PPP e il Partito Radicale. Un’intervista a Gianfranco Pasquino

Il politologo Gianfranco Pasquino dell’Università di Bologna, intervistato dalla giornalista Donatella Schettini, indaga il rapporto tra Pasolini e i Partiti italiani del suo tempo, con particolare riferimento al Pci e al Partito Radicale e nel quadro più generale del ruolo critico cui sono chiamati gli intellettuali anche nel contesto della democrazia realizzata. Su questo dibattito, per l’occasione del 35.mo congresso dei radicali, a Firenze il 4 novembre 1975, Pasolini sarebbe dovuto intervenire con un discorso, che la morte  gli impedì di pronunciare e che ora sarà discusso da Pasquino in una conferenza organizzata il 21 novembre dal Centro Studi Pasolini di Casarsa a chiusura dei lavori “Pasolini e il politico”, iniziati con un’intensa due-giorni il 7 e 8 novembre.  

di Donatella Schettini

www.messaggeroveneto.it – 20 novembre 2014

Interessato più alla società che ai partiti e con il timore che l’omologazione portasse ad avere uomini e donne «a una dimensione». Sono alcuni elementi che secondo Gianfranco Pasquino, professore emerito di scienza politica all’Università di Bologna e già senatore, appartengono alla riflessione politica e sociale di Pier Paolo Pasolini. Sarà il relatore venerdì 21 novembre al Centro studi Pier Paolo Pasolini di Casarsa  nell’ultimo incontro del convegno “Pasolini e il politico”: dialogherà con Angela Felice, direttore del Centro Studi, e Raoul Kirchmayr, studioso e docente universitario.
Pasquino, il cui ultimo libro s’intitola Partiti, istituzioni, democrazie, edito da il Mulino, approfondirà l’ultimo discorso politico scritto da Pasolini. Avrebbe dovuto leggerlo partecipando al congresso dei radicali fissato per il 4 novembre di 39 anni fa. Morì la notte del 1^ novembre e il discorso, che verrà letto domani da Giacomo Trevisan, giovane studioso e attore codroipese, ha assunto la valenza di “testamento” politico, tanto che così fu presentato su “Il Mondo” al momento della pubblicazione.
«Il rapporto tra Pasolini e la politica – afferma Pasquino – era difficile perché egli sapeva benissimo che la politica veniva caricata di aspettative che poi non poteva soddisfare e che i politici italiani promettevano senza mai riuscire a mantenere. Riteneva che con i loro comportamenti “inquinavano” la società e che senza una società in grado di reagire e di rendersi autonoma, vivace e per un certo verso cattiva, la politica italiana sarebbe rimasta inadeguata».

Gianfranco Pasquino
Gianfranco Pasquino

Complicati anche i rapporti con i partiti: «Giustamente – sottolinea il docente universitario – aveva visto nel Partito comunista uno strumento importante per trasformare il paese, ma vedeva anche elementi che non gli piacevano: l’omaggio eccessivo ai leader, una forma di servilismo che in alcuni settori erano diffusi, la burocratizzazione della politica e lo scarsissimo spazio che veniva dato a chi aveva idee diverse dalla classe dirigente. Poi c’era la questione della omosessualità che in quel partito non era apprezzata».
Interessato più alla società che ai partiti, come emerge dal discorso mancato al congresso dei radicali: «Il timore – prosegue Pasquino – era legato alla omologazione in una società che accettasse buona parte dei diritti che riteneva fondamentali per una vita decente, ma che poi li inghiottisse senza usarli come lievito per far crescere la democrazia». Per spiegare il tema dell’omologazione, Pasquino chiama in causa Tocqueville: «L’omologazione – afferma – attraversa tutte le democrazie ed è l’accettazione di ciò che già c’è senza proteste o preoccupazioni per l’accettazione dell’esistente. È un rischio per ogni democrazia di massa. Poi ogni tanto ci sono piccoli gruppi che si ribellano con principi e valori, spesso pochi, ma che hanno a che vedere con la democrazia. In quel periodo Pier Paolo Pasolini era uno dei pochi che intuiva questo tipo di pericolo e lo declinava in un certo tipo di riflessione. La sua preoccupazione era che la società consumistica producesse uomini e donne a una dimensione, secondo la definizione di Marcuse».
Eppure, Pasquino non assegna a Pasolini il ruolo di profeta: «Sarebbe un aggettivo che non gli sarebbe gradito – sottolinea -, non voleva essere un profeta, ma un analista dotato di uno sguardo profondo sul presente».

[info_box title=”Gianfranco Pasquino” image=”” animate=””]torinese (1942), si è laureato in Scienza politica con Norberto Bobbio a Torino nel 1965 e si è specializzato in Politica comparata con Giovanni Sartori a Firenze. Dopo aver conseguito nel 1967 il Master of Arts in Relazioni Internazionali dalla School of Advanced International Relations di Washington D.C., ha insegnato Scienza politica nell’Università di Bologna dal 1 novembre 1969 al 31 ottobre 2012. Attualmente è Senior Adjunct Professor of  European Studies al Bologna Center della Johns Hopkins University dove insegna regolarmente “Comparative European Politics” e “Comparative Political Development”. E’ stato Direttore del Master in Relazioni Internazionali dell’Università di Bologna a Buenos Aires dove insegna regolarmente due settimane all’anno. Già Presidente della Società Italiana di Scienza Politica (2010-2013), dal 2005 è socio dell’Accademia Nazionale dei Lincei e dal 2011 è parte  del Comitato Scientifico dell’Enciclopedia Italiana. E’ stato Senatore della Repubblica Italiana dal 1983 al 1992 e dal 1994 al 1996, oltre che osservatore parlamentare in Cile in occasione del plebiscito chiesto da Pinochet nel 1988 e delle elezioni presidenziali del 1989.
Nella sua ricchissima bibliografia, i volumi i più recenti sono La rivoluzione promessa. Lettura della Costituzione italiana (Pearson 2011); Finale di partita. Tramonto di una Repubblica (Egea 2013);  Partiti, istituzioni, democrazie (Il Mulino 2014). E’ particolarmente orgoglioso di essere condirettore, insieme a Norberto Bobbio e Nicola Matteucci, del Dizionario di Politica (UTET, 2004 3a ed.).[/info_box]