una rifondazione dello statuto iconico del linguaggio, anche se non realisticamente mimetico: la figurazione costituirà il terreno di partenza di tutte le successive vie di ricerca e sperimentazione.
Lo stile di Purgatorio de l’Inferno, pur ricco di interferenze, è infatti sostanzialmente comunicativo: le libere associazioni, la furia elencatoria o le continue incidentali non riescono a soffocare il discorso narrativo che si apre alla realtà attraverso scorci diaristici, a partire da situazioni personali, quotidiane o politiche. Da più parti, questo ottimismo è stato interpretato come falsa ricomposizione utopica della realtà attraverso la mitopoiesi: Alberto Asor Rosa, ad esempio, individuava in Purgatorio de l’Inferno una ricaduta nell’ideologia che rimanda messianicamente l’idea di rivoluzione e il confronto con i problemi concreti del presente (Asor Rosa 1973, 158-60). Questo tipo di giudizio riassume in verità troppo sbrigativamente la complessità di un’opera che si pone quesiti nuovi in un momento storico del tutto peculiare. La ricomposizione del mondo tramite la poesia non è mai appagata, ma è sempre motivo di tensione non soddisfatta: è un realismo non rispecchiato, dunque più brechtiano che lukacsiano. La mimesi, d’altronde, è bloccata sul nascere grazie al ricorso a un’atmosfera onirica, come a voler espandere e straniare la percezione della realtà: si ricordi che il 1963 è anche l’anno in cui Sanguineti dà alle stampe il romanzo Capriccio italiano e il testo teatrale Passaggio, per le musiche di Luciano Berio, in cui il sogno esercita un ruolo fondamentale. Diarismo, critica sociale ed onirismo costituiranno la matrice propria di tutta la poesia sanguinetiana almeno fino agli anni Novanta.

2.Figurazione e crepuscolarismo da Wirrwarr a Postkarten
La raccolta intitolata Wirrwarr (Feltrinelli, 1972), composta da T.A.T. e Reisebilder, viene data alle stampe dopo un lungo periodo di silenzio poetico. Negli anni successivi alla pubblicazione di Triperuno, infatti, Sanguineti ha dedicato molte delle sue energie alla stesura di saggi critici e teorici, di testi teatrali e di narrativa, nonché dell’antologia sulla poesia italiana. Eccezion fatta per le sette poesie di T.A.T., già pubblicate dall’editore Sommaruga nel 1968, il silenzio poetico è presto spiegato con il vuoto ideologico lasciato dall’esaurimento della spinta neoavanguardistica e sessantottesca: la condizione affatto incerta e provvisoria della poesia rende impossibile strappare indicazioni o ipotesi al futuro. Non a caso, il titolo tedesco della nuova raccolta può tradursi sia con il termine di «guazzabuglio» che con quello di «zibaldone», alludendo all’implicita dicotomia dell’opera che accosta l’arduo informalismo del primo ciclo al diarismo discorsivo del secondo.
T.A.T. sta per «Tests di appercezione tematica», ovvero le prove visive elaborate dallo psicologo Henry Murray: qui si assiste indubbiamente alla ripresa e all’esasperazione di quell’informalismo che si era manifestato già in Laborintus. La frattura tra segno e referente è decisamente consumata non solo al livello sintagmatico, ma addirittura al livello intraverbale. Il linguaggio è desemantizzato e tocca il limite di comprensibilità, testimoniando come unica verità l’impossibilità di significare univocamente. Già Walter Pedullà notava come i testi di T.A.T. servissero in qualche modo a «ibernare» l’esperienza della Neoavanguardia per tramandarne al futuro quanto v’era stato di più sconvolgente (Pedullà 1963, 563).
I cinquantuno componimenti di Reisebilder costituiscono invece il resoconto di un viaggio compiuto dall’autore tra Germania e Olanda nel 1971. Ciò che colpisce di questa raccolta è l’assoluto abbandono a un tono scorrevole e narrativo: le continue parentesi non creano più interferenza, sparisce quasi del tutto il plurilinguismo e le stesse citazioni variamente estratte da autori tedeschi hanno più la funzione appositiva che non quella straniante. Sanguineti porta avanti la linea diaristica ma svuotandola ormai delle tensioni che pure ancora riempivano Purgatorio de l’Inferno. In Reisebilder non c’è più nulla da distruggere o da difendere: il poeta si guarda nello specchio e riconosce nei propri lineamenti la perdita definitiva del ruolo intellettuale nella società post-sessantottesca. Non si dimentichi che nel 1971 esce Trasumanar e organizzar di Pier Paolo Pasolini, mentre tra il 1968 e il 1973 Zanzotto pubblica La beltà e Pasque, dove la polemica contro l’insufficienza della lingua si traduce in uno scioglimento del binomio significante/significato e nel tentativo di salvare il dicibile attraverso una lingua nuova e sperimentale. In Sanguineti, come si sa, il problema non si consuma tanto nel rapporto tra linguaggio e comunicazione, ma tra linguaggio e ideologia: finita l’epoca delle grandi utopie, Reisebilder decreta il fallimento del tentativo di riconciliare il linguaggio con la realtà, così come testimonia l’impossibilità di cantare tragicamente quel fallimento. L’unico modo di far poesia è in maniera abbassata, sottilmente ironica, quasi silenziosa. Sanguineti mostra di adottare la lezione crepuscolare (per altro ben sviscerata già nei saggi di Tra liberty e crepuscolarismo), ma abbassandone il registro polemico e temperando sia il patetismo radicale gozzaniano che la dissacrazione divertita palazzeschiana. Tutto è a posto così com’è, senza tragedia o pathos.
Postkarten (Feltrinelli, 1978) sembra poi sbloccare la situazione di stallo in cui era finita la poesia di Reisebilder, che ancora mostrava sensi di colpa per lo smarrimento di un’identità poetica: l’irrimediabilità della condizione prosastica della poesia viene ora adottata e introiettata quasi con gioia, al punto da lasciare spazio a situazioni anche comiche e grottesche. Il tono si fa decisamente colloquiale e la punteggiatura è ormai un mero strumento grafico per staccare i sintagmi l’uno dall’altro: ma, contemporaneamente, è insistente il ricorso sapiente a versi tradizionali anche se abilmente mascherati. Non si dà più alcuna condizione di rivolta e la parola poetica smitizzata e inutile sopravvive in un discorrere motteggiante, intellettuale e quasi precettistico, che galleggia sui frammenti del mondo, al punto da far rilevare a più d’un critico l’affinità col coevo Satura di Eugenio Montale. Sanguineti, attraverso il quotidiano, si libera dalla paura del vuoto ideologico dei primi anni Settanta e adotta un nuovo registro, alla ricerca di un annullamento dell’identità finora avuta:

