Il Comune di Roma “parte offesa” per il delitto PPP (11 maggio 2005)

PAGINE CORSARE

Fondo Angela Molteni

La vita

Sulla stampa continuarono nel maggio 2005 gli interventi alla notizia della riapertura del procedimento giudiziario per il delitto Pasolini, per il quale si costituì “parte offesa” anche il Comune di Roma, il cui assessore alla cultura era nel 2005  Gianni Borgna. Qui di seguito alcune prese di posizione apparse sulla carta stampata e riprese da  “Pagine corsare”.

Pasolini, la denuncia della famiglia. Il legale: «E’ stato omicidio volontario e premeditato»
di g.ru.

“La Stampa” –  11 maggio 2005

Quattro pagine, il carburante che dovrebbe riavviare il motore delle indagini dopo trent’anni. Ieri mattina, a nome dei familiari di Pier Paolo Pasolini, l’avvocato Nino Marazzita ha depositato la denuncia annunciata nella quale viene ipotizzato il reato di «omicidio volontario commesso con l’aggravante della premeditazione», un reato non prescrittibile. E ieri mattina, il comune di Roma ha annunciato che si costituirà parte offesa riservandosi nei prossimi giorni di depositare una sua memoria.
Da parte sua, lo stesso procuratore della Repubblica, Giovanni Ferrara, che ha delegato le indagini all’aggiunto Italo Ormanni e al pm Diana De Martino, ha assicurato l’altro avvocato di parte civile, Guido Calvi, che seguirà personalmente le indagini: «Gli inquirenti adesso valuteranno con calma la notizia criminis, poi dovranno procedere agli accertamenti di rito».
Le recenti «novità» rappresentate dalle rivelazioni di Pino Pelosi, che ha scontato nove anni di carcere per l’omicidio dell’intellettuale friulano, alla trasmissione di Rai Tre, Ombre sul giallo, le dichiarazioni del regista amico di Pasolini, Sergio Citti, saranno adesso valutate dai magistrati della procura di Roma, per capire se e come procedere a ulteriori atti d’indagine per risalire ad altri eventuali esecutori dell’omicidio Pasolini.
Sarebbe comunque sbagliato non sottolineare che tra gli inquirenti come tra gli avvocati di parte civile regni un certo scetticismo: «Le speranze di accertare la verità sono molto esigue – ammette l’avvocato Calvi – ma confido nella magistratura». Aggiunge l’altro legale della famiglia Pasolini, Nino Marazzita, a proposito delle rivelazioni di Pelosi che ha chiamato in causa altre tre persone, «con accento meridionale»: «Le dichiarazioni di Pelosi sono la scoperta dell’acqua calda: non ha fatto che confermare la presenza di ignoti all’Idroscalo. Lui, tuttavia, è un bugiardo e non dice tutta la verità. Questa è molto difficile da scoprire, ma la Procura ha il dovere di approfondire tutta la vicenda».
Nella denuncia depositata ieri mattina in procura, gli avvocati di parte civile sollecitano gli inquirenti a definire un primo programma di lavoro. Marazzita suggerisce di ascoltare naturalmente Pino Pelosi e il regista Sergio Citti (nel caso, anche di procedere con un confronto tra i due), che in una intervista al “Corriere della Sera” «fornisce una traccia investigativa sicuramente utile». Marazzita si sofferma sulle rivelazioni di Pelosi e le motivazioni della prima sua condanna “in concorso con ignoti”: «Malgrado i giudici che condannarono Pelosi ritennero quantomeno possibile la presenza di altre persone, non furono mai svolte indagini finalizzate alla ricerca di eventuali complici».
E la denuncia depositata ieri mattina dai legali della famiglia Pasolini invita anche a sentire l’appuntato dei carabinieri Renzo Sansone che in una intervista del 1995 disse che all’Idroscalo di Ostia erano in quattro: oltre Pino Pelosi, i fratelli Franco e Giuseppe Borsellino e Jonny il biondino, Giuseppe Mastini. Naturalmente, dovrebbero essere sentiti anche i personaggi chiamati in causa dall’appuntato Sansone.

