Delitto PPP. Il punto della situazione nel 2009, di Angela Molteni

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In questa pagina, che risale al novembre 2009, Angela Molteni fa il punto delle indagini sui retroscena oscuri della morte di Pasolini, alla luce di nuovi elementi di conoscenza e di nuove pubblicazioni sull’argomento, oltre che di proprie ricerche personali.
L’occasione le offre inoltre il destro per riflettere sul lavoro portato avanti con il sito da lei fondato, il cui impegno principale resta comunque volto a far conoscere l’opera di Pasolini, specie per le  giovani generazioni. Non mancano infine considerazioni sconsolate sull’insensibilità delle istituzioni per il grande patrimonio culturale italiano, ivi incluso il lascito artistico e intellettuale consegnato alla produzione di Pasolini.
 

2006-2009: una ulteriore ipotesi sull’assassinio di Pasolini
di Angela Molteni
 

novembre 2009

L’ipotesi più recente collega il delitto Pasolini alla lotta di potere che prendeva forma negli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso nel settore petrolchimico, tra Eni e Montedison, tra Enrico Mattei e Eugenio Cefis. Chi ha fornito elementi per formulare tale ipotesi è il magistrato della Procura di Pavia Vincenzo Calia (ora Procuratore aggiunto a Genova), il quale si è richiamato a quanto scritto da Pasolini nel suo ultimo romanzo incompiuto Petrolio. Alle conclusioni a cui il magistrato è giunto, relative all’ultima inchiesta da lui condotta per chiarire le modalità e responsabilità della morte di Enrico Mattei, si sono riferiti sia il poeta Gianni D’Elia con il suo libro Il Petrolio delle stragi (Effigie, 2006), sia Giuseppe Lo Bianco e Sandra Rizza con il volume Profondo nero. Mattei, De Mauro, Pasolini. Un’unica pista all’origine delle stragi di Stato (Chiarelettere, 2009).  Prossimamente, su questo tema, uscirà anche un mio libro presso l’editore Eugenio Maria Falcone. E’ appunto in base a tali ultime ipotesi che il 27 marzo scorso l’avvocato Stefano Maccioni, coordinatore di “Giustizia per i diritti”, e la criminologa Simona Ruffini hanno chiesto che le indagini sull’omicidio dell’Idroscalo di Ostia vengano riaperte. L’augurio che oggi – proprio in memoria di Pasolini – rivolgo loro e a tutti coloro che come me non condividono gli esiti delle sentenze del 1975-76, derivate oltretutto da una carenza nelle indagini allora svolte male e frettolosamente, è che la Procura di Roma si esprima al più presto relativamente all’accertamento delle circostanze e all’esame dei nuovi elementi emersi riguardanti il brutale assassinio di Pier Paolo Pasolini.

"Petrolio" di Pier Paolo Pasolini. Copertina
“Petrolio” di Pier Paolo Pasolini. Copertina