perché io sogno di sprofondarmi a testa prima,
ormai, dentro un assoluto anonimato (oggi, che ho perduto tutto, o quasi): (e
questo significa, credo, nel profondo, che io sogno assolutamente di morire,
questa volta, lo sai):
oggi il mio stile è non avere stile:

In questo senso Postkarten va letto come filiazione e dilatazione delle basi gettate nella raccolta precedente. Non è un caso che il volume feltrinelliano del 1975, intitolato Catamerone, includa l’intera produzione poetica di Triperuno Wirrwarr: con questa operazione, Sanguineti suggella l’esperienza avanguardistica e a un tempo la gestazione di quella fase di trapasso post-sessantottesca. Reisebilder e Postkarten vanno letti come successiva progressione dialettica verso la distruzione dell’identità borghese del poeta, che verrà elaborata a partire dalle due raccolte successive.

3.Trilogia del saltimbanco
Stracciafoglio (Feltrinelli, 1980) e Scartabello (Colombo, 1981), raccolte gemelle di quarantasette componimenti, costituiscono assieme a Cataletto una sorta di trilogia dialettica tesa a smantellare del tutto l’identità borghese ancora presente in Postkarten e a costruirne una nuova, un’identità non-identitaria da sabotatore e saltimbanco. Questo progetto è in sincronia con la ripresa del dibattito teorico in Italia, soffocato da circa un decennio di riflusso, che sfocerà nella fondazione del Gruppo 93. A una prima lettura, in specie di Stracciafoglio, spicca subito all’attenzione un copioso utilizzo della prassi metapoetica: Sanguineti tenta costantemente di definire la propria attività, presentando il processo della poesia durante il suo svolgimento. Ma il discorso poetico non ha il tempo di autodefinirsi che subito il suo valore s’annulla: «il mio lascito è questo stesso rogito». La messa in opera di questo procedimento tende sia a denigrare l’assolutezza lirica, illuminandone i meccanismi compositivi materiali e razionali, sia a denunciare l’insufficienza e la pochezza della poesia nei confronti della realtà. L’irripetibilità del sublime si ribalta nell’occasionalità quotidiana ed effimera del gesto poetico. Questo è il motivo per cui i componimenti appaiono sempre come pagine di taccuino, come appunti provvisori di un diario di lavoro tutt’affatto aperto. L’effetto sul lettore è quello di una forte presa di distanza ironica dalla letteratura.
Ma la distruzione dell’aura poetica è perpetrata anche attraverso la ridicolizzazione del soggetto, messa in opera già a partire da Postkarten. La spersonalizzazione della figura del poeta raggiunge il suo apice: i gesti, le azioni e gli oggetti della realtà vengono catalogati e parcellizzati nei singoli elementi costitutivi. L’individuo che domina tutti i testi poetici, dunque, è un soggetto in esplosione, polverizzato così come lo è la realtà sociale. Il senso di quest’operazione non è solo il porre l’accento sulla materialità dell’esistenza per svuotarla di qualsiasi residuo spirituale, ma è anche il forzare l’identità borghese, gonfiandola e facendola deflagrare dall’interno al fine di distruggerla definitivamente. Il risultato sul piano espressivo è choccante: la verbosità, sottolineata dal ricorso sempre più frequente a figure del significante, dà l’impressione di una continua metamorfosi emorragica dei sintagmi (Niva Lorenzini 1991, 177-8). Da qui deriva l’effetto grottesco della percezione di un io così ostentato eppur così intimamente scisso. È chiaro che la forte espressione di questa corporeità in disfacimento richiamerà la tematica della morte e del decadimento fisico peraltro già abbozzata in Postkarten: anche se Michail Bachtin non rientra tra i teorici preferiti da Sanguineti, la morte va qui intesa in senso carnevalesco, come fine che prelude a una rigenerazione e pertanto non cede a possibili derive patetiche o vittimistiche. Il movimento distruttivo dell’identità borghese, infatti, cede il posto alla costruzione di una nuova identità affatto diversa: da buon gramsciano, a partire da Stracciafoglio, Sanguineti si prefigge lo scopo di «lavorare astutamente in bilico tra decostruzione e ricostruzione dell’io; ovvero costruirsi un sosia paradigmaticamente proteso a superare quei limiti borghesi dai quali siamo inizialmente partiti» (Antonio Pietropaoli 1991, 102).
La gestazione che porta alla liberazione della nuova identità si compie con Cataletto, il nuovo smilzo ciclo di tredici componimenti. Il penultimo testo, in particolare, è considerato da molti critici essenziale per la definizione di questa fase della poesia sanguinetiana:

a domanda rispondo:
lo ammetto, ho messo in carte, da qualche parte, con arte, questa mia
storia così: faccio il pagliaccio in piazza, sopra un palco:

