La via del petrolio, intervista a Bernardo Bertolucci

Sulla via del petrolio alla scoperta dell’Eni.
Dal ricordo di Pier Paolo Pasolini al cinema verità.

La storia inizia a meta degli anni ‘60: racconta il viaggio di un giovane regista che riceve da una grande azienda, l’Eni, l’incarico di realizzare un documentario sul petrolio.
Il paese è l’Iran ancora lontano dalla rivoluzione khomeinista. Il paese delle Mille e una notte, delle cupole ammantate di ricami, di bazar misteriosi raggiunti a tratti da raggi di luce. Il paese dello Scià e delle enormi contraddizioni sociali. Il protagonista è Bernardo Bertolucci.
“A 23 anni avevo realizzato due film, La commare secca, da un racconto di Pier Paolo Pasolini e Prima della rivoluzione. Quest’ultimo era stato presentato a Cannes, alla Semaine de la Critique e nell’autunno era uscito nelle sale con prevedibile insuccesso di pubblico. Anche la critica in gran parte era stata sfavorevole, poi si sarebbe ravveduta: proprio quest’anno viene riproposto nella stessa manifestazione”.
L’inverno seguente è un momento difficile per un giovane animato da una forte passione creativa e la forzata inattività diventa sempre più insopportabile: “dovevo assolutamente girare, e impressionare pellicola”.
In primavera arriva la proposta dell’Eni. Bernardo Bertolucci ha frequentato fin da piccolo il grattacielo dell’Eur, il padre Attilio, infatti, è stato fondatore e direttore della rivista Il gatto selvatico per alcuni anni.
“Avevo incontrato anche Enrico Mattei. Sapeva da mio padre che amavo pescare le trote con la mosca e quel giorno mi disse che una volta mi avrebbe portato in Canada per pescare in laghi fantastici. Poi la cosa non avvenne mai”. L’Eni, dunque, propone al giovane regista un documentario, La via del petrolio, un lavoro importante di almeno tre ore per la televisione. Sarebbe stato trasmesso in prima serata in tre puntate: Le origini, girato in Iran, Il viaggio, dal Golfo persico a Suez e lungo il Mediterraneo fino a Genova e Attraverso l’Europa, il diario di un poeta che segue una pipeline da Genova fino a Ingolstadt, in Germania.
“Ricordo che incontrai Godard qualche giorno prima di partire: sono così disperato – gli dissi – che non posso fare un film e vado a girare un documentario sul petrolio. Lui rispose che era un’occasione bellissima per scoprire luoghi affascinanti e tanto diversi. E infatti, sono ancora grato a quel lavoro per avere innescato in me il piacere del viaggio. Fu il mio primo vero viaggio: la scoperta che esistono culture diverse dalla nostra e l’immediato innamoramento per queste culture. Questo sentimento mi ha poi sempre accompagnato, dalla Cina, al Sahara, all’India ed e stato un elemento fondamentale della mia produzione artistica”.
Per Bertolucci e il primo impegno da documentarista e sarà anche l’unico. Ma costituisce la conferma di una intuizione che si era già manifestata nei suoi primi lavori e che ha caratterizzato poi, il suo percorso artistico. “Ho sempre pensato che tutto il cinema è sempre cinema verità. Che io abbia davanti dei bambini iraniani polverosi, coperti di mosche e con gli occhi piu belli che io abbia mai visto nella vita o che ci siano John Malkovich e Debra Winger nel Sahara o ancora Jeremy Irons e Liv Tyler in Toscana, l’evento è sempre lo stesso: sono dei corpi, dei volti immersi in una luce e di fronte alla macchina da presa. E questo succede sempre, anche quando la macchina del cinema diventa poderosa, quando i suoi mezzi sono potenti e sofisticati come avviene nelle grandi produzioni; nel momento in cui si è con la macchina da presa davanti al reale, si torna al cinema verità. Girando la Via del petrolio volevo che il documentario diventasse fiction, come poi avrei fatto diventare la fiction cinema verità”.
Il documentario rappresenta un’opportunità per molti registi che poi approdano al cinema di finzione. Antonioni è un grande maestro del cinema che si è imposto all’attenzione della critica con importanti documentari come Gente del Po o Nettezza Urbana. “Michelangelo ha realizzato cose bellissime, Nettezza Urbana è un documentario straordinario, ma è soprattutto un film di Antonioni: già li si sente lo sguardo, il modo molto sospeso di vedere le cose, il mistero che nasce da una persona che cammina lungo un muro. C’è dentro una grande tensione narrativa. Un simile impegno traspare, credo, anche nella Via del petrolio”.
L’incontro di Bertolucci con il cinema avviene molto presto, forse rappresenta la fuga da un destino familiare già prefigurato. “Come i figli dei falegnami o dei notai seguono le orme paterne, io, figlio di un poeta, avevo cominciato a scrivere poesie perché a casa era quello che si faceva. A sedici anni mi capitò in mano una sedici millimetri e senza ancora la piena consapevolezza dei dubbi che avevo sull’essere un poeta, girai il mio primo breve film”.