Pino Pelosi durante la trasmissione di Franca Leosini
Pino Pelosi durante la trasmissione “Ombre sul giallo”  di Franca Leosini

Nel film che era pronto a girare l’ultima apocalittica profezia
redazionale

“La Stampa” –  11 maggio 2005

Tra le tante rievocazioni pasoliniane che in questi giorni affannano le cronache dopo le rivelazioni tardo televisive di Pino Pelosi, è interessante ricordare un poco conosciuto soggetto di film che Pasolini aveva studiato e macinato per nove anni e, se quella notte fosse andata diversamente, avrebbe iniziato a concretizzare il giorno dopo quel 2 novembre del ‘75. Pasolini la sera stessa della sua morte incontrò l’attore Ninetto Davoli per discutere con lui del ruolo che avrebbe dovuto interpretare nel suo nuovo film. E’ noto il titolo: Porno-Teo-Kolossal, anche se poco se ne è parlato. E’ tutto rimasto in un progetto di quella che sarebbe dovuta essere la sua ultima opera; poi nelle sue intenzioni, l’artista avrebbe lasciato il cinema per dedicarsi totalmente alla letteratura.
Laura Salvini, studiosa di discipline dello spettacolo, nel suo saggio I frantumi del tutto (CLUEB, Bologna) ha dedicato un approfondimento ragionato sulle pagine del trattamento di quel film: «I primi di ottobre del 1975, Pasolini, dopo aver trascorso l’estate nelle ultime fasi della lavorazione di Salò, aveva spedito il trattamento del film a Eduardo De Filippo, con cui aveva già avuto corrispondenza, per avere una definitiva conferma della sua partecipazione. Anche se con molta probabilità lo stato di salute dell’attore non gli avrebbe permesso di recitare». Già da quelle lettere comunque si può dedurre che sarebbe stato un film con una griglia di base, ma affidato molto alla capacità di improvvisazione sul set stesso. Nonostante vari problemi legati al produttore, che non sarebbe stato Grimaldi, ma piuttosto una co-produzione italo francese.
Il giorno dopo quel tragico due di novembre, come racconta Umberto Angelucci, l’aiuto regista degli ultimi film di Pasolini, sarebbero dovuti iniziare i sopralluoghi a Roma: «Il lunedì io avrei dovuto iniziare la preparazione di questo nuovo film (…) a Roma, dove dovevano essere girate delle scene ambientate negli anni ‘50». Infatti Roma sarebbe dovuta essere nell’idea del regista la città di Sodoma, una delle tappe di un viaggio ispirato di Eduardo e Ninetto Davoli: «Un re mago che insieme al suo servitorello (suo angelo custode travestito) parte per seguire la Stella Cometa che annunciava la nascita del Messia. L’ispirazione era il viaggio di Davoli e Totò di Uccellacci e uccellini».
In questo caso si sarebbe dovuto trattare di un percorso allegorico dei due, Epifanio e Nunzio, per quattro città del mondo: Sodoma, Gomorra, Numanzia e Ur, che avrebbero avuto in metropoli contemporanee le loro controparti moderne. Il film sarebbe dovuto essere un vero Kolossal per le scene di massa e la varietà delle ambientazioni.
Il gioco dei riferimenti e delle allegorie rende impossibile la sintesi anche del suo semplice canovaccio. Vale però la pena di soffermarsi sulla contrapposizione delle due città di Roma e Milano che nell’idea di Pasolini sarebbero dovute essere le moderne Sodoma e Gomorra. A Roma Sodoma, in un clima nostalgico di dolce vita, l’erotismo omosessuale porta i suoi abitanti all’ordine, all’armonia, a passioni non distruttive. I romani sodomiti sono inclini all’arte e alla cultura. Anche se De Filippo e Davoli incappano in un gruppo di giovinastri scapestrati, probabilmente reduci dallo stadio, impegnati in tentativi concreti di possesso carnale ai danni di ragazzetti bellissimi vestiti da allevi ufficiali dell’ accademia di Modena. Qui, al contrario di quanto accade a Milano-Gomorra, c’è un’estrema tolleranza per ogni minoranza. Ad eccezion fatta per gli eterosessuali che vengono ugualmente portati in piazza per essere «redenti» con una sottomissione forzata a pratiche omosessuali.
Milano-Gomorra doveva essere invece il luogo dell’edonismo più sfrenato; il sesso eterosessuale imposto come obbligo ha provocato il caos sociale portato a livello di emblema. Qui la regola è che giovinastri assassini si aggirino nudi per le strade compiendo le più atroci nefandezze, salvo entrare nelle boutique ed uscirne vestiti di tutto punto all’ultima moda.
In un passaggio del suo testo Pasolini racconta come i due protagonisti in quella città apprendono dalla televisione che ci sarà una grande festa di piazza: due uomini che hanno infranto la regola, quindi rei di omosessualità, saranno giustiziati di fronte al Duomo. I rei, un operaio e uno studentino, vengono portati di fronte al Duomo attraverso una folla inferocita che inveisce contro le due vittime atterrite: «prese da un panico di bestia portata al macello». Dopo aver subito le torture più inimmaginabili vengono uccisi. Il ragazzo è sepolto vivo sotto i blocchi di marmo del selciato del Duomo e l’operaio issato con un elicottero viene scannato mentre «la folla urlando e insultando, accoglie nei palmi delle mani il sangue, lo lecca se ne sporca gli abiti, se ne lorda il viso». Il celodurismo del nord era ancora un concetto inespresso in quegli anni, ma in un apocalittico paradosso forse, ancora una volta, già da Pasolini profeticamente annunciato.