Lo Bianco e Rizza, in particolare, hanno raccolto in un filmato alcune interviste e commenti; tra questi ultimi, quello di Guido Calvi che fa la riflessione che qui trascrivo: «C’è la pista legata a Petrolio che anch’essa appare di qualche interesse perché Pasolini aveva tentato in quel libro di ricostruire un quadro sociale e politico di alcuni eventi, su vicende che… Francamente non si sa bene come potesse avere quelle informazioni se non attraverso dei documenti che gli avevano fornito quelle informazioni. Ora, mi sembra che ci siano tutti gli elementi per tentare una nuova indagine giudiziaria. Io credo che, per un dovere direi quasi ontologico, si deve consentire che quella morte trovi un momento di verità, trovi dei veri responsabili, una causa vera e non lasciare che Pasolini in questo paese sia oscurato da quella morte».
Perché, in effetti, Pasolini è tuttora oscurato da quella morte, almeno nel nostro Paese, nel quale purtroppo tardano a farsi strada concetti, ancorché ampiamente sostenuti dalla nostra Carta costituzionale, quale quello dell’uguaglianza, che dovrebbe escludere qualsiasi forma di discriminazione. Stiamo assistendo infatti in questi anni, insieme alla perdita di valori fondamentali e al generale imbarbarimento delle azioni e dei comportamenti in ambito sociopolitico, proprio a una progressiva regressione nel modo di pensare e di agire dell’italiano medio, la cui definizione pasoliniana voglio qui ricordare: «L’uomo medio è un pericoloso delinquente, un mostro. Esso è razzista, colonialista, schiavista, qualunquista».
Ed è da dire che purtroppo “italiani medi” sono ormai la stragrande maggioranza dei nostri concittadini, risucchiati dal mostro consumistico che ha generato nuovi egoismi, nuove violenze, nuovi condizionamenti; ridotti a essere «il popolo più analfabeta» con «la borghesia più ignorante d’Europa». Così, è stato fin troppo agevole negli anni ‘70 definire frettolosamente l’assassinio di Pasolini “delitto tra froci”, ma è altrettanto agevole affermarlo oggi, come purtroppo accade anche in ambiti cosiddetti colti. La Chiesa cattolica, d’altro canto, ha la sua dose di responsabilità nel suggerire ripetutamente allo Stato italiano situazioni in cui non vi sia alcuna distinzione tra peccato e reato, in cui i diritti civili non vengano affermati e i principi di laicità dello Stato, fermamente sostenuti dal dettato costituzionale, non divengano, come sarebbe lecito attendersi, patrimonio di questo «popolo ormai dissociato».
«L’intelligenza non avrà mai peso, mai, nel giudizio di questa pubblica opinione», ha scritto Pasolini, e mai affermazione pare oggi tanto calzante. Il filmato sopra citato raccoglie anche dichiarazioni di Pino Pelosi, in cui tra l’altro questi afferma: «[…] Quella sera io e Pasolini avevamo un appuntamento al chiosco della stazione. L’avevamo fissato una settimana prima, questo appuntamento, quando c’eravamo visti per la prima volta. […] Una sera mi è capitato di conoscere Pasolini in quel chiosco […] non l’avevo mai visto. E non sapevo nemmeno chi fosse. Che si trattava di Pasolini me lo dissero gli amici che stavano fuori e ci videro parlare. “Ma lo sai che quello è uno famoso?” – mi dissero – “lo sai che con quello se possono fa’ ‘n sacco de soldi?”. [Ci siamo dati] un appuntamento per il sabato successivo. […] Quella sera c’erano pure Franco e Giuseppe Borsellino […] e quei due stavano tramando qualcosa, qualcosa di brutto, me ne sono accorto subito, e perciò gli ho detto chiaro che io non volevo partecipare, non ne volevo sapere nulla».

Pino Pelosi durante un sopralluogo all'Idroscalo di Ostia (1976)
Pino Pelosi durante un sopralluogo all’Idroscalo di Ostia (1976)

