L’opera di Pasolini: intervista a Franco Zabagli, di Marino Demata

Nel maggio 2014, il filologo Franco Zabagli ha tenuto una lezione sul significato profondo dell’opera di Pasolini al Gabinetto Vieusseux, presso cui lavora. Nell’occasione è stato ascoltato da Marino Demata per una intervista interessante che qui riprendiamo dal sito  https://rivegauche-filmecritica.com del 6 giugno 2014.

Intervista a Franco Zabagli, studioso di Pasolini
di Marino Demata

 https://rivegauche-filmecritica.com –  6 giugno 2014

Nella sua recente lezione pasoliniana, organizzata dal Gabinetto Vieusseux alla Sala Ferri a Firenze, lei si è giustamente soffermato su alcuni aspetti fondamentali della biografia di Pasolini. Mi ha in particolare colpito il suo riferimento al conflitto edipico col padre, del quale Pasolini non esita a parlare con chiarezza e addirittura a farne trasparente oggetto del prologo del suo film Edipo re. Quali aspetti della personalità di Pasolini lei ritiene che siano stati maggiormente influenzati da tale conflitto, in qualche modo bilanciato dal grande amore verso la madre?
Sappiamo e si sono dette un’infinità di cose sul rapporto di Pasolini col padre, ma, al di là della vicenda strettamente biografica, ciò che importa è la ripercussione di questo rapporto in termini di poetica. Tanto per dire quanto sia ampio il cerchio della questione, nel libro d’esordio di Pasolini, Poesie a Casarsa (dedicato al padre), c’è una bellissima poesia intitolata La domenia uliva che contiene una variazione sul Pater noster dove è già perfettamente rappresentata la distanza tra il figlio e  la figura archetipica del Padre. E sul padre continueranno a esserci pagine cruciali ancora in Petrolio. Tra questi due estremi, quasi in ogni opera di Pasolini potremmo rintracciare elementi più o meno eminenti sulla questione, soggetti comunque a una evoluzione che dal contrasto violento e al rifiuto giunge a far riemergere l’amore rimosso, occultato, che Pasolini aveva verso il genitore. Molto importante in questo percorso è per esempio la tragedia Affabulazione.

Quale è stata secondo lei l’importanza delle poesie dialettali nello sviluppo della poetica pasoliniana?
Fondamentale. Sono le sue poesie più belle, direi perfette. Un miracoloso punto d’equilibrio tra l’originalità della scelta linguistica, la finezza metrica e stilistica, e la rappresentazione di un universo soggettivo integro, completo, il cui emblema è, direi, la  “gioventù”. Parola che non a caso figura nel titolo della raccolta La meglio gioventù, in cui Pasolini riunisce nel 1954 questa sua produzione.

Nella sua lezione ha manifestato l’idea di una sorta di primato della poesia sulle altre attività artistiche di Pasolini. Può spiegare questo concetto?
All’inizio della lezione mi riferivo semplicemente alla parola “poeta” come al termine che resta sempre il più giusto per qualificare Pasolini, al di là della varietà di generi, tecniche, stili, linguaggi ecc. che ha praticato. La “poesia”, in un’accezione certamente aperta e dialettica verso le più diverse esperienze formali, resta sempre il denominatore comune del suo agire artistico, del suo sperimentalismo.

"I Turcs tal Friùl". Manoscritto originale di Pier Paolo Pasolini
“I Turcs tal Friùl”. Manoscritto originale di Pier Paolo Pasolini

Ha definito il primo film di Pasolini, Accattone, come uno sforzo di verità superiore che va oltre il neo-realismo. Può chiarire questo importante concetto?
Gli “umili” di Pasolini sono creature più radicalmente emarginate di quelle rivelate nel dopoguerra dalla macchina da presa di Rossellini e di De Sica, e il livello della loro coscienza è particolarmente lontano dai riferimenti di una legge morale. Accattone, nell’incontro con Stella, è oscuramente lambito da una sorta di luce spirituale emanata da una ragazza così innocente. Ma questo non basta a redimerlo. O forse questa redenzione avviene nel momento supremo della morte, come per Bonconte di Montefeltro nel racconto che ne fa Dante nel Purgatorio, da cui Pasolini ricava l’epigrafe inserita all’inizio del film.