"Porno-Teo-Kolossal". Disegno di Gianluigi Toccafondo
“Porno-Teo-Kolossal”. Disegno di Gianluigi Toccafondo

Pasolini, il Campidoglio sarà parte offesa

“L’Arena di Verona” –  11 maggio 2005

Il Comune di Roma si inserisce nella nuova puntata della vicenda Pasolini. L’ assessore alla Cultura Gianni Borgna ha annunciato che il Campidoglio diventerà parte offesa e che nelle prossime ore per questo motivo depositerà una memoria alla Procura della Repubblica di Roma.
Borgna ha parlato di «Roma offesa», del merito che ebbe il regista nel «creare una coscienza collettiva sulle borgate» e ha assicurato che sarà fatto «di tutto per coadiuvare la magistratura nell’accertare la verità, quella verità che per trent’anni non è stata cercata».
L’iniziativa del Comune segue di poche ore quella dell’ avvocato Nino Marazzita, che in mattinata ha depositato l’ annunciata denuncia sul caso. Un atto che, come ha spiegato Marazzita, parte civile per conto della madre di Pasolini, potrebbe invertire la «volontà politica» dell’ epoca, che non andò a fondo nell’inchiesta.
Nell’ atto, composto di quattro pagine, come qualificazione giuridica si ipotizza l’omicidio volontario commesso con l’aggravante della premeditazione, reato non prescrittibile. La denuncia chiede di «accertare l’ identità di coloro che tra l’1 e il 2 novembre 1975» uccisero Pasolini, sulla scorta delle dichiarazioni di «Pino la Rana» al programma Ombre sul giallo e dell’intervista del regista Sergio Citti.
Di fare cioè quelle indagini che non furono fatte all’epoca, per individuare gli eventuali complici. Marazzita fornisce anche una pista investigativa iniziale: che sia ascoltato l’ appuntato dei carabinieri Renzo Sansone e coloro che, oltre a Pelosi, secondo lui erano all’Idroscalo quella notte: i fratelli Franco e Giuseppe Borsellino e Giuseppe Mastini, detto Jonny il biondino.
«Pasolini – ha detto il legale – era un personaggio scomodo e in quegli anni subì 17 aggressioni da parte dei fascisti, l’ultima proprio un mese prima della morte».
A coordinare le indagini, sotto la supervisione del procuratore Giovanni Ferrara, saranno l’aggiunto Italo Ormanni e il sostituto Diana De Martino. Il fascicolo, per il momento, è intestato «atti relativi a» e non contiene, quindi, né ipotesi di reato né indagati. Tra le prime iniziative degli inquirenti che, per la terza volta, riesamineranno i fatti avvenuti 30 anni fa, ci saranno le convocazioni in procura di Pelosi e del regista cinematografico Sergio Citti.
Certo, proprio perché sono trascorsi trent’anni, «le speranze di accertare la verità sono molto esigue», ha confessato l’avvocato Guido Calvi intervenendo alla conferenza stampa con Borgna e Enzo Siciliano.
«Ma confido nella magistratura – ha proseguito -, anche se siamo pronti a criticarla duramente, e nell’ intelligenza di questi magistrati che sono rigorosissimi».
Il legale, senatore dei Ds, ha insistito sulla contestualizzazione storica dell’ omicidio di Pier Paolo Pasolini: «Era un obiettivo naturale, dissenziente, isolato e dichiaratamente omosessuale». Erano gli anni «della strage di piazza Fontana, di Brescia, dell’ Italicus, dei servizi deviati, della destra eversiva e di una sinistra eversiva agli inizi. – ha proseguito l’avvocato – Erano gli anni in cui lo Stato non sapeva rispondere, perché in parte era colluso con quella destra e in parte tollerante con quella sinistra».
Enzo Siciliano ha ricordato che l’ aggressione all’Idroscalo non era il primo atto di violenza subito dal regista. E che Pasolini «non se l’è cercata, a meno che non si dica che nell’ Italia codina e repressiva di quegli anni non poteva accadere altro a chi scriveva» le cose che scriveva Pasolini.

