La verità della storia: Pasolini e gli scontri di Valle Giulia del ’68, di Giovanni De Luna

Il Sessantotto in Italia iniziò in realtà nel 1966, quando un gruppo di studenti occupò la facoltà di Sociologia dell’Università di TrentoLe occupazioni universitarie diventarono la norma due anni più tardi e fu una di queste a causare la cosiddetta “battaglia di Valle Giulia”, uno scontro che coinvolse centinaia tra studenti e poliziotti. Questi i fatti: nei primi mesi del 1968, alla facoltà di Architettura della Sapienza di Roma, ospitata nella sede distaccata di Valle Giulia, nel centro di Roma, erano stati organizzati diversi eventi di “controcultura”: alla fine la facoltà era stata occupata dai “collettivi” di estrema sinistra e poi sgomberata alla fine di febbraio dalla polizia. Il primo marzo centinaia di studenti si radunarono per cercare di occuparla di nuovo. Arrivati davanti alla facoltà, si scontrarono con i poliziotti a cui era stato dato il compito di presidiarla. L’elemento che rese gli scontri di Valle Giulia così rilevanti fu la reazione degli studenti alle cariche della polizia, che portò in effetti a un aspro corpo a corpo tra i giovani e le forze dell’ordine. A fine giornata si contarono 148 feriti e 200 denunce.
Furono questi fatti che a botta calda ispirarono a Pasolini la celebre e provocatoria poesia  dal titolo Il PCI ai giovani!!. «Brutti versi», scrisse poi il poeta, che peraltro non fece uscire in seguito il testo in una raccolta poetica, ma solo tra le pagine saggistiche di Empirismo eretico, quasi fosse un pamphlet giornalistico. Da quel testo è discesa una raffica di fraintendimenti, orientati perlopiù a vedere nel poeta il fiancheggiatore dei poliziotti contro i borghesi “figli di papà”. Provvede a far chiarezza lo storico Giovanni De Luna, che si attiene ai testi, procede alla loro corretta contestualizzazione e soprattutto mette in guardia contro tutte le strumentalizzazioni che anche di recente continuano ad essere perpetrate ai danni del pensiero e della parola di Pasolini.

Ma Pasolini non stava con i poliziotti
di Giovanni De Luna

www.lastampa.it – 1 marzo 2018

Si è aperto una sorta di supermarket Pasolini. Ognuno prende dai suoi lavori quello che gli serve: brandelli di frasi, spezzoni di poesie, piegando le argomentazioni pasoliniane alle proprie strumentalizzazioni, distorcendone il senso, in un’operazione che somiglia molto al modo in cui oggi si confezionano le fake news.
Ma fu così anche 50 anni fa, quando ancora non c’era la Rete con le sue bufale. Fu subito dopo gli scontri di Valle Giulia, infatti, che Pasolini pubblicò, sull’Espresso del 16 giugno, la sua poesia Il Pci ai giovani!!. L’emozione suscitata dalle botte che erano volate il 1° marzo 1968 tra la polizia e gli studenti che avevano occupato la facoltà di Architettura era stata molto forte: dai moti antifascisti del luglio ’60 in poi, mai le forze dell’ordine erano state contrastate con tanta efficacia proprio sul piano della violenza fisica.
Mentre lo stesso movimento studentesco si mostrava come sbigottito dalla radicalità degli scontri e dalla sua stessa capacità di reazione, Pasolini sentì il bisogno di prendere posizione rispetto a una situazione politica che presentava aspetti largamente inediti. Lo fece a modo suo, con una poesia che oggi come allora appare tutta immediatezza e spontaneità.
Una poesia lunga che, nel discorso pubblico, fu precipitosamente etichettata come una invettiva contro gli studenti e una difesa dei poliziotti. L’invettiva c’era, esplicita fragorosa: «siete paurosi, incerti, disperati […] ma sapete anche come essere prepotenti, ricattatori e sicuri». E c’era anche la scelta a favore degli agenti: «Quando ieri a Valle Giulia avete fatto a botte coi poliziotti, io simpatizzavo coi poliziotti».