Su quanto specificamente avvenne all’Idroscalo di Ostia, Pelosi inoltre dichiara: «[…] Poi io sono uscito dalla macchina, sono andato a urinare vicino alla rete […]  E in quel momento è spuntata una macchina scura, non so se era un 1300 o un 1500, e una moto. Sono arrivate in tutto cinque persone. A me m’ha bloccato subito uno con la barba, sulla quarantina, m’ha detto: “Fatti i cazzi tua, pederasta” ho preso una bastonata e un cazzotto. Ho visto che trascinavano Pasolini fuori dalla macchina, e lo riempivano di pugni e calci, picchiavano forte. Gridavano, ho sentito le urla, gli dicevano: “Sporco comunista, frocio, carogna”. Ho avuto paura, mi sono allontanato nel buio. Sono tornato quando tutto è finito».
Alla domanda degli intervistatori “Dunque, gli aggressori erano cinque. Li conosceva?”, Pelosi risponde: «Due li conoscevo. Erano Franco e Giuseppe Borsellino. Poi c’era questo che mi ha colpito, questo con la barba: non lo conoscevo, ma l’ho visto da vicino che aveva una quarantina d’anni. Gli altri due non so proprio chi fossero. […] [Franco e Giuseppe Borsellino] erano due amici miei. […] Erano due ladri di borgata, come me, ma in quel periodo sia Franco sia Giuseppe erano diventati fascisti, so per certo che bazzicavano la sezione del Msi al Tiburtino, andavano a fare politica. […] Secondo me era una lezione, una punizione, forse dovuta al partito o alla politica. Pasolini stava sul cacchio a qualcuno. Lo massacravano e gli dicevano: “Sporco comunista, sporco frocio”. Se tu uccidi qualcuno in questo modo, o sei pazzo o hai una motivazione forte; siccome questi assassini sono riusciti a sfuggire alla giustizia per trent’anni, pazzi non sono certamente[…] E quindi avevano una ragione, una ragione importante per fare quello che hanno fatto. E nessuno li ha mai toccati. […] I Borsellino li ho rivisti. Uno, quello più piccolo, l’ho rivisto in carcere, era mezzo strippato, drogato, stava al reparto dei matti. L’altro l’ho visto dopo un sacco di tempo […] era sieropositivo. Non gli ho detto niente. Non me ne fregava niente. Poi è morto».
La credibilità di Pelosi – è da dire – è prossima allo zero: anzi, lo era già al momento del processo nel lontano 1976, quando perfino il giudice Moro ribadì che «ha saputo imbastire con estrema abilità una tesi difensiva che occultasse la realtà di ciò che all’Idroscalo era effettivamente avvenuto e ha mantenuto tale tesi senza cedimenti lungo tutto l’arco dell’istruttoria e del dibattimento […]; ha mostrato di non lasciarsi sopraffare dagli avvenimenti ma di saperli prevedere e controllare».
Si aggiunge a queste ultime “rivelazioni” un’ulteriore testimonianza, quella di Silvio Parrello, poeta e pittore che ha un suo studio a Roma in zona Monteverde, quartiere Donna Olimpia (la stessa zona in cui visse Pasolini tra il 1956 e il 1963). La sua testimonianza non fu ammessa (come quella di Sergio Citti) nel processo che seguì alla morte dello scrittore nel 1975-76. A Parrello, amico di Pasolini – che si riferì a lui per farne uno dei protagonisti, col nome di “Pecetto”, del romanzo Ragazzi di vita – avevo chiesto di esprimere un parere sulle recentissime, “presunte nuove rivelazioni” di Pelosi. Quella che segue è la sua risposta:
«[…] I due Borsellino è sicuro che c’erano, ma ora sono morti, mentre Giuseppe Mastini detto “Johnny lo Zingaro” era lì con loro a massacrare Pasolini, e Pino non lo dice perché Johnny è ancora vivo, ha paura, ed è un suo amico; molto probabilmente il famoso plantare – 41 piede destro – è proprio di Johnny, che lo utilizzava dopo una ferita riportata durante una colluttazione con la polizia. Johnny è attualmente in libertà vigilata, è uscito di recente. Pino però non fa i nomi degli altri che realmente hanno ucciso Pasolini. Sicuramente uno di loro aveva una casetta lì all’Idroscalo. Secondo me c’era l’Alfa di Pasolini, la macchina che nella fuga ha demolito una recinzione lasciando sul reticolato anche del sangue di Pier Paolo, la moto Gilera dei ragazzi che l’avevano rubata qualche giorno prima e una terza macchina targata Catania, auto-civetta dei picciotti mafiosi […] La macchina degli aggressori, uscita fuori strada dopo avere investito Pasolini, venne portata nella carrozzeria di Scannella, al Portuense, da Antonio Pinna che il 16 febbraio 1976 scomparve: la sua auto venne poi trovata all’aeroporto di Fiumicino abbandonata, e di Antonio Pinna non si seppe più nulla: scomparso, volatilizzato!