L’avvocato Marazzita: «È necessario sapere se la Rai ha pagato per le parole di Pelosi»
di A.P.

“Il Tempo” –  11 maggio 2005

Diventeranno due le memorie che finiranno nel nuovo fascicolo d’inchiesta sull’omicidio di Pier Paolo Pasolini: una è stata già presentata dell’avvocato della madre del poeta, il penalista Nino Marazzita, e la seconda invece, quella del Comune di Roma che ha annunciato che si costituirà parte offesa, è in arrivo. La Procura di Roma comunque continua a rimanere scettica, tanto da aver aperto per ora un procedimento «atti relativi a..», cioè senza ipotesi di reato e senza indagati. La magistratura romana quindi ha intenzione di valutare le posizioni delle parti con molta attenzione, soprattutto quelle contenute nelle quattro pagine del difensore Marazzita che chiede di indagare per omicidio volontario commesso con l’aggravante della premeditazione, reato non prescrivibile.
«Malgrado i giudici che condannarono Pino Pelosi ritennero quantomeno possibile la presenza di altre persone – si legge nel documento dell’avvocato – non furono mai svolte indagini finalizzate alla ricerca degli eventuali complici».
E il penalista ha chiesto ai pm di ascoltare l’appuntato dei carabinieri Renzo Sansone che nel ’95 affermò di aver ricevuto una confessione, nella quale gli veniva riferito che «all’Idroscalo erano in quattro: oltre a Pelosi, i due fratelli Franco e Giuseppe Borsellino e Giuseppe Mastini, detto o Jonny il biondino o Jonny lo zingaro».
Non solo. Anche un confronto tra Pelosi e il regista Sergio Citti, e inoltre l’interrogatorio delle tre persone chiamate in causa dall’appuntato.  E infine ha dichiarato: «È importante sapere se la Rai ha pagato Pelosi».

L’ex appuntato Sansone, l’uomo chiave della terza inchiesta

“Il Messaggero” –  11 maggio 2005

Due magistrati e un testimone. Riparte da qui la terza inchiesta della Procura di Roma sulla morte di Pier Paolo Pasolini, la notte del 2 novembre ’75. I due magistrati sono Italo Ormanni e Diana De Martino. E l’uomo chiave per risolvere un mistero che dura da trent’anni si chiama Renzo Sansone, è un ex appuntato dei Carabinieri e pochi mesi dopo il delitto di Pasolini riuscì ad infiltrarsi nel giro della piccola criminalità del Tiburtino, a Roma, raccogliendo le confidenze dei fratelli Giuseppe e Franco Borsellino, detti “braciola” e “bracioletta” , amici di Pelosi e di Giuseppe Mastini, che di lì a qualche anno diventerà tristemente celebre con il soprannome di Johnny lo Zingaro. Sull’ex appuntato Sansone punta tutto l’avvocato Nino Marazzita, che ieri ha presentato una dettagliata denuncia per onorare la procura speciale che la mamma di Pier Paolo Pasolini, la signora Susanna, gli aveva conferito molti anni fa. Il legale ha chiesto anche che vengano interrogati Pino Pelosi e il regista Sergio Citti; il primo, per le affermazioni fatte alla trasmissione Ombre sul Giallo di Franca Leosini; il secondo, per le dichiarazioni contenute in un’intervista pubblicata nei giorni scorsi. Pelosi ha dichiarato di non essere lui l’assassino; e di non sapere chi fossero i tre individui che quella notte sbucarono dal buio per ridurre Pasolini in fin di vita. Sergio Citti dice una cosa leggermente diversa: secondo lui, Pelosi era d’accordo con i tre e fu utilizzato come esca per portare Pasolini in un luogo appartato, per poterlo malmenare e derubare. L’appuntato Sansone, infine, racconta una terza versione, molto simile a quelle di Citti. E dice di averla appresa dai fratelli Borsellino, in un periodo in cui, fingendosi un ex detenuto, frequentava tutta la compagnia del Tiburtino. Nei prossimi giorni, i magistrati fisseranno le date dei primi interrogatori. E quasi certamente Pino Pelosi e Sergio Citti saranno messi a confronto.