Il cataletto, ovvero la bara in cui ormai riposa il soggetto borghese, diventa contemporaneamente il trampolino di lancio della nuova identità di pagliaccio: questa trasformazione porta alla scoperta di una seconda natura, coincidente col corpo, che si giova sarcasticamente della caricatura dell’istituzione letteraria. Ma, per dirla in chiave adorniana, l’essenza antiborghese del nuovo personaggio può esistere solo se resta dialettica, ovvero se nega costantemente ciò con cui è in antitesi. Questo è il motivo per cui la voce del poeta ci viene spesso presentata come proveniente da una bara, da un pozzo, da una qualche profondità (come accadeva per il narratore del romanzo Il giuoco dell’Oca). Essere vivi come pagliacci significa essere morti come individui borghesi: simile al saltimbanco di Aldo Palazzeschi, il sabotatore sanguinetiano non può che dissacrare cinicamente i consueti attributi di purezza e incontaminazione, a partire dalla propria stessa consistenza. Ci troviamo di fronte a un individuo rovesciato, in cui «l’esistenza stessa della vita psichica è di colpo cancellata, giacché il poeta lascia sopravvivere soltanto la corporalità» (Fausto Curi 2001, 65).
Questa svolta tematica coincide con una novità prosodica che andrà rafforzandosi fino a divenire la vera e propria nuova maniera sanguinetiana: l’insistenza sul piano del significante, che riutilizza misure metriche tradizionali e si abbandona volentieri a veri e propri bisticci linguistici. Si tratta di una narrazione poetica in cui ogni sintagma sembra rovesciarsi costantemente nell’altro, in un giuoco fonetico ricco di paronomasie, allitterazioni, omoteleuti, assonanze e rime interne. L’abbassamento stilistico e divertito è però frutto di una sapiente elaborazione sotterranea. Il progetto implicito in questa prassi è chiaro: da ora in poi la poesia potrà darsi solo sottoforma di giuoco, pur trattandosi di un giuoco elaboratissimo e dissacrante. Al convegno di Palermo del 1984 su ­Il senso della letteratura Sanguineti esponeva i cardini della nuova poetica concentrandosi sul concetto di «odio al poetese» e di sabotaggio letterario, realizzato non in senso anti-letterario ma, paradossalmente, grazie a un supplemento di letteratura. Tutta la produzione successiva a Cataletto sarà pertanto dominata da questa componente fortemente ludica ma regolamentata.

4.Il sabotatore e il giuoco poetico
Il volume Segnalibro (Feltrinelli, 1982) raccoglie tutti i testi poetici sanguinetiani dal 1951 al 1981: l’ultima sezione, Fuori catalogo, include poesie d’occasione e componimenti variamente pubblicati su riviste o plaquette in collaborazione con amici musicisti e pittori. Nonostante il rigido schematismo di cui spesso soffrono, alcuni di questi testi sono decisivi per comprendere gli elementi fondamentali della successiva poesia di Sanguineti: innanzitutto la sperimentazione metrica e formale, da intendersi ovviamente come smascheramento dell’artigianalità del fare poetico; quindi la presenza di una forte componente ideologica, didattica e polemica contro l’egemonia del cosiddetto «pensiero unico». Questi elementi già sono visibili nelle raccolte feltrinelliane immediatamente successive a SegnalibroBisbidis (del 1987, che contiene CodicilloRebusL’ultima passeggiata, omaggio a Pascoli e Alfabeto apocalittico) e Senzatitolo (del 1992, che riunisce GlosseNovissimum TestamentumEcfrasiMauritshuisBallateFanerografie e Omaggio a Catullo). La produzione dei due volumi è suddivisibile in tre percorsi fondamentali: il primo, che muove dalla versificazione libera propria di Cataletto e si concentra sui temi dello smembramento corporeo e della povertà poetica; il secondo, che si compone di testi d’occasione e punta alla complicazione formale grazie al ricorso a misure tradizionali (endecasillabi, novenari, sonetti, ballate, quartine, acrostici); il terzo, infine, che associa alla ricerca metrica una forte presa di posizione ideologica e morale.
Il percorso della versificazione libera passa per CodicilloRebus e Glosse: queste sezioni lasciano essenzialmente inalterato il tessuto verbale di Cataletto, ma ne incrementano l’omofonia regolata dall’aggiunzione ripetitiva. La sensazione è quella di uno scivolamento continuo del linguaggio misto a un ricco gonfiamento lessicale, al punto da poter chiamare in causa il manierismo e il barocco. I componimenti di Codicillo, in particolare, non si distaccano dalle tematiche dello smantellamento corporeo e dell’insufficienza della poesia trattata in modo metapoetico: la novità consiste però in un piccolo nucleo di testi che dissacrano gli eccessi, i miti e i riti della neonata società dello spettacolo. La sola strada critica percorribile nel presente è quella di una lenta e paziente ridicolizzazione dell’esistente, in un mondo che sembra azzerare qualsiasi manifestazione di antagonismo: si affaccia qui il tema del postmoderno, che sarà approfondito in sede di dibattito dal Gruppo 93 e verrà sempre strenuamente combattuto da Sanguineti sotto le insegne provocatorie del rimbaudiano motto «bisogna essere assolutamente moderni». Un’altra novità la si può scorgere nella sezione Rebus, in cui alcuni testi si presentano sotto forma di veri e propri giuochi enigmistici, con tanto di chiave e di illustrazione didascalica. Eccoci di fronte a una benjaminiana allegoria della poesia tout court, intesa come enigma da decifrare piuttosto che come mistero da cogliere intuitivamente:

esamina (se vuoi sapere, in sogno, dove sono) questi brutti (10,11), questi
[orrendi
anatroccoli da fatua fiaba, contrassegnati da un’N, da una T: (corrono a
[nuoto,
quieti, verso un adulto chiaramente occulto):