Silvio Parrello
Silvio Parrello

Il Pinna, detto “Voilà”, di Donna Olimpia, amico di Pier Paolo fin dagli anni di Ragazzi di vita, era un assiduo frequentatore di Pasolini. Che cosa attingeva Pier Paolo negli incontri col Pinna? Informazioni sulla malavita romana che gli servivano poi come tematiche da utilizzare nei suoi romanzi, e notizie anche sui rapporti tra personaggi politici e alcuni fuorilegge divenuti in seguito brigatisti. Pino Pelosi mente perché è costituzionalmente un bugiardo e conosceva Pier Paolo da vecchia data: si incontravano quando ne avevano bisogno, perché con Pino si poteva fare solo sesso. […]». (12 giugno 2009)
Se è vero che rispetto al periodo in cui creai il sito dedicato a Pasolini (1997) un interesse crescente si è registrato in Italia intorno alla figura di questo intellettuale, è altrettanto vero che gran parte di tale attenzione si è soffermata, nella stragrande maggioranza dei casi, più sugli aspetti anche morbosi riguardanti la sua barbara uccisione piuttosto che sulle sue opere. Sempre nel nostro Paese, anche nel “famoso” trentennale (2005), se le iniziative riguardanti il poeta si moltiplicarono, non vi fu, all’infuori di alcuni casi – lodevolissimi, ma rari – un vero impegno degli organizzatori per mettere in luce il lavoro, l’opera di Pasolini. Così, gran parte di chi ha seguito quelle manifestazioni commemorative sa tutto sull’omosessualità di Pasolini e sulla sua tragica morte, ma ben poco ha acquisito per esempio sui contenuti delle Ceneri di Gramsci o di Teorema. Continuo a sostenere, anche in base a ciò che mi viene quotidianamente riferito, che la conoscenza di Pasolini è assai scarsa tra le giovani generazioni, e imputo in primo luogo alla scuola italiana questa carenza. Tra i miei amici alcuni sono docenti nei licei: mi hanno confermato, tutti, che lo studio delle opere di Pasolini non è previsto dai programmi scolastici: molti di loro trattano ugualmente la figura di questo autore e le sue opere, spesso osteggiati dai presidi e avversati anche dai colleghi. Ben diversa è l’attenzione che la cultura internazionale ha riservato al poeta. La conoscenza e lo studio di Pasolini risultano attualmente assai diffusi nei Paesi europei, anche in quelli non tradizionalmente ma già legati intimamente all’opera pasoliniana (è il caso, quest’ultimo, della Francia). E nel mondo sono state promosse molte iniziative valide e partecipate. Ne forniscono testimonianza sia molte di queste stesse “Pagine corsare”, sia in particolare la fondazione della rivista internazionale “Studi pasoliniani” che dà ampiamente conto degli studi critici in corso nel mondo su Pier Paolo Pasolini e i suoi lavori, una rivista che registra tra l’altro un’evoluzione positiva in termini di voci che vi si esprimono autorevolmente e di lettori in progressivo aumento.
Più in generale, la situazione della cultura è sconfortante nel nostro Paese. Vedevo qualche tempo fa un documentario di Riccardo Iacona sul patrimonio artistico italiano: musei allestiti e subito chiusi; opere artistiche accatastate nei magazzini, non fruibili da visitatori e studiosi; nessuna manutenzione per quanto riguarda il patrimonio archeologico che in molti casi sta andando letteralmente in polvere; mancanza di personale sia nei musei sia nei laboratori di restauro, finanziamenti pesantemente tagliati e a volte ridotti a zero… Insomma, una totale incuria di ciò che, in termini culturali, dovrebbe essere offerto (ma viene invece sottratto) a tutti noi e ai ricercatori e turisti stranieri – e che tra l’altro potrebbe anche costituire una enorme fonte di introito per uno Stato sempre sull’orlo di una reale bancarotta. E pensavo a Pasolini e alle sue testimonianze su Orte o su Sana’a: mi sono venute le lacrime agli occhi…

Angela Molteni
Angela Molteni