Poesie a Casarsa

Copertina del libro “Poesie a Casarsa”

Il 14 luglio del 1942 Pasolini pubblica, a spese proprie, presso la Libreria Antiquaria Mario Landi di Bologna la raccolta Poesie a Casarsa: quattordici componimenti scritti nel dialetto materno e dedicati al padre nel frontespizio. L’opera è subito notata e recensita da Gianfranco Contini nel saggio Al limite della poesia dialettale, uscito sul «Corriere del Ticino» il 24 aprile del 1943. Contini consacra Pasolini poeta, rilevando le qualità linguistiche di Poesie a Casarsa ed evidenziando in particolar modo l’uso del dialetto di ca da l’aga, della riva destra del Tagliamento: un friulano che inventa una propria koinè poetica, nata dalla necessità di scrivere una lingua che fino ad allora era solo parlata.
La scelta del dialetto friulano come lingua della poesia diventa emblema della sfida di un giovane intellettuale nei confronti del «padre reale» e del «padre potere», accogliendo, con le esigenze di rinnovamento poetico, la suggestione di nuove aperture politiche e sociali.

Risuonò la parola ROSADA. Era Livio, un ragazzo dei vicini oltre la strada, i Socolari, a parlare. Un ragazzo alto e d’ossa grosse… Proprio un contadino di quelle parti… Ma gentile e timido come lo sono certi figli di famiglie ricche, pieno di delicatezza, poiché i contadini, si sa, lo dice Lenin, sono dei piccolo-borghesi. Tuttavia Livio parlava certo di cose semplici ed innocenti. La parola “rosada” pronunciata in quella mattinata di sole, non era che una punta espressiva della sua vivacità orale. Certamente quella parola in tutti i secoli del suo uso nel Friuli che si stende di qua del Tagliamento, non era mai stata scritta. Era stata sempre e solamente un suono. Qualunque cosa quella mattina io stessi facendo, dipingendo o scrivendo, certo m’interruppi subito […] E scrissi subito dei versi, in quella parlata friulana della destra del Tagliamento, che fino a quel momento era stata solo un insieme di suoni: cominciai per prima cosa col rendere grafica la parola ROSADA.
(P.P. Pasolini, Empirismo eretico, Garzanti, Milano, 1972, p. 62)

Pasolini fissa così, in quella mattina dell’estate del 1941, quando viene pronunciata la parola rosada, l’atto di nascita della prima nuova poesia. La raccolta si apre con un breve componimento ispirato alle rogge che scorrono nel territorio casarsese, e canta la freschezza e la purezza di un mondo da scoprire.

Fontana di aga dal me paìs.
A no è aga pì fres-cia che tal me paìs.
Fontana di rustic amòur.

[idea]Traduzione:
Fontana di acqua del mio paese.
Non c’è acqua più fresca che al mio paese.
Fontana di rustico amore.[/idea]

Le Poesie a Casarsa rappresentano un primo segno di opposizione al potere fascista e il conseguente tentativo di valorizzare il dialetto, in una società che osteggia l’uso delle lingue barbare poiché proprie delle masse rurali e in cui anche la sinistra predilige l’uso della lingua italiana. “Il fascismo -ha scritto Pasolini- non tollerava i dialetti, segni dell’irrazionale unità di questo paese dove sono nato, inammissibili e spudorate realtà nel cuore dei nazionalisti”
(in P.P.Pasolini, Poeta delle ceneri, a cura di E. Siciliano, in «Nuovi Argomenti», Roma, luglio 1980).

Manoscritto originale di Pier Paolo Pasolini