Gli scontri di Valle Giulia sulla stampa
Gli scontri di Valle Giulia sulla stampa

Ma se non ci si ferma a questi versi e si legge il seguito della poesia…
I versi che Pasolini dedica ai poliziotti sono esattamente questi: «E poi, guardateli come li vestono: come pagliacci, con quella stoffa ruvida che puzza di rancio, fureria e popolo. Peggio di tutto, naturalmente, è lo stato psicologico in cui sono ridotti (per una quarantina di mille lire al mese): senza più sorriso, senza più amicizia col mondo, separati, esclusi (in una esclusione che non ha eguali); umiliati dalla perdita della qualità di uomini per quella di poliziotti (l’essere odiati fa odiare)».
Vestiti come pagliacci, umiliati dalla perdita della qualità di uomini: no, Pasolini non «sta con i poliziotti», e non poteva essere altrimenti, viste le persecuzioni a cui era continuamente sottoposto. In quel momento, Pasolini sta con il Pci e sta con gli operai. E quella poesia è una sollecitazione per gli studenti a lasciarsi alle spalle la loro appartenenza borghese e andare verso il Pci e verso gli operai. Quando questo succederà, l’anno dopo, nel 1969, quello dell’autunno caldo, Pasolini accetterà di fare un film sulla strage del 12 dicembre, quella di piazza Fontana, insieme con i giovani di Lotta Continua. Ma questo nessuno lo ricorda.
Così come vengono ignorate le sue argomentazioni su fascismo e antifascismo, tanto da permettere a Salvini, in un comizio, di «usare» il poeta friulano per svelare «l’impostura» dell’antifascismo, tenuto in vita dalle sinistre per far dimenticare «i veri problemi del paese». Il ragionamento pasoliniano del 1974, quello da cui nascono le citazioni di Salvini, scaturiva dalla constatazione del successo ottenuto da due «rivoluzioni»: quella delle infrastrutture e quella del sistema di informazione. Le distanze tra centro e periferia si erano notevolmente ridotte grazie alle nuove reti viarie e alla motorizzazione; ma era stata soprattutto la televisione a determinare in modo costrittivo e violento una forzata omologazione nazionale, provocando un tramestìo che aveva colpito in alto come in basso, ridefinendo contemporaneamente gli assetti del potere e quelli dei suoi antagonisti.
Il nuovo Potere, nonostante le parvenze di tolleranza, di edonismo perfettamente autosufficiente, di modernità, nascondeva un volto feroce e repressivo e appariva, «se proprio vogliamo conservare la vecchia terminologia, una forma totale di fascismo al cui confronto il vecchio fascismo, quello mussoliniano, è un paleofascismo». «Nessun centralismo fascista», aggiungeva Pasolini, «è riuscito a fare ciò che ha fatto il centralismo della civiltà dei consumi. Il fascismo proponeva un modello reazionario e monumentale che però restava lettera morta. Le varie culture particolari (contadine, sottoproletarie, operaie) continuavano imperturbabili a uniformarsi ai loro antichi modelli: la repressione si limitava a ottenere la loro adesione a parole […]. Ora, invece, l’adesione ai modelli imposti dal centro è totale e incondizionata. I modelli culturali reali sono rinnegati – l’abiura è compiuta -, si può dunque affermare che la tolleranza della ideologia edonistica voluta dal nuovo potere è la peggiore delle repressioni della storia umana».
Per Pasolini c’era un nemico esplicito anche in questo caso: ed era il mercato, con la sua logica implacabile di «religione dei consumi»; esattamente quella che ha permesso alla Lega di avanzare con successo la sua proposta agli italiani di sentirsi tutti «figli dello stesso benessere», portando a termine la parabola «dalla solidarietà all’egoismo» che Pasolini aveva intravisto e aveva cercato inutilmente di contrastare.

Scontri di Valle Giulia. 1° marzo 1968
Scontri di Valle Giulia. 1° marzo 1968