Parla Pelosi: «Agguato di Stato? Fummo aggrediti come una coppietta qualsiasi»
di Claudio Marincola

“Il Messaggero” –  11 maggio 2005

«In tv ho detto quello che sapevo, quello che ho visto, quello che ricordo. Tutto il resto, compresa la storia di Johnny lo zingaro che ho letto da qualche parte, sono chiacchiere. Non ci fu nessun agguato, fummo aggrediti come una coppietta qualsiasi». La chiave di tutto è lui, Pino Pelosi, che ora ha 46 anni. Che parla ma non apre molte porte, non svela il mistero. La Procura di Roma ha riaperto le indagini sul caso Pasolini. Il Comune si è dichiarato “parte offesa”. E si torna a parlare della pista politica rilanciata da quanti già la sostennero trent’anni fa. Pelosi ora vorrebbe staccare la spina. Parlare del lavoro che non trova. Di quel marchio che non riesce a staccarsi di dosso. Dice che non vorrebbe più «ripetere le stesse cose», che vorrebbe avere un vita normale. Ma non può fermarsi proprio ora. Ora che a rimettere in moto i ricordi è stato proprio lui.
Il regista forse più legato a Pasolini, Sergio Citti, vuole incontrare Pelosi. Vuole guardarlo in faccia, parlargli «da borgataro a borgataro». «Se Citti dice certe cose, accusa lo Stato, forse sa qualcosa che io non so, ma dovrà dimostrarlo », prende le distanze l’ex ragazzo di vita. «Mi vuole incontrare? Strano, ai tempi del processo mi accusava. Sosteneva che la verità sarebbe venuta fuori solo quando io sarei uscito dal carcere. Comunque, se vuole, sono disposto a vederlo. Non penso però che avremo molte cose da dirci».
Dopo trent’anni Pino, “la Rana”, ha cambiato la sua versione. Ha dichiarato in tv che quel 2 novembre del ’75 ad uccidere Pier Paolo Pasolini non fu lui, che all’epoca aveva solo 17 anni, ma due quarantenni che minacciarono lui e suoi familiari per farlo stare zitto. Ha dato nuovamente credito a quella prima sentenza pronunciata il 26 aprile del 1976 dal Tribunale dei minorenni che lo condannò a nove anni, sette mesi, dieci giorni, e trentamila lire di multa per «atti osceni, furto aggravato e omicidio volontario». Che conteneva una postilla importante, quel «concorso con altre persone rimaste ignote». Pelosi insiste: «Questo ho detto e questo dirò al magistrato se mi chiamerà».
La confessione tardiva ha riportato a galla altre piste fiutate e subito abbandonate. Ad esempio, quella della banda di balordi di cui facevano parte Johnny lo zingaro e i due fratelli Borsellino. Si è tornati a parlare anche del famoso anello d’oro. «Lo comprai da uno steward di cui ricordo ancora il nome, Aldo. Lui viaggiava e ogni volta me ne portava una decina dall’estero e io me li rivendevo», smonta le tante ricostruzioni che sono state fatte. «In questi giorni sono state dette troppe cose non vere. Come si fa a dire che io quella notte non rimasi ferito quando venni portato subito all’ospedale di Ostia e mi misero due punti in testa e avevo il setto nasale rotto?».
Tra ombre che si aggiungono ad ombre, una novità sostanziale è il passo deciso dal Comune di Roma che entra in qualità di parte offesa nella vicenda giudiziaria. Il coinvolgimento avverrà attraverso il deposito di una memoria alla Procura della Repubblica. Come dire che archiviare questa volta non sarà così facile.