Bernardo Bertolucci

La Teleferica è il primo cortometraggio, cui segue subito dopo un altro breve filmato: La morte del maiale. “E’ la descrizione di un evento pagano, che si svolge in campagna. All’alba arrivano degli uomini in bicicletta, il paesaggio è innevato, hanno le sporte attaccate alla bici e dentro le sporte una infinità di coltelli: sono i norcini venuti per uccidere (il maiale)”. Per la maturità classica il premio è un viaggio a Parigi e lì Bertolucci passa quasi tutto il tempo alla Cinématheque française e capisce la sua grande passione per questo affascinante mezzo espressivo. A vent’anni poi l’incontro con Pasolini, che abita nello stesso palazzo dei genitori, segna un momento importante della sua vita artistica. “Mi dice: so che vuoi fare del cinema; bene, presto girerò un film, puoi fare il mio aiuto regista. Io rispondo: ma Pier Paolo, non l’ho mai fatto e lui: neanch’io ho mai fatto il regista. Il film era Accattone, ed e stata un’esperienza esaltante perché ho visto Pasolini inventare il cinema. Ho visto una persona straordinaria, creativa, animata da enorme passione applicarsi per la prima volta ad un mezzo che non conosceva. Questo ha significato, per me, assistere alla nascita del cinema: ogni volta che Pier Paolo si impadroniva di un linguaggio nuovo ne usciva fuori qualcosa di straordinario. Pasolini veniva dalla letteratura, dalla poesia, dalla saggistica e la sua partecipazione al mondo cinematografico era stata fino ad allora puramente letteraria: aveva scritto qualche sceneggiatura, aveva partecipato alla Dolce Vita e alle Notti di Cabiria di Fellini, aveva scritto La notte brava e La Giornata Balorda per Bolognini. Eppure sul set di Accattone, quando decideva di fare un primo piano era come se quello fosse il primo piano della storia del cinema. Ed io, essendo già un cinefilo, ero lì ad assistere a quella meravigliosa invenzione. ”Quando Bertolucci gira la Via del Petrolio, soprattutto nella prima parte, l’esperienza condotta a fianco di Pasolini è ancora molto presente. “Da Teheran partimmo per filmare il pozzo più alto del mondo, sui monti Zagros, a 4000 metri. Si attraversavano diversi paesini ed io ero affascinato dai volti dei bambini, dalle espressioni dei vecchi che si trovano solo nei paesi molto antichi. E in qualche modo mi sembrava che ci fosse un filo che legava queste immagini con l’attenzione al lumpenproletariat che aveva Pier Paolo esplorando le borgate romane. Era la ricerca di una innocenza contadina, molto arcaica. L’equazione era: Terzo mondo come perferia romana. Proprio sui monti Zagros, ricordo che quando siamo arrivati al campo base, siamo saliti per un sentiero fino ad arrivare ad un pianoro. In fondo la torre di perforazione e intorno tanta emozione: italiani e iraniani lavoravano insieme, si prendevano in giro, ironizzavano. Era bello sentire in quella terra lontana accenti emiliani, lombardi, marchigiani, tutti permeati di grande nostalgia”.
La storia di Bernardo Bertolucci continua, ed è oggi la storia di un grande maestro del cinema internazionale. E’ ricca di grandi successi, di riconoscimenti importanti, di paesaggi esotici, di culture millenarie, di emozioni profonde evocate da personaggi inquieti come Paul in Ultimo Tango a Parigi, l’imperatore Pu Yi, Port, il viaggiatore nel deserto, Mr. Kinsky il musicista inglese del suo ultimo lavoro L’Assedio. “Sono emozioni offerte e consumate nelle sale cinematografiche quasi religiosamente.
Una volta sembravano grandi cattedrali, ora con le multisale si sono trasformate in cappelle, ma c’è sempre un rito che si compie al buio ed e quello di sognare tutti insieme, lo stesso sogno, ad occhi aperti”.