A Bologna Peter Kammerer e un’intervista inedita a PPP (maggio 1975)

L’Italia  è  diventato  un  paese  abominevole,  orribile.  Io  vorrei non viverci,  in  Italia.  È  tanto che lo dico, ma vivo in un paese mostruoso, perché  la  borghesia è quella che è sempre stata. Cioè veramente meschina, inetta  ed  incapace. Non ha fatto la rivoluzione borghese, non ha fatto la rivoluzione industriale, non ha fatto niente, questa borghesia italiana.
Ha fatto soltanto delle piccole speculazioni, miserabili, e ha sempre avuto una  cultura  provinciale,  sciocca, stupida, clerico-fascista, accademica. Questa borghesia italiana non ha mai dato niente.
Prima  esisteva il popolo italiano. Che era un grande popolo, perché era un popolo  che  aveva prodotto una grande civiltà e che comunque dentro il suo intimo  la  conservava.  Era  un  popolo  adorabile,  forte,  intelligente, semplice, buono, pietoso, non religioso in un senso convenzionale. Ora questo popolo non c’è più.

Sono  parole di Pier Paolo Pasolini e appartengono ad un’intervista inedita  che  lo studioso e sociologo Peter Kammerer presenterà martedì 15 dicembre alle 18 al Centro Studi – Archivio Pier Paolo Pasolini della Fondazione Cineteca di Bologna (piazzetta Pasolini 3/b), al termine della conferenza che lo stesso  Kammerer  terrà con Giorgio Passerone e René Schérer. L’intervista è  stata  appena pubblicata in  collaborazione  con il Centro  Studi  Pasolini bolognese,  con  il  titolo  Il  potere è cambiato all’insaputa dei politici,  sull’ultimo  numero  del  mensile “Cineforum” diretto da Adriano Piccardi, uno  dei  più  importanti e ‘storici’ periodici di cultura cinematografica, nell’ambito  di  un  numero  speciale  dedicato  a  Pasolini, autore che la rivista  ha seguito fin dai tempi dell’esordio di Accattone e che ha anche intervistato in varie occasioni.
L’intervista della durata di circa un’ora fu realizzata da Kammerer con la giornalista Carlotta Tagliarini per la radio tedesca Südwestfunk di Baden-Baden, che ne trasmise soltanto degli estratti audio di pochi minuti.
Siamo  nel  maggio  del  1975,  Pasolini  ha appena terminato le riprese di quello  che  rimarrà  il  suo ultimo film, Salò o le 120 giornate di Sodoma (presentato  postumo  il  22  novembre  1975), e i suoi articoli “corsari” e “luterani”   stanno   sollevando   da   oltre  due  anni  forti  polemiche.
Nell’intervista  Pasolini,  sollecitato da Kammerer, si sofferma nuovamente su   alcuni   temi   fondamentali   della   sua   critica  della  modernità (come l’omologazione  consumistica,  il  degrado provocato dalla televisione, il ruolo  negativo  della  scuola  dell’obbligo)  e  sulla  degradazione politica,  sociale,  urbanistica  ed  ecologica  dell’Italia,  ribadendo in particolare  la  condanna di una classe politica collusa con la criminalità organizzata,  già espressa nel celebre scritto  Cos’è questo golpe? Io so (“Corriere della sera”, 14 novembre 1974).

Pasolini sulle dune di Sabaudia
Pasolini sulle dune di Sabaudia

Eccone   un   altro,   breve  passaggio:

Se  fosse  esistito  un  governo intelligente,  forte,  un governo che avesse veramente amato la gente – non come hanno fatto i governanti italiani, che hanno odiato la gente – avrebbe saputo arginare questo sviluppo voluto dai piccoli industriali, dai padroni delle  fabbriche,  diciamo  così  produttrici  di beni superflui. Avrebbero saputo  porre  un  argine  e dare la precedenza a tanta industria primaria, diciamo  così.  E  poi  avrebbero  dovuto  contrapporre  una  sana politica agraria, prima di tutto, al disordinato, caotico, odioso, orribile sviluppo dovuto  all’industria  terziaria.  Cioè  proteggere  il mondo contadino dal disfacimento totale. E  poi  avrebbero  dovuto organizzare uno sviluppo nel senso del progresso. Cioè  avrebbero  dovuto dare la precedenza alla costruzione di ospedali, di scuole,  di  asili  e affrontare i problemi concreti del Paese: il problema dei  vecchi,  il  verde,  il  paesaggio italiano, i problemi urbanistici, i problemi  ecologici, tutte cose che i democristiani non si sono mai sognati neanche  lontanamente  di  fare.  Cioè  essi hanno supinamente accettato lo sviluppo, così come la crescita di beni superflui. E basta. Non hanno fatto altro.