Nel postumo “Petrolio” la chiave del delitto Pasolini, di Carla Benedetti

Carla Benedetti, docente di Letteratura italiana contemporanea all’Università di Pisa, tra le sue tante pubblicazioni, è coautrice con Giovanni Giovannetti del libro Frocio e basta, ripubblicato nel 2016 in una nuova versione aggiornata per Effigie. Il lavoro, oltre ad una acuta analisi testuale dell’antiromanzo di Pasolini Petrolio, uscito postumo nel 1992, rintraccia in quelle pagine la chiave del delitto all’Idroscalo di Ostia, rivendicato apertamente a una matrice politica.
Una tesi, sostenuta da anni, su cui la studiosa si è soffermata anche nell’articolo uscito sul “Piccolo” di Trieste il 2  dicembre 2016, a ridosso dell’incontro avvenuto nello stesso giorno al festival Cormonslibri che si tiene ogni anno nella cittadina di Cormons, in provincia di Gorizia.

“Petrolio” di Pasolini: un j’accuse a Cefis nascosto per 17 anni
di Carla Benedetti

http://ilpiccolo.gelocal.it/ – 2 dicembre 2016

Quando fu ucciso, Pier Paolo Pasolini stava ultimando un romanzo assai singolare, sia per la forma che per i contenuti. Lo aveva intitolato Petrolio, folgorato da questa parola mentre leggeva un articolo di giornale. Da poco c’era stata la prima “crisi petrolifera” e l’oro nero, il Vello d’oro di oggi, per il quale si fanno guerre e viaggi in Oriente, come quello che fece Giasone con gli Argonauti (l’associazione tra l’oggi e il mito è in Petrolio), arroventava gli affari e la politica.
Enrico Mattei presidente dell’Eni (Ente Nazionale Idrocarburi) era stato fatto morire in un finto incidente aereo. Gli era succeduto Eugenio Cefis che di lì a poco si lanciò anche nel settore petrolchimico, scalando la Montedison con fondi pubblici, e diventandone presidente. Molte altre morti misteriose funestavano il paese, tra cui quella di Mauro de Mauro, giornalista dell’”Ora” di Palermo che aveva fatto indagini sull’omicidio di Mattei. Nel frattempo scoppiavano bombe e divampava la “strategia della tensione”. Nasce allora anche la famigerata loggia P2, con il suo programma spregiudicato e criminale di controllo del potere attraverso i media e le stragi. Cefis ne era stato il fondatore.

"Petrolio" di Pier Paolo Pasolini. Copertina
“Petrolio” di Pier Paolo Pasolini. Copertina