Nonostante le invenzioni formali, in questo primo percorso di ricerca si percepisce un sottofondo dilagante di sconforto per la perdita del potere della parola poetica, costretta a divenire mero giuoco linguistico, mero bisbiglio anonimo: accanto all’apoteosi carnevalesca del sabotatore e del pagliaccio in piazza viene ad affacciarsi un neonato senso del tragico che sempre più si mescolerà alla critica della società esistente, invasa dalle comunicazioni di massa.
Il secondo percorso, quello del giuoco poetico, emerge a partire da L’ultima passeggiata (omaggio a Pascoli), redatta nel 1982 in occasione di un intervento alle celebrazioni del settantesimo anniversario della morte del poeta. Qui ci troviamo di fronte a un vero e proprio travestimento, cioè a un procedimento straniante di riscrittura che trasporta l’originale in un nuovo contesto. Nel confrontarsi col modello delle Myricae Sanguineti muove dal lessico pascoliano ma ne stravolge completamente il senso: anziché essere luoghi incontaminati da «fanciullino», le uniche schegge di realtà che sopravvivono nel testo sono intimamente contaminate e macchiate dal declino storico. Sanguineti mette in campo proprio ciò che Giovanni Pascoli reputa impoetico: come nota Tommaso Pomilio, si assiste qui ad una «sostanziale estremizzazione e dunque sovversione del procedimento pascoliano. L’umanizzazione del paesaggio, così strutturante per l’opera di Pascoli, vertiginosamente si trasmuta in una anatomizzazione del paesaggio» (Luigi Giordano 1991, 242). Nuovamente è in scena il corpo, guidato da una furia erotica ed esploratrice di ogni suo risvolto; finanche la tendenza mimetica ed onomatopeica di Pascoli viene assorbita nello stile basso-oniroide sanguinetiano, da cantilena popolare. La prassi del travestimento si rinnoverà anche in altri omaggi a poeti antichi o stranieri: è il caso soprattutto dell’Omaggio a Catullo del 1986, dove il contenuto licenzioso dei versi del poeta latino viene trasposto nel presente e sottolineato dallo scorrere di endecasillabi pieni di frasi proverbiali e gergali, di zeppe e di errori sintattici. Ma è il caso anche di tante altre traduzioni teatrali, narrative o poetiche, più o meno travestite, che costellano la produzione sanguinetiana.
Il giuoco poetico continua anche nella sperimentazione formale di MauritshuisEcfrasi e Fanerografie: la maggior parte dei testi sono poesie d’occasione dedicate ad amici artisti, spesso in forma d’acrostico. In genere, domina la tecnica della catalogazione con un certo gusto surrealista per l’accostamento onirico di figure inusitate, in specie quando si tratta di testi destinati ad hoc a cicli pittorici. Ma domina anche un senso carnevalesco della lingua che, oltre a mescolare alto e basso, racimola il proprio lessico da una molteplicità di vocabolari differenti e lo inserisce in compatti schemi metrici. Più che nelle raccolte precedenti, assistiamo qui a una copiosa esplorazione di testi e autori antichi e moderni, da cui vengono estratte citazioni nemmeno tanto velate. Non parliamo solo di travestimenti o imitazioni, ma di componimenti costruiti quasi totalmente su di un sostrato citazionistico: si ricordino almeno Requiem italiano o Erothypnomachia, che si presentano sotto forma di attraversamenti di macerie linguistiche. Come s’era osservato per CodicilloRebus e Glosse, la realtà sociale degli anni Ottanta appare ormai intimamente compromessa: c’è un presentimento della catastrofe e un senso di sconforto per lo sfacelo in cui è sprofondato il mondo. La lingua iperletteraria di Sanguineti interviene proprio a insistere su questa condizione lacerata, tentando di sfruttarla al massimo per fini propriamente politici. Questa è la distanza enorme che separa il postmoderno da Sanguineti: deflagrata la storia e scomparse le ideologie, il postmoderno crede che ogni frammento del passato e del presente sia citabile in modo indiscriminato per esaltare apologeticamente la nuova condizione di presunta liberazione dei linguaggi. Sanguineti invece, pur convinto dello scacco dell’ideologia avanguardistica, mostra di aver bene appreso la lezione di Walter Benjamin relativa all’uso politico e polemico del frammento. I detriti recuperati dalla realtà e ricontestualizzati hanno la funzione di fornire un senso diverso alla storia scritta dai vincitori. A tale proposito Pietropaoli nota come in Factum est, costruito su brani dell’Apocalisse di Giovanni, i frammenti letterari vengano sottoposti «a forme di restauri stranianti al fine di estorcere loro una promessa di progettazione del futuro» (Pietropaoli 1995, 438). L’apice di questa prassi è elaborata con l’ultima sezione di Bisbidis, l’Alfabeto apocalittico del 1982: questo tour de force linguistico è probabilmente il limite massimo del rapporto tra sfigurazione intraverbale, schematismo metrico e unità semantica della parola. L’apocalisse cui il titolo allude è propriamente l’esplosione finale del linguaggio referenziale: la ricerca verte infatti non tanto su di una lingua automaticamente inconscia, magari satura di nonsense, quanto piuttosto su di un linguaggio costretto a crearsi da sé le proprie regole. Già Vittorio Spinazzola sottolineava che «la crisi della convenzioni linguistico-letterarie è davvero sintomo e prodotto d’una crisi generale di civiltà che investe tutti i rapporti dell’individuo con se stesso e con il mondo» (Spinazzola 1989, 16). Ne viene fuori una composizione che rimanda all’assolutamente negativo, dove proprio il linguaggio conduce per mano alla nullificazione dell’essere. La reiterazione delle iniziali è tutta compressa nel rigoroso schema di endecasillabi a rima baciata, al punto da far quasi esplodere fuori il potenziale semantico:

tutto il tartareo trono è tuoni & trombe,
toccheggiano & tocsinano le tombe:
tintinnano, tra i tonfi, le teorie,
tremano le tremende tricromie:
tiroidite ti tiene con trombosi,
tricosi & tifo con tubercolosi:
ti trottano le tenie, & i tic, & i trac,
traumi & tumori, è il tempo del tuo tac:

Nel 2002, le raccolte poetiche finora esaminate confluiranno nel volume feltrinelliano Il gatto lupesco, che completa l’opera di Segnalibro riunendo tutta la produzione poetica sanguinetiana dell’ultimo ventennio. Questa seconda macro-raccolta include le nuove sezioni di Corollario (Feltrinelli, 1997) e Cose (Pironti, 1999, in versione parziale). Anche qui le tecniche dominanti sono l’omofonia e il giuoco poetico, che raggiungono però una sorta di stabilizzazione tematica e formale, peraltro già visibile a partire dalla strutturazione interna: ciascuna raccolta si compone infatti di un ciclo eponimo e di un nucleo di testi d’occasione, rispettivamente intitolati Stravaganze (1992-1996) e Poesie fuggitive (1996-2001). I contenuti dei cicli eponimi non presentano grosse novità rispetto a Rebus o Glosse: vi ritroviamo i consueti temi del resoconto quotidiano, del dismembramento anatomico, dell’erotismo e dell’amore visti da un’ottica corporea. È però interessante notare come, a un livello espressivo, il discorso poetico adotti un certo plurilinguismo e si frantumi in modo straniante, scompaginando la lettura agevole a cui le ultime raccolte ci avevano abituato: sembra quasi di tornare indietro nel tempo, agli anni Sessanta di Purgatorio de l’Inferno. Le vere novità poetiche vanno semmai rilevate nei giuochi linguistici, ovvero nei nuclei di poesie d’occasione: non tanto per l’adozione di nuove forme chiuse o di tecniche particolari (di inedito c’è solo l’haiku), quanto piuttosto per l’assunzione di codici mediatici e per la trattazione di miti, realtà ed eventi cronachistici del mondo globalizzato. Il linguaggio e i temi delle comunicazioni telematiche o televisive vengono introiettati e riadattati in senso polemico. È il caso di alcuni testi (quali, ad esempio, Malebolge 1994Filastrocca doc e dop e FILM/A/TO) il cui obiettivo è informare i lettori della barbarie in cui versa la società borghese. Questa componente tendenziosa, che affonda le origini in Triperuno, costituirà il punto di congiunzione tra il secondo e il terzo percorso di ricerca sanguinetiano, quello della poesia didattica e politicamente antagonista.

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5. La poesia didattica di Sanguineti
L’istanza allegorica e morale, a partire da un sostrato fortemente figurativo, solca tutte le sezioni de Il gatto lupesco. Se in Alfabeto apocalittico il senso di tragedia sociale investe primariamente il piano dell’espressione, già in Fanerografie si avverte il recupero di una certa ideologia esplicita volta a mostrare al lettore le contraddizioni della società esistente e contemporaneamente a educarlo a valori alternativi. Non è un caso che tra il 1987 e il 1997 Sanguineti pubblichi più d’un testo critico su questioni gramsciane, in particolar modo a proposito del concetto di egemonia culturale ai tempi della globalizzazione. L’esigenza di educare il lettore a una maggior coscienza ideologica, d’altronde, affonda le radici già negli anni Sessanta, nei saggi di Ideologia e linguaggio e nelle «favole didattiche» (Tibor Wlassics 1974, 1929).
Si è già accennato alla presenza di critica politica nei testi di Fuori catalogo: è il caso innanzitutto di alcune prove quali Vota comunistaLe ceneri di Pasolini e Ballata delle Controverità. I componimenti degli anni Ottanta ripartono proprio da quel potenziale e si condensano sempre più spesso in illustrazioni esemplari di dinamiche o di contraddizioni sociali, in particolar modo mescolandosi alla sperimentazione formale nelle raccolte poetiche d’occasione. La capacità di persuasione di questi testi trova la propria efficacia soprattutto nell’adozione di un impianto figurativo fortemente comunicativo: le otto Ballate raccolte in Senzatitolo, ad esempio, sono vere e proprie allegorie del potere in ogni sua forma, ma si presentano anche come esaltazione materialistica dell’esistenza contro ogni sua falsificazione ideologica. Molto forte è l’influsso teorico e poetico di Bertolt Brecht, che permette di modellare il realismo allegorico innestandolo su di un tessuto altamente icastico; ma altrettanto lo è la lezione dantesca, cui Sanguineti ha dedicato lunghi anni di studi e ricerche. Il punto di riferimento, più che il concetto statico e rigido di «figura», è semmai quello di exemplum, ovvero quel tipo di allegoria morale nato con le origini del cristianesimo e divenuto nel Medioevo strumento di edificazione, che stimola alla riflessione e invita il lettore all’azione. La didattica dei componimenti sanguinetiani agisce dunque attraverso la dimostrazione di alcuni teoremi e la proposta di valori alternativi, utilizzando un lessico e un materiale tematico che appartengono a un altro contesto. Si prenda ad esempio una sola strofa della Ballata del vento:

l’apostolo romano vaticano
triplice tiara si sostiene in testa:
all’angelo cornuto fa la festa,
ma muore come muore il sacrestano:
quando ha esaurito tutte le sue preci,
via se ne va con vento forza dieci:

Gli endecasillabi dall’andatura favolistica e rattoppata, ma non per questo incomprensibile, trasfigurano il patrimonio iconografico medievale attribuendogli un senso polemico e tendenzioso tutto contemporaneo. Come accade per altri autori del secondo Novecento (si pensi a Pasolini, Edoardo Cacciatore o Nanni Balestrini), la forma lirica e avvolgente per eccellenza viene rifunzionalizzata in vista della protesta sociale e ideologica: ma è proprio la grande comunicabilità del verso poetico a tracciare un affresco etico e a permettere la lettura critica della storia, altrimenti impossibile.
Qualcosa di simile accade anche in Novissimum Testamentum (Manni, 1986), considerato da molti critici come summa del pensiero e della prassi poetica sanguinetiana. Nelle prime strofe l’autore dichiara di rinunciare al mondo e di comporre il poemetto a mo’ di lascito esistenziale. In realtà, la presunta eredità testamentaria rivela ben presto la sua natura beffarda: nessuna verità è regalata al lettore, che riceve al limite l’insegnamento di un modus vivendi critico, ovvero di un metodo di pensiero fondato sulla diffidenza rispetto ai falsi valori dell’assetto sociale vigente. Sanguineti, ancora una volta, promuove un’anti-morale clownesca che ben ha cognizione della miseria in cui versa il mondo:

ma non vi lascio che non dico, prima,
quel diabolico detto in storta rima:
ho visto venti e quattro gambe crescere,
in sei stalloni, a uno sgorbio di storpio:
per oro, farsi un ridere di un gemere,
per oro, orrenda orchessa farsi Venere:
e farsi paradiso un cimitero,
e fiasco un fischio, e il falso farsi vero:

A parte la trasformazione delle ottave classiche dal sapore epico in un’invettiva tutta carnevalesca e corrosiva, c’è da sottolineare il carattere affatto saltellante degli endecasillabi rimati, pieni di assonanze, allitterazioni, figure del significante, voci gergali, errori sintattici e frasi proverbiali. Il tono che sarebbe più confacente a un testamento poetico (si pensi al Congedo del viaggiatore cerimonioso di Giorgio Caproni) è da Sanguineti scompaginato e trasformato in una «tiritera» cantilenante. Come già notava Filippo Bettini nell’introduzione alla prima edizione del poemetto, ogni elemento retorico è tutto teso a rovesciare il senso del concetto di testamento e ad esprimere l’insufficienza della poesia in un mondo mercificato e ridotto ormai a puro valore di scambio. La costruzione singhiozzante eppure piena di riferimenti coltissimi, a un tempo dissacra l’esistente letterario e informa di rinnovato giudizio etico. Ne viene fuori dunque un anti-testamento spirituale, stoico ed epicureo, condotto attraverso un verseggio basso-popolaresco e mirato a enunciare il senso della vanità dell’esistenza. Probabilmente è questa una delle più incisive risposte poetiche fornite, nell’ultimo ventennio del Novecento, alle presunte previsioni della fine della modernità.
Tutta la produzione successiva alla pubblicazione di Novissimum Testamentum risentirà della tematica testamentaria e si presenterà in qualche modo come «postuma». L’approssimarsi del nuovo millennio è in effetti il tempo della piena maturità: oltre alla pubblicazione di traduzioni, travestimenti teatrali, testi per musica, de Il gatto lupesco e della recentissima antologia poetica personale Mikrokosmos, Sanguineti abbandona nel 2000 l’insegnamento universitario. Il professore-poeta, l’avanguardista accademico, l’eversore inserito nelle istituzioni sente ormai di poter tirare le somme di oltre un cinquantennio di vita e di esperienza poetica, vissuta sempre in modo volutamente contraddittorio, proprio perché è la contraddizione a impedire l’acquiescenza e a generare il pensiero dialettico e antagonista. La produzione sanguinetiana, partendo da premesse avanguardistiche, attraversa in realtà tutte le difficoltà della poesia italiana e, in generale, della comunicazione letteraria del secondo Novecento. I problemi del discorso poetico sanguinetiano sono poi gli stessi della grande modernità. Questo è il motivo per cui appare attesa e imprevista, al tempo stesso, la celebrazione della Neoavanguardia 40 anni dopo, che ha ovviamente il sapore d’un rinnovato e antichissimo testamento:

niente rinnego e di tutto mi pento,
me stesso mi sconfesso e mi confermo,
sono ghiaccio bollente e incendio spento:
ero un altro, ma identico, a Palermo:
tremulo scoglio al più flebile vento,
vegliardo infante, palestrato infermo:

[idea]Bibliografia[/idea]Opere poetiche di Edoardo Sanguineti
L’intera produzione sanguinetiana fino al 2001 è disponibile in due «raccolte di raccolte»: Segnalibro. Poesie (1951-1981), Milano, Feltrinelli, 1982 e Il gatto lupesco. Poesie (1982-2001), Milano, Feltrinelli, 2002. Si rimanda al testo del ritratto critico per il chiarimento delle vicende editoriali e della composizione dei volumi. Ad essi vanno aggiunte le antologie: Opere e introduzione critica, Verona, Anterem, 1993 e Mikrokosmos. Poesie (1951-2004), Milano, Feltrinelli, 2004, che include la sezione di poesie inedite Varie ed eventuali (2001-2004).
Vanno infine segnalate le due celebri antologie collettive che contengono testi di Sanguineti: Alfredo Giuliani (a cura di), I Novissimi. Poesie per gli anni ’60, Torino, Einaudi, 1972 e Nanni Balestrini e Alfredo Giuliani (a cura di), Gruppo 63. L’antologia, Torino, Testo & Immagine, 2002.