Gianni Borgna
Gianni Borgna

Il Comune: «Roma è parte offesa». Borgna: «Ha creato la coscienza collettiva delle borgate»
di Claudio  Marincola

“Il Messaggero” – 11 maggio 2005

Il Comune di Roma entra in qualità di “parte offesa” nel caso-Pasolini. Lo ha annunciato ieri l’assessore alla Cultura del Comune di Roma, Gianni Borgna. Un gesto che può apparire simbolico ma che in realtà consentirà agli «amici» dello scrittore e alla città, che Pasolini aveva scelto di vivere e raccontare nei suoi libri e nei suoi film, di avere un ruolo nell’inchiesta. Roma è parte offesa per la morte dello scrittore e regista legato alla città. Pasolini, ha ricordato Borgna, che viveva a Ponte Mammolo, ebbe il merito «di creare una coscienza collettiva sulle borgate». La convinzione che muove la presa di posizione del Campidoglio è che dietro l’omicidio vi sia un movente più serio e più grave. Che non esistono misteri ma segreti da svelare. «Le speranze di accertare la verità sono molto esigue ma confido nella magistratura, anche se siamo pronti a criticarla duramente, e nell’ intelligenza di questi magistrati che sono rigorosissimi», ha spiegato l’avvocato Guido Calvi, parte civile insieme a Nino Marazzita nell’ omicidio Pasolini. Calvi ha parlato personalmente con il procuratore capo di Roma Giovanni Ferrara. «Mi ha assicurato – ha specificato – che seguirà personalmente questa vicenda». Il legale, senatore dei Ds, ha insistito sulla contestualizzazione storica dell’ omicidio di Pier Paolo Pasolini: «Era un obiettivo naturale, dissenziente, isolato e dichiaratamente omosessuale». Erano gli anni «della strage di piazza Fontana, di Brescia, dell’ Italicus, dei servizi deviati, della destra eversiva e di una sinistra eversiva agli inizi – ha proseguito l’avvocato – Erano gli anni in cui lo Stato non sapeva rispondere, perché in parte era colluso con quella destra e in parte tollerante con quella sinistra».
Calvi, che nella sua carriera ha difeso tra gli altri anche l’anarchico Pietro Valpreda, ha ricordato i tanti errori e le omissioni di una istruttoria «colpevolmente sommaria, sciatta e rozza». Le fotografie ignorate, l’autovettura che non fu protetta ma lasciata sotto la pioggia nei quattro giorni successivi alla morte dello scrittore, il maglione trovato nell’auto che non apparteneva né a Pelosi né a Pasolini. Ha ricordato il primo processo celebrato nell’aprile del 1976 davanti al Tribunale dei minorenni. La sentenza di condanna per omicidio volontario inflitta a Pelosi fu accompagnata dalla convinzione che vi fossero dei complici ignoti. Fu pronunciata da Carlo Alfredo Moro, fratello dello statista democristiano. «La Procura generale la impugnò ancora prima di conoscerne il dispositivo», ha ricordato Calvi. L’appello avrebbe successivamente disgregato quell’impianto giudiziario.
Calvi e lo scrittore Enzo Siciliano, presente all’incontro, hanno sottolineato che l’ aggressione subita dal regista non era il primo atto di violenza a suo carico. Entrambi hanno ricordato i frequenti episodi in occasione delle prime dei suoi film o delle presentazioni di suoi libri. «È stata aggredito di continuo – ha dichiarato Calvi – dalla magistratura, dagli inquirenti e dai fascisti». Pasolini «era un genio, un intellettuale tra i più prestigiosi del ‘900 italiano, come fu Garcia Lorca per la Spagna». Per Siciliano, lo scrittore friulano «non se l’è cercata, a meno che non si dica che nell’ Italia codina, sessuofoba e regressiva di quegli anni non poteva accadere altro a chi scriveva». Sull’aspetto più artistico di Pasolini si è soffermato l’ assessore alla Cultura del Comune di Roma, Gianni Borgna, che ha segnalato il merito che ebbe il regista nel «creare una coscienza collettiva sulle borgate». Roma «si ritiene offesa da quello che è accaduto – ha concluso – faremo di tutto per coadiuvare la magistratura nell’accertare la verità, quella verità che per trent’anni non è stata cercata».