Sempre nella lezione, lei ha citato il poemetto Una disperata vitalità, che darà il titolo anche ad un importante spettacolo radiofonico di Laura Betti del 1999 per la regia di Martone (lo spettacolo era anche un recital teatrale). Nel poema prende corpo la critica di Pasolini all’appiattimento tra le classi sociali prodotto dal neo-capitalismo e dal suo strumento principale, la Tv. A tal punto che ciò che appartiene al passato sta per non essere più compreso. E’ una concezione sulla quale Paolini ritornerà spessissimo negli ultimi anni della sua vita. Cosa pensa di questa intuizione pasoliniana?
Il poemetto Una disperata vitalità sviluppa delle occasioni diaristiche; in particolare Pasolini racconta che un giorno, rientrando da Fiumicino alla guida della sua Alfa Romeo, scorge dall’autostrada un antico modesto palazzo padronale in mezzo alla campagna, e intuisce che quell’edificio, fra le costruzioni della modernità che ormai lo circondano, «sta per non poter più essere compreso». In quella intuizione riconosce «una prima idea vera della morte». È il trapasso definitivo di Pasolini verso una lacerante estraneità riguardo alle trasformazioni del proprio tempo, che andrà progressivamente accentuandosi, senza per questo diminuire – anzi – la sua vitalità creatrice e il suo furore testimoniale. Ma in quel poemetto, che considero uno dei testi poetici più belli di Pasolini, c’è anche molto altro; e in generale testimonia una metamorfosi cruciale del suo stile, in una sorta di dissoluzione in atto della terzina dantesca che aveva caratterizzato Le ceneri di Gramsci (e di cui sussistono qua è la dei monconi residuali nelle parti, diciamo così, più  “liriche”) verso un linguaggio “medio”, una metrica prosastica, verso certi tratti compositivi tipici della sceneggiatura cinematografica, ecc. ecc.

Mi ha trovato molto d’accordo la sua sottolineatura dell’importanza e della bellezza delle sceneggiature pasoliniane (dei film fatti e di quelli purtroppo non realizzati). Lei ha parlato di una sorta di autonomia poetica della sceneggiatura, che con Pasolini diventa quasi nuovo genere letterario. Può chiarire questo concetto che riteniamo molto interessante e stimolante?
È un dato che caratterizza tutta la novità della ricerca di Pasolini nel suo lavoro soprattutto a partire dagli anni Sessanta. Il carattere “potenziale” della sceneggiatura (una “struttura che vuol essere altra struttura”) contiene già in sé un effetto poetico specifico, compiuto, e l’esperienza della scrittura per il cinema porterà Pasolini a identificare sempre più il testo poetico con il progetto, l’appunto, con un livello insomma di redazione intenzionale dell’opera. Pensiamo ad esempio al titolo di una poesia come Progetto di opere future, o alla battuta finale che lui stesso pronuncia alla fine del Decameron: «Perché realizzare un’opera quando è così bello sognarla soltanto?».

Eppure ne Il Vangelo secondo Matteo e nella sceneggiatura per un film su San Paolo Pasolini in realtà non aggiunge nessuna parola di suo a quanto contenuto nei testi sacri ai quali si ispira, dei quali fa naturalmente una selezione. Ritiene tuttavia valida anche per questi due esempi la definizione di sceneggiatura come fatto creativo e artistico?
Il rispetto letterale del Vangelo di Matteo e dei testi paolini non altera la potenzialità dell’effetto poetico, la tensione verso “un’altra struttura”. Col Vangelo gran parte di questo effetto poetico è conseguito nell’originalità della ricerca delle equivalenze estetiche attraverso le quali Pasolini rappresenta visivamente la parola di Matteo. Una ricerca che si spinge anche più oltre nel progetto per il film su San Paolo, in cui i luoghi e i momenti storici degli Atti degli apostoli sono spostati, con una opportuna individuazione di equivalenze appropriate, nel Novecento.

[info_box title=”Franco Zabagli” image=”” animate=””]lavora presso il Gabinetto Vieusseux di Firenze. Filologo, ha scritto diversi saggi su poeti italiani dell’Otto-Novecento, in particolare Leopardi, Pascoli, Montale e Pasolini, pubblicati su “Paragone”, “Nuovi Argomenti”, “Il Ponte” e altre riviste. Ha curato con Walter Siti l’edizione in due tomi di Per il cinema di Pier Paolo Pasolini (Mondadori, 2001) e, con Rosana Bettarini e Gloria Manghetti, l’edizione delle Lettere a Clizia di Eugenio Montale (Mondadori, 2006).[/info_box]