Studi critici di carattere generale su Sanguineti
Tra i principali saggi sulla poesia e la poetica, in volume o su rivista, si segnalano: Luciano Anceschi, Le poetiche del Novecento in Italia, «Il Verri», n. 1, 1962; Alberto Arbasino, Sanguineti-poesie, «Corriere della Sera», 3 agosto 1972; Elisabetta Baccarani, La poesia nel labirinto. Razionalismo e istanza “antiletteraria” nell’opera e nella cultura di Edoardo Sanguineti, Bologna, Il Mulino, 2002; Giorgio Bàrberi Squarotti, La poesia del Novecento, Caltanissetta-Roma, Sciascia, 1985; Renato Barilli, Viaggio al termine della parola. La ricerca intraverbale, Milano, Feltrinelli, 1981; Fausto Curi, Metodo, storia, strutture, Torino, Paravia, 1971, Parodia e Utopia, Napoli, Liguori, 1987 e Struttura del risveglio. Sade, Sanguineti, la modernità letteraria, Bologna, Il Mulino, 1991; Umberto Eco, Notizia su Edoardo Sanguineti, «Il Menabò», n. 5, 1962; Enrico Falqui, Novecento letterario italiano, Firenze, Vallecchi, vol. I, 1973; Gian Carlo Ferretti, Sanguineti, «Rendiconti», nn. 11-12, 1965; Giulio Ferroni, Storia della letteratura italiana. Il Novecento, Torino, Einaudi, 1991; Elio Gioanola, Poesia italiana del Novecento, Milano, Librex, 1986; Luigi Giordano (a cura di), Sanguineti. Ideologia e linguaggio, Salerno, Metafora, 1991; Niva Lorenzini, Il presente della poesia (1960-1990), Bologna, Il Mulino, 1991 e Poesia del Novecento italiano. Dal secondo dopoguerra a oggi, Roma, Carocci, vol. II, 2002; Romano Luperini, Il Novecento. Apparati ideologici, ceto intellettuale, sistemi formali nella letteratura italiana contemporanea, Torino, Loescher, vol. II, 1981; Giuliano Manacorda, Storia della letteratura italiana contemporanea (1940-1996), Roma, Editori Riuniti, 1996; Pier Vincenzo Mengaldo, Poeti italiani del Novecento, Milano, Mondadori, 1996; Antonio Pietropaoli, Unità e trinità di Edoardo Sanguineti. Poesia e poetica, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 1991 e (a cura di), Per Edoardo Sanguineti: good luck (and look), Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 2002; Silvio Ramat, La pianta della poesia, Firenze, Vallecchi, 1972; Gabriella Sica, Edoardo Sanguineti, Firenze, La Nuova Italia, 1974; Giacinto Spagnoletti, La letteratura italiana del nostro secolo, Milano, Mondadori, vol. III, 1985; Adriano Spatola, Poesia del Novecento, «Quindici», n. 19, 1969; Tibor Wlassics, Edoardo Sanguineti, in Gianni Grana, Letteratura italiana. I contemporanei, Milano, Marzorati, vol. VI, 1974.

Tra le numerose interviste e dichiarazioni poetiche rilasciate da Sanguineti si segnalano in particolare: Ferdinando Camon, Il mestiere di poeta, Milano, Lerici, 1965; Fabio Gambaro, Colloquio con Edoardo Sanguineti. Quarant’anni di cultura italiana attraverso i ricordi, Milano, Anabasi, 1993; Giulio Nascimbeni (a cura di), Questa mia poesia si può leggere così, «Corriere d’informazione», giugno 1964; Edoardo Sanguineti, Per chi si scrive un romanzo, per chi si scrive una poesia, «Rinascita», 5 gennaio 1968.

Studi critici su aspetti specifici dell’opera sanguinetiana
Sui rapporti con la Neoavanguardia: Luciano Anceschi, Di un’antologia impaziente, «Il Verri», nn. 33-34, 1970; Alberto Asor Rosa, Intellettuali e classe operaia, Firenze, La Nuova Italia, 1973; Renato Barilli e Angelo Guglielmi (a cura di), Gruppo 63. Critica e teoria, Torino, Testo & Immagine, 2003; Michel David, L’ultima generazione: sperimentali “novi” e “novissimi”, in La psicoanalisi nella cultura italiana, Torino, Boringhieri, 1966; Roberto Esposito, Le ideologie della Neoavanguardia, Napoli, Liguori, 1976; Angelo Guglielmi, Avanguardia e sperimentalismo, Milano, Feltrinelli, 1964; Guido Guglielmi, Controrealismo dei Novissimi, «Rendiconti», nn. 4-5-6, 1962; Niva Lorenzini, Eliot e i “Novissimi”, «Nuova Corrente», n. 103, 1989; Massimiliano Manganelli, Lo spettro del surrealismo: Sanguineti e l’avanguardia storica, «Avanguardia», n. 6, 1997; Pier Paolo Pasolini, Il neosperimentalismo, «Officina», n. 5, 1956; Giovanni Raboni, A proposito dei Novissimi, «Aut aut», n. 65, 1961; Walter Siti, Il realismo dell’avanguardia, Torino, Einaudi, 1975; Ciro Vitiello, Teoria e tecnica dell’avanguardia, Milano, Mursia, 1984; Andrea Zanzotto, I Novissimi, «Comunità», n. 99, 1962.

