“Accattone”, poema di Fernando Acitelli. Una recensione di Aldo Colonna

Nel 2015 abbiamo dato notizia dell’opera in versi romaneschi Accattone, scritta dal poeta e scrittore romano Fernando Acitelli, classe 1957, sull’eco del mitico esordio cinematografico di Pasolini. Nel poema si immagina il tentativo di una telefonata a Pasolini che va continuamente a vuoto, ma che nel contempo offre l’occasione per un viaggio fantastico sulla Roma perduta delle periferie popolari ormai cancellate dal degrado, umano prima ancora che urbanistico.  Quasi un lamento  dal dolente spessore civile, che intercetta l’attenzione critica di Aldo Colonna, firma del “manifesto” e, a sua volta, autore nel 2014 del memorabile racconto lungo  Borgata Gordiani (Skira), anch’esso ispirato dall’ombra del rimpianto cantore dei ragazzi di vita. (af)

Un gettone per chiamare Pier Paolo
di Aldo Colonna

http://ilmanifesto.info – 28 novembre 2015

Fernando Acitelli è autore di un poema in vernacolo romanesco, diviso in sette canti composti ciascuno da quartine di endecasillabi a rima alternata (Accattone, ES,  Milano  2015). Un lavoro improbo che Acitelli, già autore di un best-seller in versi (La solitudine dell’ala destra, Einaudi  1998), assembla attento alla lezione di Pascarella più che del Belli.

Fernando Acitelli
Fernando Acitelli

Al centro del racconto c’è l’io-narrante che tenta in continuazione di chiamare al telefono – quello d’antan, a gettoni – Pier Paolo Pasolini, mentore e guida. La telefonata è continuamente interrotta da altri utenti che hanno bisogno, anche loro, di chiamare. Pier Paolo non può rispondere, sì che il tentativo continuamente interrotto assumerà i contorni di un monologo, di un dialogo impossibile, costituendo una sorta di proiezione dei propri desideri, della volontà di ripercorrere luoghi mitici collegati alla poetica pasoliniana, ma oramai scollegati dalla memoria e incastonati in una realtà urbana sfatta ed irriconoscibile.
La Borgata Gordiani, l’Alberone, il Pigneto, Torpignattara, dove poco tempo fa un ragazzotto uccise a mani nude un asiatico inerme semplicemente perché la preghiera cantilenante di quello lo disturbava, in questo incitato dal padre che lo spronava a finirlo, come un animale sacrificale. È in questo quartiere che Pasolini ambienta il Ciclo del Merda [in Petrolio, ndr.], ormai presago non più di una omologazione culturale ma dello scempio attuato dagli indigeni a difesa improponibile di una cittadella ormai arroccata solo su se stessa.
E che dire dei cinema della nostra adolescenza? Il Due Allori, l’Impero, l’Alfieri, sala di prima visione sulla Casilina con la galleria perennemente chiusa per via della scarsa affluenza; l’epigono di Pasolini ci ricorda quel maestoso tetto apribile che con un rumore cupo si apriva sulle notti d’estate per dare refrigerio agli spettatori e liberarli dalla nuvola di fumo degli accaniti tabagisti che veniva come aspirata dalla breccia improvvisamente aperta.
Il racconto è popolato di lemuri in un tessuto urbano degradato dai “bruttoni” che avevano un tempo la leggerezza di un picaro impertinente e oggi hanno perduto l’innocenza e la grazia di una spontaneità che eludeva il possesso rapace. In questo girovagare senza mèta, nelle osterie e nei bigliardi dove si acquieta la nostalgia, ritroviamo echi di Joyce e il tentativo continuamente interrotto ha un caldo sapore cocteauiano.
Serpeggia il senso profondo di un lutto senza fine, di una ferita non rimarginata, nel desolato silenzio di un interlocutore che non risponderà mai. Le note a corredo dell’opera non sono semplicemente un esergo ma una mappa urbana da percorrere e ripercorrere, ciascuno come sa e come può, nel tentativo inane di ritrovare una identità. Identità pervicacemente inseguita dal giovane â che è Fernando, la cui indignazione e il cui sdegno sono palpabili ma tengono dritta la barra. E in questo, e per questo, Accattone si pone anche come poema civile.

[info_box title=”Aldo Colonna” image=”” animate=””]critico cinematografico e scrittore,  collabora con “Ciak”, “Esquire”, “la Repubblica”, “Il Secolo XIX”, “l’Unità” e “il manifesto”. È autore del saggio critico biografico  Luigi Tenco. Vita breve e morte di un genio musicale (Mondadori, 2002). Ha pubblicato poesie e racconti su “Nuovi Argomenti”, “Alfabeta” e “Paragone”. È stato assistente di Pupi Avati e di Mario Monicelli per il film Il male oscuro, tratto dal romanzo omonimo di Giuseppe Berto. Nel 2014, per le edizioni Skira, è uscito il suo racconto lungo Borgata Gordiani, scritto in età post-adolescenziale, come il percorso di un apprendistato criminale laddove, in un meticciamento di culture, i protagonisti della narrazione risultano essere allo stesso tempo vittime e carnefici. Essi appartengono ad un’esperienza datata e quindi fissa nel tempo, quello delle borgate e della incursione pasoliniana nel tessuto degradato di una realtà geografica abitata dai picari senza legge di un immaginifico Far West.[/info_box]