Di tutto questo parla Petrolio, anche se in una forma altamente sperimentale che mischia elementi di cronaca e forma allegorica. Parla dell’Eni, considerato non una semplice azienda statale ma “un topos del potere”. Parla delle bombe, dei sicari, delle due fasi dello stragismo e dell’omicidio di Mattei, qui per la prima volta attribuito non alle multinazionali del petrolio ma a una regia tutta italiana di cui proprio Cefis tiene le fila. Vi compare infine Cefis stesso, chiamato Troya, con tutto il suo impero privato accumulato con fondi pubblici, con tutte le sue aziende e relativi prestanomi. E inchiodato a tutte le sue responsabilità: nell’omicidio di Mattei, nello stragismo e persino nel suo ambiguo passato partigiano. Egli è nel romanzo l’emblema della «mutazione antropologica» della classe dirigente, cioè il passaggio da un potere di stampo clerico-fascista a un nuovo potere, multinazionale, tollerante e criminale-mafioso. Per questo Pasolini dà molta importanza a tre discorsi di Cefis, che tiene tra le carte di Petrolio e che intende inserire nel romanzo così come sono. Uno in particolare, intitolato La mia patria si chiama multinazionale, secondo Pasolini, avrebbe raccontato in modo palese ciò che stava succedendo in Italia, e di cui anche l’opposizione di sinistra stentava a rendersi conto.
Ma Pasolini fu fermato prima di poter rendere pubblico questo suo insolito romanzo. Al momento della morte ne aveva però già scritte 600 pagine e il disegno dell’opera era già tutto delineato, tanto che, una volta pubblicato, è stato non solo letto e apprezzato, ma anche tradotto in molte lingue.
Ebbene, proprio questo romanzo, che molti oggi considerano uno dei capolavori del ’900, è stato sottratto ai lettori per ben 17 anni. Prima di pubblicarlo si è aspettato quasi due decenni, un cambio di generazione. Eppure già allora gli editori avrebbero fatto a gara per pubblicarlo. Si trattava di un inedito di Pasolini, scrittore e cineasta notissimo in Italia e all’estero, per di più assassinato: e non in uno di quei paesi dove gli intellettuali rischiano spesso la morte o la deportazione, ma in un paese moderno e democratico, a Roma, in Europa! Perché tanto ritardo? Gli eredi hanno forse avuto paura? Di chi?
Ma ancora più incredibile è che questa opera, occultata per 17 anni, al momento della pubblicazione sia stata anche amputata di una sua parte importante. Oltre a un capitolo di cui non si sa più niente, intitolato Lampi sull’Eni, e di cui non rimane nel romanzo che il titolo e una pagina bianca, in tutte e tre le edizioni a stampa di Petrolio mancano i discorsi di Cefis. Eppure essi erano accessibili ai curatori. Ancora oggi sono conservati tra le carte di Pasolini al Gabinetto Vieusseux, dove Giovannetti e io li abbiamo trovati per pubblicarli nel nostro libro Frocio e basta. Pasolini aveva persino indicato il punto esatto del romanzo in cui andavano collocati: «Inserire i discorsi di Cefis: i quali servono a dividere in due parti il romanzo in modo perfettamente simmetrico e esplicito». Perché nessuno dei curatori ha rispettato le indicazioni dell’autore? Qualcuno lo ha impedito?
E allora facciamo un esercizio di fantasia. Immaginiamo che Petrolio arrivi in libreria un anno o due dopo la morte di Pasolini, quando ancora il suo brutale omicidio è fonte di sconcerto e oggetto di attenzione mediatica. E immaginiamo che al centro vi siano i discorsi di Cefis, che in quel tempo è ancora l’uomo più potente d’Italia. Cosa succederebbe? Il diciassettenne Pino Pelosi era stato da poco condannato “assieme a ignoti”, poi, in secondo grado, da solo, come unico colpevole. Con Petrolio in libreria, e il nome di Cefis così visibile, non sarebbe forse sorto spontaneo nella mente di molti un collegamento tra ciò che Pasolini andava scrivendo e il suo l’omicidio? O almeno sarebbe sorto un dubbio: e se la rissa tra lo scrittore omosessuale e il marchettaro minorenne, arrestato senza nemmeno una macchiolina di sangue sugli abiti dopo una colluttazione tanto violenta, e che i giornali e la televisione avevano subito accreditata, non fosse che una messa in scena per nascondere un altro tipo di delitto? Avrebbero detto ugualmente che Pasolini “se l’era andata a cercare”? O, come hanno scritto per decenni anche tanti letterati, che Pasolini andava cercando la morte ogni notte per le strade di Roma?
Agli inizi del 2016 Giulio Regeni è stato trovato cadavere al Cairo con addosso i segni inequivocabili della tortura. Tanti si sono giustamente indignati contro le autorità egiziane che cercavano di nascondere la verità su quella orrenda uccisione dietro la versione di comodo di un rapimento a scopo di lucro. Anche l’omicidio di Pasolini ebbe da subito la sua versione di copertura, non meno piena di contraddizioni. Solo che a differenza di quella che l’Egitto intendeva spacciare, a cui nessuno ha creduto in Italia, la versione ufficiale dell’omicidio di Pasolini convinse allora quasi tutti e ha retto per decenni, complici – forse inconsapevoli ma pur sempre complici – uomini di cultura e filologi del nostro Paese.
E ora vediamo come fu invece accolto Petrolio nel 1992, quando uscì per la prima volta e senza i discorsi di Cefis. Dopo che ne fu anticipata sui giornali la parte più scabrosa, le dieci fellatio del Pratone della Casilina, la maggioranza dei recensori si fissò sui soli aspetti sessuali del romanzo, omo- o sado-masochistici, arrivando persino a definirlo un insieme di “sconcezze d’autore” che sarebbe stato meglio lasciare impubblicate. Non una parola sull’Eni, sull’omicidio  di Mattei, sulla mutazione del potere, con buona pace di Eugenio Cefis. Di solito si censurano le parti scabrose di un testo. In quel caso si sono invece censurate le parti “politiche” con il risultato di far passare Petrolio per un libro “scabroso”.