Sulle raccolte poetiche incluse in Catamerone (1951-1971): Cecilia Bello, Il realismo di Purgatorio de l’Inferno, «Avanguardia», n. 1, 1996; Lidia Bertolini, Memoria del viaggio dantesco agl’Inferi in Pasolini e in Sanguineti, «Letteratura italiana contemporanea», n. 23, 1988; Giuseppe Cavatorta, Dall’Hermaphrodito al Laborintus: lasciti saviniani alla poesia della Neoavanguardia, «Studi novecenteschi», n. 58, 1999; Fausto Curi, Ordine e disordine, Milano, Feltrinelli, 1965 e La forma, l’informe, il deforme, «Lingua e stile», n. 3, 1973; Guido Davico Bonino, Con Sanguineti dentro il caos, «La Stampa», 12 maggio 1972; Costanzo Di Girolamo, Wirrwarr, «Belfagor», n. 4, 1972; Elio Gioanola, Psicanalisi, ermeneutica e letteratura, Milano, Mursia, 1991; Stefano Giovanardi, Di alcuni inserti ritmici nella poesia di Edoardo Sanguineti, «Quaderni di critica», n. 1, 1973; Alfredo Giuliani, Laborintus, in Immagini e maniere, Milano, Feltrinelli, 1965; Guido Guglielmi, Ironia e negazione, Torino, Einaudi, 1974; Armando La Torre, Letteratura e comunicazione, Roma, Bulzoni, 1971; Francesco Leonetti, Un’analisi semantica: Sanguineti, «Paragone», n. 124, 1960; Niva Lorenzini, L’“effettuale ragione pratica” della poesia nel “Catamerone” di Sanguineti, in Il laboratorio della poesia, Roma, Bulzoni, 1978; Pier Paolo Pasolini, Recensione a Sanguineti, «Il Punto», 22 dicembre 1956; Walter Pedullà, Edoardo Sanguineti. La poesia verso la prosa, in La letteratura del benessere, Roma, Bulzoni, 1963; Silvio Ramat, Recensione a “Triperuno”, «La Nazione», 5 gennaio 1965; Erminio Risso, Un nuovo fabbro per nuove questioni di fabbricazione. Cinque bagattelle per Laborintus, «Poetiche», n. 1, 2000; Luciana Rogozinski, Un poeta sotto l’intonaco: “Reisebilder” di Sanguineti, «Altri termini», n. 11, 1976; Amelia Rosselli, Recensione a “Wirrwarr”, «Il Verri», n. 1, 1973; Giovanni Sechi, Il risultato differito dell’opera letteraria. (In margine a una lettura non sistematica della poesia di Edoardo Sanguineti), «Nuova corrente», n. 70, 1976.

Sulle opere poetiche successive (1972-2001): Epifanio Ajello, Le cartoline di Sanguineti, «Allegoria», n. 38, 2001; Filippo Bettini, La “scrittura materialistica” di Edoardo Sanguineti, «L’ombra d’Argo», nn. 1-2, 1983; Raffaele Cavalluzzi, Corollari di Sanguineti, «Critica letteraria», n. 108, 2000; Fabio Gambaro, Continuità e discontinuità nella poesia di Sanguineti: il caso di Novissimum Testamentum, «Testuale», n. 7, 1987; Niva Lorenzini, Scartabellando Sanguineti: anatomia di una scrittura mise à nu, «Il Verri», nn. 26-27, 1982; Antonio Pietropaoli, Sanguineti Angelus Novissimus, «Lingua e stile», n. 2, 1995; Corrado Ruggiero, L’ultimo Sanguineti, «Problemi», n. 60, 1981; Vittorio Spinazzola, “Bisbidis”, il mormorio dell’esistenza, «Autografo», n. 17, 1989; Luigi Weber, Traducendo Pascoli: la passeggiata “novissima” di Edoardo Sanguineti, «Poetiche», n. 1, 2000.

[info_box title=”Angelo Petrella ” image=”” animate=””]è nato a Napoli nel 1978, dove vive. Scrittore, poeta, traduttore e sceneggiatore, ha studiato presso le università di Roma, Parigi e Siena, conseguendo un dottorato di ricerca in letteratura italiana. Si è occupato dell’opera di Pirandello, della poesia delle neoavanguardie e del postmoderno, pubblicando saggi in riviste e volumi collettivi. Suo è il volume Gruppo 93. L’antologia poetica (Zona 2010). Come narratore ha pubblicato, tra gli altri, i romanzi Cane rabbioso (Meridiano zero 2006), La città perfetta (Garzanti 2008) e Pompei. L’incubo e il risveglio (Rizzoli 2014). Le sue poesie sono raccolte in Vogliamo niente e lo vogliamo adesso! (Zona 2015). Ha collaborato con giornali e riviste quali “Vanity Fair”, “Il Mattino” e “la Repubblica”. Nel giugno 2017 uscirà per Baldini&Castoldi il suo nuovo romanzo, la spy-story internazionale Operazione Levante.[/info_box]