La denuncia-poesia de “Le ceneri di Gramsci”. Appunti di Giuseppe Salzano

di Giuseppe Salzano
Facebook – 24 ottobre 2013

La raccolta di poesia Le ceneri di Gramsci costituisce il livello più alto raggiunto dalla poetica pasoliniana, uno dei testi fondamentali di tutta la poesia del ‘900. Composta in poemetti in terzine, l’opera è un perfetto canovaccio tra la tradizione poetica italiana, di cui Pascoli e Carducci sono stati i capisaldi, e le nascenti neo-avanguardie. Forte del suo contenuto, può essere considerata una grandissima opera d’impegno civile, attraverso cui il poeta ha voluto rappresentare, in tutta la loro drammaticità, le contraddizioni di un’epoca, dove il presunto populismo delle precedenti raccolte in versi, composte per lo più in friulano, si fa carico di un’inequivocabile potenza ideologica, il cui simbolo è senz’altro il nome di Gramsci, dietro cui Pasolini ha cercato d’individuare la portata rivoluzionaria dell’ideologia marxista.
Gli undici poemetti che compongono l’opera ( L’Appennino, Il canto popolare, Picasso, Comizio, L’umile Italia, Quadri friulani, Le ceneri di Gramsci, Recit, Il pianto della scavatrice, Una polemica in versi, La Terra di Lavoro ) vennero tutti raccolti in un unico volume, nel 1957, in un momento delicatissimo per la sinistra mondiale, in crisi dopo le vicende del 1956: il XX° Congresso del Pcus in Urss, la condanna di Stalin, l’invasione dell’Ungheria, la diaspora degli iscritti all’interno del Pci che si era schierato dalla parte delle armate russe. In un momento storico particolare, il libro di Pasolini giunse come un evento propiziatorio, ricco di attualità, coraggio, coerenza politica e onestà intellettuale, nonostante non sia facile per molti di noi, lettori odierni, avere una determinata coscienza di tali avvenimenti, ovvero farsi un’idea precisa di questi aspetti dell’opera pasoliniana, in un mondo che, a quasi sessant’anni, è totalmente cambiato.
Se si dovesse, nonostante tutto, scegliere una parola che ha ossessionato la vita di Pasolini, l’argomento che sottende tutto il percorso intellettuale e umano dell’artista e che ci dà modo d’interpretare senza equivoci tutta la sua opera d’intellettuale, artista e cineasta, la scelta cadrebbe, senza alcuna esitazione, su passione. È nella passione la radice esistenziale di Pasolini, un eterno adolescente per il quale il mondo è un prolungamento di se stesso, un Narciso continuamente teso con lo sguardo per trovare la propria immagine riflessa sulla superficie  della realtà. E’ l’unico intellettuale italiano a possedere i tratti congeniali all’Eros di Platone, un filosofo artista che predica il mondo in un’effusione d’Amore. Anche il poemetto che dà il titolo all’opera, in terzine di endecasillabi danteschi, apparentemente claudicante e affannoso, vibra in realtà di una febbricitante e ansiosa voglia di comunicazione, quell’urgente e appassionata esigenza di poter parlare ed esser compreso dal lettore.
Protagonista è l’immagine dell’Umile Italia, antichissima e cara ai poeti, popolata da un’umanità schiva ed estranea ad ogni sviluppo storico. Rispetto però ai toni gentili di Pascoli, Pasolini dona ai suoi versi tinte pittoriche. Allievo di Roberto Longhi, nel poemetto L’Appennino, egli immagina il paesaggio italiano come un grande affresco, passando per le contrade della Lucchesia fino a quelle di Napoli. Al centro del componimento spicca “Ilaria del Carretto”, scultura di Jacopo della Quercia conservata nel Duomo di Lucca. Ilaria è l’emblema dell’Italia, un sonno immemore nei secoli vuoti della Storia, ed ancora perdurante nella coscienza.  
Il sonno della coscienza italiana è protagonista anche ne Il canto popolare, e raggiunge il suo culmine ne Le ceneri di Gramsci. La passione pasoliniana sembra oscillare tra due estremi: è con e contro Gramsci, con e contro la classe operaia, con e contro l’ideologia marxista. L’intellettuale è dentro il mondo, ma si sente completamente tagliato fuori da ogni cosa, e guarda tutto ciò che si erge dinnanzi ai suoi occhi con lucido distacco, prende coscienza del proprio rifiuto, e al contempo della sua compassione per i vili e del suo amore verso gli ultimi.
Il divario che separa l’intellettuale borghese e il popolo si sublima nella creazione estetica, ovvero nella poesia. In questo passaggio, brillano su tutte la profonda e toccante Il pianto della scavatrice, e la straordinaria La Terra di Lavoro. In questa nuova dimensione il mondo, il passato e le scorie ideologiche diventano nemici della povera gente, stipata in un treno e in viaggio verso Sud, dove il raccoglimento diventa per il poeta un momento di preghiera e comune sofferenza, e nel dolore va cercando un’altrettanta imperitura purezza.