“12 dicembre”: Pasolini a Carrara in un documentario quasi dimenticato

Il documentario 12 dicembre è  un capitolo poco conosciuto della filmografia di Pasolini, rinnegato dall’autore per necessità e riscoperto da poco nella sua interezza e nel suo significato politico. In occasione  dei 41 anni dalla morte di Pasolini una scheda, comparsa su http://ecodellalunigiana.it, ne ha rinverdito il ricordo.

Pasolini a Carrara, il ricordo di un documentario quasi dimenticato
redazionale

http://ecodellalunigiana.it/- 2 novembre 2016

Quella che avvenne tra gli anni ‘60 e ‘70 fu un’epoca di grandi mutamenti, sociali, antropologici e culturali. Pier Paolo Pasolini, da poeta, ma soprattutto da intellettuale, riuscì a riflettere sull’enorme cambiamento della società, sull’egemonia che il consumismo aveva raggiunto […] e sulla realizzazione di una società omologata come non era riuscita al fascismo, sospinta verso una alienazione industriale incontrovertibile.
Ne parliamo oggi che è il 2 novembre, a 41 anni dalla scomparsa di uno dei poeti più importanti del ‘900.[…] «La mia storia è quella dei libri», diceva Pier Paolo, restio all’omologazione culturale borghese, la stessa a cui fu indelicatamente attestato dal Pci nel 1949, quando lo espulse  […].

L'interno della Banca Nazionale dell'Agricoltura, luogo della strage di piazza Fontana, dopo l'esplosione della bomba (12 dicembre 1969)
L’interno della Banca Nazionale dell’Agricoltura, luogo della strage di piazza Fontana, dopo l’esplosione della bomba (12 dicembre 1969)

Dopo questa data, Pasolini passò molto tempo ad affinare la sua formazione cinematografica, visionando e sperimentando. Per lui scegliere di abbandonare un mezzo espressivo in segno di protesta fu qualcosa di enorme. Significò sostituire i simboli con la realtà, offrendo significati diretti, crudi, non teorizzati, della visione del mondo. Secondo Pier Paolo, il film poteva dare significato alla vita dell’uomo e questo, d’altronde, è quello che cercava dal suo originario uso della letteratura; scegliere i piani-sequenza e un preciso montaggio è come esprimere un’idea di mondo che arriva direttamente dalle immagini. Si tratta di neorealismo, ma non sempre. Le scelte espressive di Pasolini, negli ultimi anni della sua vita, divennero troppo pericolose, anche per lui.
A fine anni ’60 la strategia della tensione aveva ormai frantumato l’ideale sessantottino di una società più giusta; nel giro di pochi giorni esplose piazza Fontana e morì l’anarchico Pinelli. Testimoniare quei momenti era pericoloso e importante. Lo sapeva Lotta Continua che chiese a Pasolini di dar vita a un manifesto militante; lo immaginava il regista stesso che non comparve come nome nella realizzazione e nella diffusione del girato. Con Giovanni Bonfanti, Pasolini girò l’Italia e diede vita a 12 dicembre, un’inchiesta, un documentario che parla del lavoro e della società e che attraversa anche Carrara, con i suoi morti, i suoi problemi che 40 anni dopo rimangono tristemente uguali e irrisolti.
Carrara era anarchica, lo ha scritto nella storia, tutti la pensavano così, dai circoli alle vinerie ai marmi in piazza Alberica. «Tutti gli anni ne muoiono sopra la ventina», racconta un cavatore di Colonnata. «Qui da noi si muore sotto blocchi. O con l’argano. Per di più è la paura di perdere il lavoro». Pasolini indugia senza sosta sugli occhi e sulle mani dei cavatori. Il lavoro è la loro speranza, ma anche la loro assenza di una speranza di emancipazione: la si vede nella polvere dei camion, nei pali della lizzatura e negli sguardi rassegnati di chi lavora senza sosta. Questo è il risultato della lotta di classe? Sembra chiedersi il poeta.
«I padroni se ne approfittano perché le famiglie hanno bisogno anche di 30mila lire. Quando qualcuno fa uno sciopero minacciano di licenziare 20 uomini». L’omologazione sembra aver colto nel segno anche a Carrara. «Io tutte le notti sogno che alla mattina succeda qualcosa di grosso – sostiene un uomo – magari anche la rivoluzione».
Perché Pasolini scelse proprio Carrara? Perché, come molti dei cavatori, era attratto dall’insubordinazione. Perché lo fece con il cinema? Perché, sebbene volesse alienarsi dalla scrittura, decise di continuare il suo impegno sociale, disegnando con carrellate, panoramiche e obiettivi il suo amore per la vita.
Con 40 anni di ritardo, nel 2015, si è riscoperto e si è proiettato un film di Pasolini rimasto nel cassetto di Lotta Continua: 12 dicembre, per l’appunto. «Ci ho lavorato, l’ho montato io, ho scelto io le interviste ma non ho messo la regia – spiega direttamente Pasolini nella nuova versione ampliata e rivista -, perché gli avvocati che l’hanno visto mi hanno detto che era pericolosissimo, che mi avrebbero messo in prigione. E allora abbiamo trovato una formula per cui il mio nome ci fosse, perché chi voleva capire capisse, ma formalmente non potessero procedere contro di me».